“Cattivi seriali” di Andrea Bernardelli

Prof. Andrea Bernardelli, Lei è autore del libro Cattivi seriali edito da Carocci che tratta dei personaggi antipatici, cattivi e moralmente discutibili che popolano le serie TV dei giorni nostri: gli antieroi sono ora diventati eroi?
Cattivi seriali Andrea BernardelliIn un certo senso sì. Perché i cattivi, o quelle figure più sfumate e ambigue che sono gli antieroi, in alcune serie tv sono diventati protagonisti. Tradizionalmente, nelle forme narrative popolari i cattivi, i villains, sono degli antagonisti, si contrappongono alla figura eroica del protagonista e ai suoi progetti. Ma una variante narrativa è quella di costruire un protagonista cattivo, oppure non così eroico e perfetto come gli spettatori se lo aspettano, ed ecco l’antieroe, con tutte le sue diverse sfumature. Si dice che per scrivere una buona sceneggiatura basti avere un bel cattivo. Quindi ancor meglio è fare coincidere la figura del cattivo con quella del protagonista stesso, invece di relegarlo al ruolo di comprimario. Si deve ricordare che la figura dell’antieroe dal punto di vista storico ha una lunga tradizione in altre forme narrative, nel teatro, basti pensare alle figure di Edipo o di Amleto, nella letteratura, esemplari in questo caso sono i protagonisti antieroici dei romanzi di Dostoevskji, fino al cinema con innumerevoli esempi. Nella serialità televisiva l’uso di protagonisti antieroici, o esplicitamente cattivi, è entrata in uso più di recente, dalla serie I Soprano (1999) per intenderci. Da lì sono emerse ‒ anche se sempre in parallelo con protagonisti più tradizionalmente eroici di altre serie tv ‒, delle figure antieroiche, da Dr. House, a Walter White, o Dexter Morgan, solo per citarne alcuni. Potremmo dire che il protagonista antieroico viene usato quando una forma narrativa raggiunge una certa maturità espressiva. Da quando alcune produzioni televisive di serialità hanno cercato una maggiore complessità narrativa, per attrarre un pubblico dal gusto più raffinato, ecco che diventa importante l’uso di figure antieroiche. Se la struttura narrativa deve essere complessa, allora allo sceneggiatore serve un protagonista complicato e difficile, che offra sfumature e sviluppi narrativi inattesi.

Quali sono le diverse tipologie di protagonista antieroico, i cosiddetti rough heroes?
Possiamo pensare alle tipologie di personaggio protagonista come se fossero collocate su una linea. Ai due estremi si trovano le due figure “piatte” e stereotipate dell’eroe e del villain, il buono e il cattivo assoluti; da un lato James Bond, dall’altro Goldfinger, per intenderci. In mezzo, lungo quella linea tra eroe e villain possiamo collocare tutte le forme sfumate e articolate di protagonista. In sostanza, lì in mezzo, non abbiamo più un protagonista “senza macchia e senza paura”, eroico nel senso più tradizionale, ma abbiamo un personaggio “con qualche macchia e diversi timori”, un antieroe appunto. È come se la figura dell’eroe si “sporcasse” e diventasse un po’ cattiva, si caricasse di tratti negativi. Da qui l’asociale e antipatico dr. House, o il serial killer che vendica crimini impuniti, Dexter Morgan. Da notare che tra queste due figure esiste una distanza, anche se fondamentalmente sono entrambi personaggi antieroici; buoni nella sostanza, ma con diversi gradi di negatività “di superficie” (Dexter è un serial killer che lentamente recupera la propria umanità sepolta nel profondo). Allo stesso modo sull’altro versante, a partire dalla figura del villain e seguendo la linea in direzione della figura dell’eroe, possiamo pensare che sia il cattivo a “sporcarsi”. In tal modo il villain incomincia a manifestare tratti di positività. Ed è qui che possiamo parlare di una diversa caratterizzazione rispetto all’antieroe, quella del rough hero. Se l’antieroe è un personaggio fondamentalmente positivo ed eroico, ma che manifesta delle negatività di superficie, quindi recuperabili e accettabili, il rough hero è invece un villain che manifesta delle debolezze, vale a dire che ha dei cedimenti di umanità e di normalità. Tony Soprano è l’esempio più calzante di questa figura. Resta sempre un boss mafioso, è un villain, ma come spettatori conosciamo anche i tratti più umani del personaggio, è un padre di famiglia e ha problemi che richiedono l’aiuto di una psicoterapeuta. È come se avessimo, su quella linea virtuale, da un lato la sequenza degli antieroi, e dall’altro quella degli anti-villains, con tutte le loro diverse sfumature.

