
Proprio dal desiderio di iniziare a colmare questa ingiusta lacuna è nata l’idea del mio libro, che indaga la trattazione della storia più antica. Ho scelto quella romana – per mia formazione personale e perché assai presente nella nostra televisione e, quindi, caso particolarmente significativo da analizzare – ma l’ipotesi di partenza e l’impostazione data restano valide per qualunque momento dell’età antica, medievale e moderna.
La domanda da cui sono partita è stata, allora, proprio quella che voi mi fate qui, ma con una sostanziale specificazione: quali rischi e quali opportunità offre il racconto della storia romana in tv? La risposta ha iniziato a delinearsi con chiarezza già nei primi mesi di lavoro, facendo emergere che, nella narrazione dell’evo antico sul piccolo schermo, sono rintracciabili molti punti di forza comuni al patrimonio audiovisivo del XX e XXI secolo, con l’aggiunta di altri peculiari e non trascurabili vantaggi. Il principale deriva dalla possibilità che, in televisione, divulgazione e ricerca avvengano simultaneamente. Se, infatti, intendiamo per “divulgazione” la diffusione di elementi e dati già acquisiti e per “ricerca” il proporre cose nuove che aumentino la conoscenza storica, nel primo caso l’immagine trasmessa dalla tv è utilizzata come racconto, nel secondo può essere un documento: la differenza la fanno le finalità e le competenze del singolo spettatore.
C’è poi da aggiungere che la televisione, immortalandoli una volta, rende riproducibili una scena o un luogo potenzialmente all’infinito, preservandoli dal tempo. Pensiamo, ad esempio, agli edifici di Palmira, negli ultimi anni gravemente danneggiati, o al sito di Pompei, spesso interessato da crolli, ma anche a monumenti che oggi diamo per scontati così come sono, come il Colosseo: la televisione sta assicurando, in un certo senso, la loro sopravvivenza. Per non parlare dei grandi studiosi del presente e del passato le cui voci, se catturate dalla telecamera, possono giungere alle future generazioni, permettendo ai loro insegnamenti di restare impressi non soltanto nei libri che hanno scritto.
In merito ai rischi della trattazione della storia romana sul piccolo schermo, si indeboliscono quelli legati all’immediatezza (cioè la rapidità con cui si passa dal verificarsi di un evento al suo racconto) del mezzo televisivo. Le vicende più lontane nel tempo, inoltre, sono meno condizionate dalla memoria collettiva e da interessi contingenti e, pertanto, affidate più alla competenza e all’onestà intellettuale di chi si occupa di riportarle.
Resta, però, il pericolo maggiore, che è, in fondo, lo stesso in cui si può incorrere quando si legge un libro, si segue una conferenza o si sceglie un corso, vale a dire quello di “abbassare la guardia”. Dobbiamo sempre ricordare di porci con spirito critico e non accettare per vero, a priori, quanto ci viene detto dagli altri. La televisione, grazie alla potenza delle sue immagini e alla forza del suo racconto, rischia di ammaliarci, ma non sempre, purtroppo, i programmi garantiscono serietà delle fonti e correttezza narrativa. Anche ai casi meno virtuosi resta comunque il merito di accendere la curiosità e, magari, incoraggiare lo spettatore ad un approfondimento.
La tv può essere fonte di ricerca anche per lo storico del mondo antico?
Tra le opportunità offerte dal racconto televisivo della storia a cui ho accennato nella risposta precedente c’è proprio la sua utilità per gli storici del mondo antico.
Ho parlato della grande attenzione che gli studiosi hanno rivolto alla trattazione dell’età contemporanea, dovuta al fatto che chi si occupa di XX e XXI secolo ha a disposizione immagini girate spesso nel momento in cui l’evento si verificava. È ovvio, dunque, che questi storici non possono non considerare, tra le loro fonti, l’ingente patrimonio audiovisivo in nostro possesso.
Tuttavia, se si analizzano i programmi in cui si narrano periodi più antichi (nel caso del mio libro quello romano ma, ripeto, lo stesso discorso vale per qualunque fase della storia antica, medievale e moderna), si può fare esperienza diretta di quanto questi possano essere una fonte per tutti coloro che fanno ricerca.
