“Cavour prima di Cavour. La giovinezza fra studi, amori e agricoltura” di Franca Porciani

Dott.ssa Franca Porciani, Lei è autrice del libro Cavour prima di Cavour. La giovinezza fra studi, amori e agricoltura, edito da Rubbettino, nel quale racconta i primi quarant’anni della vita di Camillo Benso, Conte di Cavour, la parte meno nota dell’esistenza del grande statista: in che modo la sua giovinezza ne influenzò la successiva stagione politica e come si svolse la sua formazione?
Cavour prima di Cavour. La giovinezza fra studi, amori e agricoltura, Franca PorcianiMi sono interessata alla parte della vita di Cavour che precede il suo ingresso in politica perché finora è stata quella meno indagata dai tanti storici che si sono occupati di lui, da Rosario Romeo a Luciano Cafagna, da Denis Mack Smith a Adriano Viarengo. Eppure sono ben quarant’anni di una breve vita – Camillo morì a soli cinquantuno anni -, come bene ha sottolineato Nerio Nesi, Presidente onorario della Fondazione Cavour nella prefazione del libro: «È merito di Franca Porciani aver affrontato quella parte della vita di Cavour che riguarda la sua giovinezza. E questo merito deriva dal fatto che quando parliamo di Cavour ci riferiamo quasi sempre al periodo “storico” della sua vita, quello che viene chiamato normalmente il “decennio cavouriano”, gli anni che vanno dal 1950 alla sua morte». In realtà gli anni precedenti incuriosiscono: sono poco noti al grande pubblico ma importanti nella formazione di quello che sarà poi un grande statista. Infanzia felice quella del piccolo conte Benso, amatissimo dai genitori, ma con un carattere ribelle che emerse ben presto: Camillo non sopportava la rigida educazione che gli fu impartita all’Accademia Militare dove arrivò a dieci anni con l’obbligo al silenzio, ogni attività svolta eseguendo ordini, e punizioni pesanti, comprese lunghe ore da passare in ginocchio. Ma sopravvisse e studiò con passione matematica e scienze. Il suo temperamento si rivelò quando a quattordici anni, nel 1824 (era nato nel 1810), nominato paggio del principe Carlo Alberto, affermò che la livrea rossa lo faceva sembrare un gambero. Il principe lo prese in antipatia e, una volta diventato Re, non cambiò mai idea sul quel piccolo “giacobino”, come lo definiva lui. Torino a quell’epoca era una città chiusa e conservatrice, e la Monarchia Sabauda la rispecchiava. Un mondo che a Camillo andava stretto già nell’adolescenza; a Torino preferiva Ginevra, città aperta e cosmopolita, da cui veniva sua madre, Adele de Sellon. L’insofferenza crebbe a livelli di guardia quando intraprese la carriera militare, unica strada possibile visto che era il figlio cadetto e il fratello Gustavo avrebbe ereditato tutto alla morte del padre, il marchese Michele (a quel tempo nelle grandi famiglie aristocratiche il patrimonio passava interamente al primogenito). Carriera che abbandonò quasi subito, a poco più di vent’anni. Nacque in lui allora l’idea di dedicarsi all’amministrazione degli sconfinati beni di famiglia, a Grinzane, vicino ad Alba e a Leri, non lontana dal Vercelli. E di viaggiare, esperienza fondamentale per la sua formazione, da cui scaturirono molte delle idee che mise in pratica in seguito. Sotto questo profilo furono determinanti i viaggi fatti in Francia e soprattutto in Inghilterra, dove era in atto la rivoluzione industriale e la modernizzazione dei trasporti. Le ferrovie inglesi entusiasmarono il giovane Conte, così come la meccanizzazione dei processi produttivi nelle campagne. A Londra partecipò anche ad una riunione della Camera dei Comuni. Negli anni giovanili manifestò chiaramente idee liberali e anticlericali in un Paese estremamente cattolico come il Regno di Sardegna, dove i Gesuiti avevano un grande potere. Di conseguenza, fu sempre un sorvegliato speciale della polizia, sia sabauda che austriaca.

