“Caravaggio. La fabbrica dello spettatore” di Giovanni Careri

Caravaggio. La fabbrica dello spettatore, Giovanni CareriProf. Giovanni Careri, Lei è autore del libro Caravaggio. La fabbrica dello spettatore edito da Jaca Book: quando e come nasce l’immagine di Caravaggio pittore maledetto?
Caravaggio ha avuto molto successo da vivo soprattutto presso gli artisti che ne hanno copiato le opere e imitato lo stile. Reagendo contro l’onda caravaggesca del suo tempo, Giovanni Pietro Bellori critica il pittore lombardo nelle sue Vite (1672) per mancanza di decoro e per il suo ostentato realismo. In un certo senso è proprio con Bellori che l’immagine del pittore come un uomo violento e irrequieto comincia a imporsi.
Tuttavia la figura del pittore maledetto e bohémien appartiene al diciannovesimo secolo, un’epoca durante la quale Caravaggio era quasi stato dimenticato dai critici e dagli storici dell’arte, Bisognerà aspettare gli studi di Longhi di Venturi nel ventesimo secolo perché del pittore si torni a parlare. La pittura interessa questi due autori più della vita e anche io ho voluto seguire questa strada. Troppo spesso, infatti, si semplifica all’eccesso il rapporto tra la vita e l’opera. Caravaggio ha avuto una vita violenta ma questo non spiega certo la complessa elaborazione delle sue pitture che mostrano un atto violento né tantomeno il suo uso dello sfondo scuro.

Nel Suo libro Lei prende in esame diverse opere del Caravaggio: perché L’Incredulità di san Tommaso è particolarmente notevole?
Ho scelto di cominciare il libro con una lunga analisi di questo quadro perché vedo un’analogia tra il gesto di afferrare la mano di Tommaso per farla entrare nel proprio corpo e la sollecitazione che il dipinto rivolge allo spettatore. Il quadro lo invita a toccare e a farsi toccare della pittura e a intraprendere un lavoro d’introspezione comparabile a quello dell’apostolo incredulo. L’incredulità di san Tommaso è un’opera che non nasconde l’inerzia di chi non crede e in questo modo dispone per lo spettatore una posizione che egli può assumere se si sente incapace di credere. Un altro aspetto straordinario di questo quadro è che non si limita a descrivere il processo di trasformazione interiore di Tommaso ma esibisce anche la materialità del corpo di Cristo resuscitato e presenta, a mio avviso, questa scena come una sorta di anticipo della fine dei tempi quando – come scrive san Paolo – coloro che credono saranno introdotti nel corpo del Redentore

Tra le opere giovanili di Caravaggio, nel Ragazzo morso da un ramarro egli si impegna in una profonda sperimentazione.
Il ragazzo non ha ancora collegato il dolore con la sua causa, una scossa ne contrae il corpo intero. Per la prima volta nella storia della pittura c’è data da vedere la pura sensazione, la contrazione della carne indipendentemente da ogni significato. Siamo di fronte a un’esperienza se intendiamo con questo termine l’incontro con un fenomeno contingente del quale non abbiamo ancora una conoscenza intellettuale. L’effetto della scarica che attraversa il corpo del ragazzo è una tempesta di pieghe che ne manifesta al tempo stesso il carattere intensivo e quello dell’assenza di controllo: il soggetto è agito dalla sensazione invece di utilizzarla ai fini della comprensione e del controllo del mondo che lo circonda. Questo momento di spossessamento è stato al centro di altre ricerche artistiche soprattutto quelle che rappresentano l’estasi mistica, ma qui la forza che porta il ragazzo “fuori di sé” non è spirituale ma naturale.

