“Cercami” di André Aciman: riassunto trama e recensione

Cercami, André Aciman, riassunto, trama, recensioneCercami, di André Aciman, edito da Guanda, è l’attesissimo seguito di Chiamami col tuo nome, libro di enorme successo da cui il registra Luca Guadagnini ha tratto un film altrettanto amato.

Cercami è strutturato in quattro sezioni – Tempo, Cadenza, Capriccio e Da capo – in analogia con le partiture musicali, e Bach e Mozart, sono anche qui, come nel precedente romanzo, collante e colonna sonora.

I fan di Elio e Oliver, che hanno atteso più di dieci anni l’uscita di questo romanzo, dovranno pazientare parecchie pagine prima di scoprire se e come evolverà l’amore tra i due uomini. La prima sezione del nuovo libro, infatti, non riguarda i due amanti, ma viene raccontata dal punto di vista del padre ormai divorziato di Elio, Samuel. Il romanzo si apre su un treno in movimento: Samuel, professore universitario americano in Italia da trent’anni, sta andando da Firenze a Roma ad incontrare suo figlio e a tenere una conferenza. Sul treno incontra Miranda – giubbotto di pelle, aria cupa, un cane, un tascabile in inglese e scarponi “selvaggi e ribelli” – che potrebbe avere al massimo l’età di suo figlio e con cui Samuel non può fare a meno di attaccare discorso. In breve, i due si immergono in una conversazione tanto fitta quanto approfondita, sulla propria vita, gli amori, i rimpianti, i desideri. “La cosa più triste è che ho condiviso più cose con te in questi ultimi minuti che in una settimana intera con lui”, confessa Miranda a Samuel riferendosi al proprio ragazzo/coinquilino. Una chiacchierata inframezzata dal desiderio, quello di Samuel, che non solo le loro menti ma anche i loro corpi potessero avvicinarsi così rapidamente nel breve tempo di quel viaggio in treno: “Mi stava provocando di nuovo. E sorrideva. Una parte di me credette che si fosse avvicinata ulteriormente e avesse valutato l’ipotesi di trasferirsi nel sedile accanto al mio e di mettere le mani tra le mie. Le era passato per la testa davvero, oppure semplicemente me lo stavo inventando perché in realtà era quello che volevo?”. Scesi dal treno, i due gironzolano per una Roma romantica e sognante, Samuel cercando di riconnettersi con un se stesso ragazzo, ancora pieno di possibilità, che ormai non è più.

Anche Elio non è più l’adolescente sensibile e dotato di Chiamami col tuo nome. Dall’estate in Riviera in cui aveva scoperto la forza del primo amore grazie a Oliver, lo studente americano ospite del padre nella casa di famiglia, sono passati parecchi anni. Elio è ora diventato un pianista affermato che vive a Parigi e che colleziona amori non completamente soddisfacenti, perso com’è nel ricordo di quell’amore fugace ma appagante con Oliver. Nella seconda sezione del romanzo lo troviamo immerso nella relazione con Michel, un uomo molto più anziano di lui, incontrato a un concerto. I due iniziano a conversare per la prima volta durante l’intervallo del concerto e, in quel breve lasso di tempo, si scoprono attratti l’uno dall’altro. Cosicché, in modo molto simile a quanto è accaduto nella prima parte del romanzo a Miranda e Samuel, anche i due uomini si trovano a passeggiare insieme, questa volta in una Parigi bagnata di pioggia come una foto di Brassaï, fino a che non arrivano a toccarsi – “Gli presi la mano all’estremità opposta del tavolo e la tenni stretta per un momento in un gesto amichevole, sperando che non si sentisse a disagio. Non la ritrasse” – e quindi a dichiararsi il reciproco amore.

Oliver vive a New York, è sposato con quella stessa donna con cui era fidanzato ai tempi di Chiamami col tuo nome e ha ora due figli adolescenti. A lui è dedicata la terza parte del libro: in procinto di trasferirsi in New Hampshire, ha una relazione ambigua con Erica, compagna di yoga, e con Paul, assistente universitario. “Che cosa volevo da loro? […] Forse mi piacevano entrambi e non riuscivo a decidere chi dei due desiderassi di più? O magari in realtà non volevo né l’uno né l’altra, ma mi faceva comodo pensarlo, perché altrimenti avrei dovuto analizzare la mia vita, trovando ovunque immensi crateri bui”. Perché in realtà anche Oliver, come Elio, è schiavo del passato, di quella storia fugace in Riviera che l’uomo non ha mai potuto dimenticare e della voce dell’antico amante che gli sembra di udire sussurrare “Che sciocco che sei, ci vogliono due di loro pe fare me. Posso essere omo e donna, oppure tutte due, perché tu per me sei stato entrambi. Cercami, Oliver. Cercami”.
A chi non fosse molto romantico, i personaggi di Aciman potranno sembrare piuttosto irreali. Basta loro un tempo brevissimo per aprirsi completamente a un altro appena conosciuto, e poi per innamorarsi perdutamente e per lanciarsi in dialoghi tanto ardenti e appassionati da sembrare francamente eccessivi. Del resto, è come se i personaggi si innamorassero più che altro delle proprie parole, del dipanarsi dei propri discorsi, del poter ragionare su letteratura, musica, desiderio e destino. E non è il realismo che sembra interessare Aciman, quanto l’indagine sui sentimenti, sul passato e sugli amori che avrebbero potuto essere ma non si sono concretizzati. Come spiega in un’intervista “Gli amori riusciti, quelli belli che però sono finiti per un motivo o per l’altro, li ho tutti dimenticati. Non hanno vita, sono superati. Non esistono più. Gli amori che ricordo sono quelli che non sono mai sbocciati, che avrebbero potuto esserci. Quelli lì non si dimenticano mai, vivono di un rimpianto che ancora fa male, non sono superati.”