Quale rapporto ebbe Cavour con le donne?
Un rapporto intenso e complicato. L’elemento che caratterizza tutte le relazioni sentimentali Camillo è la predilezione per donne aristocratiche regolarmente sposate, cosa che fece scandalo nella Torino codina dell’epoca. Anche perché furono tante: la marchesa Clementina Guasco di Castelletto, la contessa Emilia Gazzelli di Rossana e, la più importante anche per il tragico epilogo, la genovese Anna Schiaffino Giustiniani. Quello con Anna fu un amore importante che iniziò quando Camillo, tenente del Genio, nel 1830 fu mandato a Genova dove cominciò a frequentare il suo salotto, uno dei più ambiti della città perché Nina (così la chiamavano in famiglia), cresciuta a Parigi, era più estroversa delle altre nobildonne liguri e colta, raffinata e mazziniana convinta in una città che mal sopportava l’annessione al Regno di Sardegna. Quindi, sorvegliata speciale della polizia anche se il marito, il marchese Stefano Giustiniani, rampollo di una delle famiglie più ricche e importanti della Liguria, era gentiluomo di camera del re Carlo Felice. Relazione che andò avanti a più riprese fino a 1834, grazie alla tolleranza del marito, che cercava di evitare lo scandalo a tutti i costi. Ma ci pensava Anna a rendere l’amore per Camillo di dominio pubblico: non faceva niente per nascondere i suoi sentimenti anche ai genitori che cominciarono a tormentarla perché mettesse fine alla relazione. Ma fu Camillo a tradirla con le due signore già citate e a dimenticarla nell’arco di breve tempo anche se la passione c’era stata, preso dai suoi viaggi in Europa. Ma Anna, non rinunciò alla sua storia d’amore, coltivò i suoi ricordi, isolandosi sempre di più dal mondo che la circondava. Tentò due volte il suicidio senza riuscirci (ingerì del veleno ma fu salvata), finché nel 1841 si buttò dalla finestra di Palazzo Lercari dove i Giustiniani vivevano. Aveva soltanto 34 anni. Un’altra storia di una certa importanza fu quella con la francese Mélanie Waldor, donna navigata di quindici anni più grande di Camillo, figlia di un letterato e, a sua volta, scrittrice, moglie separata di un ufficiale ed ex amante di Alexandre Dumas. I suoi romanzi – tanti – sono oggi pressoché dimenticati. I due si conobbero nel 1838, durante uno dei soggiorni parigini di Camillo, e la loro relazione durò pochi mesi, poi il nostro tornò a Torino dove fu tormentato dalle lettere di Melanie, che gli chiedeva di tornare a Parigi per vivere con lei. Camillo se ne guardò bene. La scrittrice l’anno dopo pubblicò un romanzo palesemente autobiografico, Alphonse et Juliette, che mise non poco in imbarazzo il giovane Conte. I loro rapporti rimasero comunque buoni negli anni seguenti. (Negli anni della maturità Camillo si innamorò della ballerina Bianca Ronzani; un rapporto clandestino, comunque molto intenso, che durò fino alla morte di lui. Nel mio libro c’è solo un accenno a questa storia perché riguarda gli ultimi anni di vita dello statista). C’è da dire comunque che il Conte non era un libertino: le sue erano vere passioni, non passatempi, e per amore soffrì, soprattutto nella storia con Emilia Gazzelli, sposatissima e con un marito geloso, storia che durò un bel po’ di tempo.