Ne La Buona ventura ci troviamo di fronte ad un lirismo di scena d’amore.
È un dipinto « di genere » ossia una scena di vita quotidiana senza riferimenti a un testo evangelico o mitologico. Caravaggio sembra aver capito molto presto l’interesse di questo tipo di pittura che autorizza interessanti esperimenti. In questo quadro un giovane nobile affida la sua mano a una fanciulla di “razza egiziana” come scrive Bellori. Ci si potrebbe attendere a una scena comica (la ragazza sfila l’anello al giovane ingenuo) ma il latrocinio è solo suggerito e non visibile. Ci si potrebbe anche aspettare una costruzione della differenza “dell’altro”, attribuendo alla donna una pelle scura o un abito esotico ma la zingara di Caravaggio è bianca ed elegantemente vestita. Lorenzo Pericolo ha suggerito che qui al genere comico si mescola quello lirico e lo schema iconografico della coppia di innamorati. Sviluppando alcune riflessioni sulla specularità narcisistica dei primi dipinti di Caravaggio ho avanzato l’ipotesi che anche qui i due volti si specchiano l’uno nell’altro, il loro innamorarsi si manifesta nella loro somiglianza.

Quale rilevanza assume la gestualità ne La Deposizione dalla croce?
In questo grande quadro d’altare riconosciamo gesti “antichi” di dolore come quello della madre dei Niobidi o ancora quello del cadavere di Meleagro ma accanto queste formule del pathos si vedono gesti di “dolore moderno” (Maddalena si asciuga le lacrime con un fazzoletto) e un forte accento sull’interiorizzazione degli affetti. Riferendomi a Eric Auerbach ho qualificato come “realismo” cristiano questa mescolanza di forme “alte” e di forme “basse”. A questo si aggiunge la corporeità dei personaggi che circondano il corpo di Cristo e particolarmente quella di Nicodemo che sembra voler invitare lo spettatore a sollevarne con lui il peso. Come in altre opere di Caravaggio il modello che ha posato per Nicodemo è una persona tratta dalla strada, un corpo che non scompare sotto i tratti del personaggio interpretato. Anche questo aspetto contribuisce al “realismo” di questo dipinto.

In Davide e Golia Caravaggio fa della testa di Golia decapitato un singolare autoritratto.
Il lavoro compiuto da Caravaggio a partire dalla propria immagine è una delle questioni centrali del mio libro: dai primi saggi allo specchio fino al Golia. È stato scritto che il quadro espone una confessione di colpevolezza e l’espressione di una autopunizione immaginaria, destinato a Scipione Borghese al quale il pittore chiedeva aiuto per ottenere la grazia papale dalla condanna che aveva fatto seguiti all’omicidio di Ranuccio Tommasoni. Senza escludere questa interpretazione mi sono interessato al legame del dipinto con la Medusa degli Uffizi. Nei due dipinti la pittura svela il suo legame con la morte, un rapporto che di solito viene occultato con mille artifizi, mentre qui si vede che dipingere qualcuno equivale a immobilizzarne i tratti.
Il Golia mi sembra rientrare in una serie di autoritratti penitenziali a cominciare dalla pelle che pende dalle braccia di san Bartolomeo nel Giudizio Universale.  Per questo tipo di esperienze il termine “autoritratto” andrebbe lasciato da parte per evitare equivoci: si tratta di un lavoro sottile di alterazione della propria immagine sia sul piano della forma che su quello del senso.

Quali considerazioni complessive possiamo fare dell’intera opera caravaggesca?
Ho cercato di mettere in evidenza ciò che nella sua opera ci riguarda, tenendo conto della storia ma senza ridurre la sua opera al mero ruolo di testimonianza di un’epoca. La pittura di Caravaggio contiene una riflessione sull’atto del dipingere e su quello del guardare, un’elaborazione della questione molto attuale dell’immagine di sé, un interrogativo sulla materialità della pittura. Quando si rappresenta nell’atto di fuggire dalla chiesa dove san Matteo subisce il martirio, Caravaggio pensa “in pittura” l’atto testimoniale, preso tra compassione e voyeurismo. Si tratta di un’opera molto studiata e quindi di un caso molto interessante per discutere la metodologia della storia dell’arte, per spostare il punto di vista e spingere oltre l’interpretazione.

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