Faccio degli esempi concreti. Chiunque abbia partecipato ad una campagna di scavi archeologici sa quanto sia importante immortalare dei momenti ben precisi. Man mano che si procede in uno scavo, infatti, parti del sito vengono inevitabilmente distrutte per poter andare a fondo e arrivare agli strati più antichi. In tanti programmi da me visionati – confluiti nella sezione antologica di Cesare in tv – la presenza della troupe televisiva ha permesso di immortalare attimi irripetibili, come l’estrazione di un reperto o lo stato dello scavo a quel tempo, prima che gli archeologi intervenissero ancora, modificandolo. Il senso di questo valore lo esprime magistralmente in un programma del 1958 Riccardo Bacchelli che, in occasione dell’uscita del suo romanzo I tre schiavi di Giulio Cesare, chiese di essere intervistato al Capitolium di Brescia poiché erano in corso di scavi e – dice lui – «quello che poi diventerà rudere, rovina, monumento, magari un insigne pezzo di museo, qui è ancora scoperta viva».
Ci sono, poi, frequentissimi casi di edifici e luoghi di difficile accesso per motivi di sicurezza, di tutela del patrimonio e, talvolta, per questioni burocratiche, o perché situati in aree geograficamente rischiose e non facilmente raggiungibili. Uno storico che si trova a dover studiare questi siti può servirsi di quanto trasmesso in tv per visionarli. E se l’osservazione dal vivo può offrire un’esperienza impareggiabile, è anche vero che l’obiettivo della telecamera coglie dettagli non altrimenti rilevabili. Ricordiamoci, inoltre, come già accennato, di quei siti che il tempo – e l’uomo – hanno danneggiato (o danneggeranno) e che la tv sta consentendo di “eternare”.
Questi sono solo alcuni dei modi in cui il piccolo schermo può essere fonte per lo storico del mondo antico, il quale, a differenza dei suoi colleghi che si occupano di età contemporanea, spesso sovraesposti ad una quantità ridondante di materiali a disposizione e quindi impegnati in un lavoro di setacciamento, è alla costante ricerca di nuove fonti, in un vero e proprio processo di investigazione.
Di quale utilità può essere, per insegnanti e studenti, la storia in tv?
Siamo tradizionalmente abituati a pensare alla didattica come ad un processo verticale, che comporta un flusso di conoscenze dal docente allo studente, attraverso libri di testo e lezioni frontali. In quest’ottica semplicistica possiamo paragonare la trattazione della storia in tv ad un ulteriore strumento, forse il più accattivante, nelle mani degli insegnanti, utilizzato da questi per “colpire” gli studenti, trasmettendo loro informazioni “dall’alto”. E questo è sicuramente un modo in cui il racconto televisivo della storia può essere assai utile, dal momento che un insegnante possiede le competenze e la capacità critica per individuare i programmi che più si adattano ai propri obiettivi didattici. Ma, come ho detto, questa è una prospettiva semplicistica.
Dobbiamo, invece, fare un passo avanti, per due motivi. Il primo è che ogni docente può trovarsi – anzi, è auspicabile che questo avvenga – nella condizione di essere lui stesso il discente, di informarsi su un tema che sente di non conoscere adeguatamente o di aggiornarsi. Il secondo è che gli studenti sono sempre più chiamati a partecipare attivamente alla propria formazione, soprattutto ai livelli più avanzati, come quello liceale e universitario. Ai docenti la televisione può offrire non solo occasioni di approfondimento, ma anche modelli di comunicazione efficace attuabili nelle lezioni in aula.