In quali attività imprenditoriali si impegnò il Conte?
Questa è la parte più estesa del libro, cui ho dato molto risalto perché non è così nota. In agricoltura Camillo fu veramente un innovatore, sia a Grinzane che a Leri. A Grinzane, a pochi chilometri da Alba, i Benso possedevano il castello (esiste tuttora, restaurato negli anni Sessanta del Novecento) e terreni per 200 ettari. Camillo prese in carico la proprietà nel 1831 e nel giro di poco tempo sovvertì un mondo immutato da secoli. La produzione del vino a quell’epoca era un disastro (e non solo in Piemonte), fatta con metodi antiquati e con un prodotto finale di scarsa qualità e impossibile da trasportare perché si deteriorava velocemente. Il Conte si rivolse ad un enologo esperto, Paolo Francesco Staglieno, che per stabilizzare i vini, ricorse alla chiarificazione con albume d’uovo per i neri e con colla di pesce per i bianchi. Poi cominciò anche ad impiegare il biossido di zolfo sia per il vino che per la pulizia delle botti. Il vino così cambiò, divenne asciutto, alcolico e capace di resistere nel tempo. Staglieno lasciò Grinzane nel 1840, ma gli subentrò un enologo francese con base operativa a Genova, Louis Oudart, noto per aver lavorato alla realizzazione di un vino conosciuto come barolo presso una cara amica di Camillo, la marchesa Giulia Colbert Falletti, che possedeva vigne e cantine a Barolo, paese della Langhe distante pochi chilometri da Grinzane. Cavour seguendo il suo esempio, si convertì alla produzione di questo nuovo vino con successo. Ma il capolavoro di imprenditoria agricola fu la tenuta di Leri nel vercellese (oggi si chiama Leri Cavour) che lui prese in consegna dal padre nel 1835. Terra paludosa e insalubre dove si coltivava principalmente riso. La proprietà dei Benso era sconfinata, più di mille ettari, e vi lavorava un centinaio di salariati fissi e manovali. Le terre come le trovò Camillo riflettevano lo stato dell’agricoltura piemontese dell’epoca: la risaia occupava il 60 per cento della superficie, ma non si concimava, la monda veniva fatta in modo approssimativo e la varietà coltivata era il Nostrale, nonostante fosse attaccato da un fungo, il brusone, che si diffondeva con il caldo nel mese di luglio. Così si cominciarono a piantare altre varianti resistenti al fungo: il Chinese e il Bertone e l’Ostiglia. Ma Cavour si rese ben presto conto che i metodi erano troppo antiquati: la trebbiatura veniva fatta a mano, un lavoro lungo e faticoso e l’essiccazione richiedeva 3 o 4 giorni di sole. Allora il nostro Conte cercò una alternativa; si rivolse all’ingegnere Rocco Isidoro Colli che nel 1836 aveva costruito un rudimentale trebbiatoio per il riso. Grazie alla collaborazione fra i due, si arrivò al nuovo trebbiatoio inaugurato a Leri nel 1844. Camillo fece anche costruire a Torino un brillatoio di grande capacità, basato su tecniche nuove e fu il primo ad importare il guano prodotto dagli escrementi di uccelli marini depositati lungo le coste del Cile e del Perù, per concimare. Così la produzione del riso aumentò in modo significativo.

Franca Porciani, giornalista e scrittrice, laureata in Medicina con specializzazione in Geriatria e Gerontologia, esercita per qualche anno la professione per scegliere poi la strada del giornalismo. Diventa giornalista professionista nel 1987 e pochi anni dopo viene assunta al «Corriere della Sera» dove rimane per più di vent’anni. È autrice di Traffico d’organi. Vecchi cannibali, nuove miserie (Franco Angeli, 2012). Negli ultimi anni rivolge il suo interesse specialmente a temi di costume e di storia. Nel 2016 pubblica, insieme a Elio Musco, Restare giovani si può, edito da Giunti, di cui esce nel 2017 l’edizione francese, Restez Jeune, per Marie Claire Editions. Nel 2017 pubblica, con Rubbettino, Costantino Nigra, l’agente segreto del Risorgimento (finalista al Premio Fiuggi Storia, 2018). Ancora per FrancoAngeli, nel 2018 è uscito Vite a perdere, i nuovi scenari del traffico d’organi di cui è autrice insieme a Patrizia Borsellino. Dal dicembre 2019 è direttrice del mensile di informazione e approfondimento culturale online ilbuongiorno.com. È in libreria in questi giorni il suo nuovo libro Cavour prima di Cavour, “La giovinezza fra studi, amori e agricoltura”, ancora con Rubbettino.

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