Attraverso quali meccanismi gli sceneggiatori ci portano ad accettare e a giustificare le loro azioni criminali o eticamente scorrette?
I trucchi usati dagli sceneggiatori per creare “simpathy for the devil” sono tanti. Uno l’ho già citato per Tony Soprano. Del personaggio negativo faccio vedere anche gli aspetti umani di fragilità e di insicurezza, rendendolo più simile allo spettatore. La stessa forma seriale della narrazione innesca inoltre un meccanismo di familiarizzazione con il personaggio che seguiamo di puntata in puntata. Il meccanismo è quello secondo cui perdoniamo ad un amico azioni che troveremmo insopportabili in un estraneo. Se il rough hero ci è familiare, è un po’ un vecchio amico, lo scusiamo almeno in parte per le sue pessime azioni. Un altro meccanismo è quello che potremmo definire della dialettica realismo/finzione. Alle azioni cattive del personaggio realisticamente rappresentate, vengono contrapposte situazioni tipicamente finzionali. In un certo senso al pugno nello stomaco dato dal realismo dell’azione del personaggio si contrappone un qualche aspetto che ricordi allo spettatore che è tutto falso. Un momento comedy, o una situazione surreale, spezzano la sensazione di immoralità o di negatività delle azioni del personaggio. Un altro meccanismo è quello detto del male minore. Il nostro protagonista, sebbene sia cattivo, lo è sempre meno di tutti i personaggi che lo circondano. In questo modo lo spettatore è invitato ad accettare la negatività del protagonista come relativa, e quindi in parte scusabile. Spesso anche le caratteristiche dell’interprete hanno una funzione decisiva nel fare accettare un protagonista negativo. Un attore bello o dotato di un particolare carisma inevitabilmente porta lo spettatore a sopportare l’immoralità del personaggio interpretato.

Come sono state recepite e sviluppate dalla serialità televisiva italiana queste figure?
Mi sembra siano state apprezzate da una particolare tipologia di spettatore, quello che cerca cose nuove o forme di narrazione più complesse di quelle offerte di solito dalla televisione. Sono state usate e sviluppate nelle produzioni italiane con una certa parsimonia date le caratteristiche del nostro sistema televisivo. Il mercato della serialità televisiva da noi è più ristretto rispetto a quello nordamericano. I canali in chiaro hanno esigenze che non sono quelle di attrarre un pubblico di nicchia, come le reti cable statunitensi (HBO, Showtime, AMC) o le nuove piattaforme, come Netflix. Di conseguenza è un prodotto molto tradizionale come Don Matteo a offrire gli ascolti necessari ad una rete generalista. Di recente Sky ha offerto esempi di produzioni più rischiose nel nostro contesto nazionale, come Romanzo criminale, Gomorra, o The Young Pope, che vanno in direzione di un pubblico più ristretto quantitativamente, ma che cercano una diversa qualità. E lì appaiono antieroi e antivillains, inevitabilmente.

Ciro Di Marzio sembra incarnare perfettamente la figura del protagonista antieroico: possiamo affermare che questi meccanismi siano alla base del successo di Gomorra?
In realtà non proprio. Nel senso che le figure dei rough heroes di Gomorra – Ciro, Genny, Don Pietro, Scianel, e altri -, sono solo un dispositivo narrativo, tra gli altri, utile per aumentare le potenzialità di sviluppo del racconto. Ci sono tanti elementi che concorrono a rendere quella serie interessante e ricca di spunti. Ad esempio, la forte continuità narrativa, la serializzazione, simile a quella di una soap opera, che ci costringe a portare la nostra attenzione sempre verso ciò che sta per accadere, o che accadrà nella puntata successiva. La contrapposizione tra un forte impatto realistico degli eventi narrati e una recitazione invece melodrammatica e teatrale che richiama lo spettatore alla finzionalità di quanto narrato. La stessa città di Napoli, con la scelta delle locations di Scampia e Secondigliano, che non è semplice sfondo inerte, ma diventa un elemento portante del meccanismo narrativo stesso (portando con sé anche spunti polemici extra-narrativi). Certo le figure di personaggi cattivi e complessi, degli antivillains tormentati e insicuri, sono un importante aspetto per calamitare l’attenzione degli spettatori che, come me, stanno aspettando la terza stagione della serie.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link