Per gli studenti la questione è più complessa. La storia viene, purtroppo, percepita ancora oggi come una materia ostica, nozionistica, che richiede un grande sforzo di memoria. Eppure molti programmi di argomento storico in onda in questi anni hanno un enorme seguito anche tra i più giovani perché riescono a presentare la storia come un racconto affascinante, di interesse e portata universale. Nella mia lunga esperienza come assistente universitaria ho potuto toccare con mano quanto la programmazione televisiva influenzi la preparazione degli studenti. Agli esami, ad esempio, anche i meno preparati riuscivano a rispondere a domande su argomenti che erano stati al centro di qualche programma. È indubbio che la forza delle immagini e il linguaggio del piccolo schermo riescano a coinvolgere e far appassionare come spesso nient’altro è in grado di fare. Per questo la televisione è uno strumento potentissimo per gli studenti, sia per quelli che non riescono a trarre adeguati stimoli dalle lezioni “classiche”, sia per coloro che, al contrario, sono così interessati da voler andare oltre. Il ruolo che la tv ha esercitato nella preparazione scolastica degli alunni in questa emergenza sanitaria ha confermato inequivocabilmente questo assunto.
Abbiamo parlato di insegnanti e studenti e, prima, degli storici del mondo antico. Non ci dimentichiamo, però, che esiste un’altra “affollata” categoria, costituita dai semplici curiosi, ovvero coloro che non hanno necessità di ricerca o formazione specifica ma che desiderano approfondire la storia, nel nostro caso quella romana. Per tutti questi, la televisione è un mezzo fondamentale perché permette una visione piacevole e non eccessivamente impegnativa, che non scoraggia ed è compatibile con le normali attività quotidiane.
Come si è sviluppato negli anni il racconto della storia romana nella tv italiana?
Faccio una premessa: si partiva già da un ottimo livello di narrazione storica. Ho condotto la mia analisi in modo sistematico all’interno del patrimonio delle Teche Rai, parlo quindi, nello specifico, di quanto è stato trasmesso dalla Radiotelevisione Italiana.
Sin dalla sua nascita, la nostra televisione ha mostrato grande attenzione e serietà nel trattare la storia romana. Ci sono ovviamente dei programmi meno riusciti, altri contestabili in alcuni passaggi, altri addirittura fuorvianti, ma, nel complesso, i risultato produttivi sono davvero buoni. Lo si vede, ad esempio, nella varietà dei singoli temi trattati, negli esperti coinvolti nella realizzazione (come importanti storici e archeologi), nel tentativo di sperimentare, quando possibile, linguaggi e stili nuovi.
Una particolarità che mi ha molto colpito è stata la capacità che ha avuto la Rai di coinvolgere in queste produzioni storiche non soltanto antichisti ma anche grandi intellettuali, registi, compositori, direttori della fotografia, spesso presi in prestito dal mondo del cinema. Per fare solo alcuni nomi, possiamo parlare di Pupi Avati, Ennio Morricone, Vittorio Storaro, Luciano De Crescenzo e moltissimi altri.
Detto questo, va rilevato che la narrazione della storia romana sul piccolo schermo ha sostanzialmente seguito la stessa evoluzione che ha segnato, in linea di massima, un po’ tutti i programmi, di qualunque genere e argomento. Oggi il racconto è più veloce, incalzante, sarebbe impensabile la bellissima “lentezza” che generalmente caratterizzava una puntata in bianco e nero. C’è anche la ricerca di una maggiore spettacolarità nella trattazione, nelle musiche, nelle immagini, un’attenzione a ciò che è più curioso e particolare. Ma questo, ripeto, è un discorso che vale per la televisione nel suo complesso. Lo spettatore, nei decenni, ha visto di tutto e, nel momento in cui deve scegliere cosa guardare, ha a disposizione un’offerta enorme, quindi catturare la sua attenzione e convincerlo a non cambiare canale è la vera sfida, non solo per ovvi motivi di share ma soprattutto per valorizzare lo sforzo narrativo di una produzione meritevole.
Il volume contiene un’antologia ragionata dei programmi tv dedicati alla storia romana: quali, tra quelli censiti, ritiene più riusciti per impegno produttivo e interesse suscitato?