E dunque Cercami è una riflessione sull’impossibilità di poter replicare la magia della passione di quando si era giovani, sulla malinconia che nasce dal ripensare al se stesso che si è stati un tempo e che, fatalmente, non si può più ritornare ad essere.

Silvia Maina

L’incipit di Cercami di André Aciman

«Perché Alessandria?» mi domandò Oliver la nostra prima sera qui, quando ci fermammo sul lungomare a osservare il sole che tramontava dietro i frangiflutti. L’odore di pesce, sale e acqua stagnante era travolgente, eppure restammo su quel tratto di passeggiata di fronte alla casa dei nostri ospiti greci, fissando il luogo in cui si diceva sorgesse il vecchio faro. La famiglia presso cui alloggiavamo viveva lì da otto generazioni: il faro, insistevano, poteva trovarsi solo dove oggi si erge la fortezza di Qaytbay, ma nessuno ne aveva la certezza. Nel frattempo, avevamo negli occhi il sole calante, il cui colore macchiava l’orizzonte con ampie pennellate che non erano né rosa né arancio spento ma di un vivace e luminoso mandarino. Una tonalità che non avevamo mai visto in cielo.
Quel Perché Alessandria? poteva significare tante cose: dal Come mai questo luogo, così come appare ora, riveste un ruolo così centrale nella storia dell’Occidente? fino a qualcosa di più capriccioso, tipo Perché abbiamo deciso di venire proprio qui? Avrei voluto rispondergli: Perché con ogni probabilità tutto ciò che ha significato qualcosa per entrambi – Efeso, Atene, Siracusa – è finito qui. Pensavo ai greci, ad Alessandro e al suo amante Efestione, alla Biblioteca e a Ipazia, e infine al moderno poeta greco Kavafis. Sapevo perché me lo stava chiedendo, però.
Eravamo partiti per un tour di tre settimane nel Mediterraneo. La nave si era fermata ad Alessandria per due notti, e ci stavamo godendo gli ultimi giorni prima di tornare in Italia. Volevamo stare soli. Troppe persone in casa. Mia madre, che era venuta a vivere con noi e non riusciva più a salire le scale, adesso occupava una stanza a pianterreno non distante dalla nostra. Con lei c’era la sua badante. Poi Miranda che, quando non era in viaggio, usava la mia vecchia camera. E infine il piccolo Ollie, nella stanza accanto alla sua, che una volta apparteneva a mio nonno. Noi condividevamo la camera da letto dei miei genitori. Se di notte tossivi ti sentivano tutti, ne ero certo.
All’inizio in Italia non era stato facile come ci aspettavamo. Sapevamo che sarebbe stato diverso, ma non capivamo perché il desiderio di buttarci a capofitto in ciò che avevamo anni prima scatenasse in noi una certa resistenza a dormire nello stesso letto. Eravamo nella casa dove era iniziato tutto, ma noi due eravamo gli stessi di allora? Lui provò a dare la colpa al jet lag, e io lo assecondai. Prima di spogliarmi spensi le luci, e lui mi diede le spalle. Avevo confuso la paura di restare deluso con una paura ben più inquietante, quella di deluderlo. Quando infine si voltò e mi disse: «Elio, sono tanti anni che non faccio l’amore con un uomo», seppi che stava pensando la stessa cosa. «Magari mi sono dimenticato come si fa» aggiunse poi, ridendo. Speravamo che il desiderio cancellasse quella diffidenza, ma la sensazione di disagio non passava. A un certo punto, al buio, avvertendo la tensione tra noi, suggerii perfino che forse, se ne avessimo parlato, quello che ci tratteneva si sarebbe dissolto. Ero forse involontariamente distante? gli chiesi. No, per nulla. Stavo facendo il difficile? Il difficile? Ma no. E allora qual era il problema?
«Il tempo» rispose. Come sempre, non disse altro. Aveva bisogno di tempo? gli domandai, quasi pronto ad allontanarmi da lui nel letto. No, replicò.
Mi ci volle un momento per capire che cosa intendesse, e cioè che era passato troppo tempo.
«Abbracciami e basta» gli dissi alla fine.
«E vediamo cosa succede?» commento` all’istante in tono scherzoso, sottolineando ogni parola con una punta di ironia. Mi accorsi che era nervoso.
«Esatto, vediamo cosa succede» gli feci eco. Mi tornò in mente quel pomeriggio di cinque anni prima, quando ero andato a trovarlo in classe e mi aveva toccato la guancia con il palmo della mano. Me lo avesse chiesto, sarei andato a letto con lui all’istante. Perché non lo aveva fatto? «Perché avresti riso di me. Perché magari avresti detto di no. Perché non ero sicuro che mi avessi perdonato.»

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