Il cuore di Cesare in tv è proprio la sua ampia sezione antologica. Vi confluiscono i 144 programmi che ho individuato con precisi criteri e visionato all’interno dell’immenso catalogo multimediale delle Teche Rai. Ad ogni programma è dedicata una scheda di analisi le cui voci tengono conto dell’utilità che il programma può avere per storici, docenti, studenti e per chi si occupa di tv o di alcuni settori specifici. L’obiettivo è stato, dunque, quello di rendere facilmente rintracciabili temi e argomenti, personaggi e luoghi legati alla storia romana e al suo studio, con uno strumento cartaceo che rimanda all’audiovisivo.
Alla luce di quanto ho personalmente constatato, più che nell’impegno produttivo e nell’interesse suscitato credo che la buona riuscita di un programma sia da ricercare in altri aspetti precisi, a cominciare dalla sua capacità di aggiungere qualcosa per tutti. Mi spiego meglio. Davanti alla tv, mentre va in onda una puntata, si trovano spettatori diversi per età, grado di istruzione, professione, livello di conoscenza specifica, ecc. Le stesse motivazioni che spingono alla visione variano. Ritengo che un programma si possa definire “riuscito” quando è in grado di rivolgersi ad ognuno di questi spettatori appagando il più possibile l’interesse di ognuno. Se dà delle chiare informazioni di base a chi non è esperto, se permette un approfondimento a chi ha già delle conoscenze e se spinge a riflessioni nuove uno specialista, l’obiettivo può considerarsi raggiunto. In questo, ad esempio, gli Angela e le loro squadre eccellono.
Un’altra caratteristica è che si rispettino le regole di una buona narrazione. La storia romana identifica un periodo lunghissimo e ricco di avvenimenti, personaggi, luoghi. Decidere di trattarlo equivale, quindi, ad avere sterminate possibilità di narrazione. È, allora, necessario che, in ogni programma, sia chiaro cosa si sta raccontando, su quale aspetto si vuole far luce, quale tono e quale ritmo dare in modo che tutto sia coerente. Altrimenti c’è il rischio che si traduca in un accostamento immotivato e casuale di dati e fatti.
Ho lasciato per ultimo l’elemento che, a mio parere, fa davvero la differenza in una produzione televisiva: l’originalità, non tanto dei temi quanto del linguaggio e dello stile. Dell’idea e della sua realizzazione, insomma. Tra i 144 programmi dell’antologia ce ne sono di magistrali sotto questo aspetto. Per fare solo un esempio, penso a Luciano De Crescenzo che si definisce “acchiappafantasmi” percorrendo le strade di Ercolano, mentre undici telecamere e quattro giornalisti dei più importanti Tg della Rai immaginano di essere inviati nel tempo, in diretta dal 79 d.C., e raccontano l’ultima notte della città prima dell’eruzione del Vesuvio. Viene fatta una vera e propria telecronaca moderna, seguendo e mostrando gli abitanti (impersonati da attori che mai escono dalla parte, così come gli inviati), tutti ignari dell’imminente catastrofe. In tanti hanno raccontato la fine di Ercolano e Pompei; poteva sembrare impossibile farlo in modo originale e aggiungere qualcosa di nuovo, eppure ci sono riusciti. E come loro, molti altri in più di sessant’anni di televisione.
Buona lettura e buona visione a tutti.
Ludovica Lops, nata nel 1989 a San Severo (FG), è giornalista e dottore di ricerca in Cultura, Educazione, Comunicazione presso l’Università degli Studi Roma Tre. Ha collaborato alle cattedre di Storia romana, Storia del mondo antico e Storia della scienza e delle tecniche in varie università italiane. Si occupa di comunicazione della storia e della scienza attraverso i media. Su questi temi ha pubblicato la monografia Cesare in tv. Come la televisione racconta la storia romana (2020) e diversi articoli e saggi, tra i quali: Dall’homo al puer fictor. Forme di racconto in televisione (2018), Strategie di comunicazione scientifica nella serialità televisiva americana del XXI secolo (2017), Raccontare la realtà: tra giornalismo e narrazione autobiografica (2016) e La lingua silenziosa: segnare il pensiero per mostrare il dicibile (2016). Dal 2018 è curatrice e docente di corsi in RAI sui linguaggi televisivi.