Parafrasi del Canto XI
– Padre nostro, che sei nei cieli, siano lodati da ogni creatura il tuo nome e il tuo valore. Venga a noi la pace del Tuo regno, perché noi non possiamo arrivarci da soli, malgrado i nostri sforzi. Come gli angeli, così anche gli uomini possano essere disposti a sacrificare a Te la loro volontà. Dacci oggi il pane quotidiano senza il quale, in questo deserto che è il mondo, quelli che più tentano di avanzare, più retrocedono. E come noi perdoniamo tutti quelli che ci hanno fatto del male, così Tu perdona noi. Non tentarci con il male, perché siamo troppo fragili, ma liberaci da esso. Ti chiediamo questo, Signore, non per noi, che ormai siamo nella Tua grazia, ma per quanti ancora vivono e ancora rischiano la dannazione. –
Così pregavano le anime, oppresse da quei pesi tremendi come da incubi notturni, sfinite, girando intorno alla montagna per purificarsi dalla sporcizia del mondo. Pregavano per loro, ma soprattutto per noi viventi: un atto di carità che noi dobbiamo ricambiare. Preghiamo, quindi, per loro, perché più rapidi possano salire al cielo.
– Vi auguro – disse loro Virgilio – di potervi liberare quanto prima di questi pesi, in modo da iniziare il volo che esaudirà tutti i vostri desideri. Vi prego, diteci da che parte possiamo salire e, se ci sono più passaggi, indicateci quello più agevole, perché il mio compagno ha ancora il corpo e questo gli rende la salita faticosa e lenta. –
Non capii da chi provenissero, ma udii queste parole che rispondevano al mio maestro: – Venite con noi a destra, lungo la parete del monte. Troverete un passaggio adatto anche a un vivo. Se io potessi sollevare lo sguardo, cosa che non riesco a fare, a causa di questo masso che piega la mia testa superba, io vorrei guardare quello che tu dici essere ancora vivo, per vedere se lo conosco e per cercare di suscitare la sua pietà nei miei confronti. Sono un italiano, nato da un nobile toscano. Mio padre era Guglielmo Aldobrandeschi, non so se lo avete mai sentito nominare. La nobiltà della mia famiglia e le grandi imprese dei miei antenati mi resero tanto arrogante che, non pensando che noi uomini deriviamo tutti da una madre comune, disprezzai i miei simili a tal punto che fui ucciso. Lo sanno bene i Senesi e, nella zona di Campagnatico, anche i bambini conoscono la storia della mia morte. Mi chiamo Omberto e la superbia ha rovinato non solo me, ma tutti quelli della mia famiglia. Capisci, quindi, perché io ora devo portare questo peso: non ho mai chinato la testa da vivo, é giusto che lo faccia ora, ora che sono fra i morti. –
Conoscevo bene la vicenda terrena di quell’anima, anche se Omberto era morto sei anni prima della mia nascita. Del resto, nonostante la modestia di quel penitente nel presentarsi, il nome degli Aldobrandeschi era molto conosciuto. Erano conti della Maremma senese, accesi ghibellini ed eterni nemici del comune di Siena. Omberto aveva ottenuto la signoria del castello di Campagnatico, nel Grossetano. Anche di lì, comunque, aveva sempre fatto di tutto per danneggiare i Senesi. E, a quanto si raccontava, era stato soffocato nel suo letto proprio da sicari di Siena, travestiti da frati.
Mentre lo ascoltavo, avevo chinato in giù la faccia: solo per cercare di vedere Omberto oppure per l’istintiva consapevolezza di essere anch’io un superbo, per una sorta di simbolica espiazione?
Un altro spirito si contorse sotto il proprio macigno. Mi vide, mi riconobbe e mi chiamò, tenendo, anche se con
grande fatica, gli occhi fissi su di me.
– Oh! – gli dissi – Non sei Oderisi da Gubbio, il grande miniaturista? –
Era morto da un anno appena ed era stato prodigioso nella difficile arte della miniatura.
Mi rispose umilmente: – Sono stato grande, certo. Ma adesso un mio allievo, Franco Bolognese, mi ha superato. Non lo avrei mai ammesso, da vivo. Ero convinto che non ci potesse essere nessuno migliore di me. E ora é proprio questa mia superbia che sto scontando. Non sarei neanche qui, ma nell’Antipurgatorio, se non mi fossi pentito quando ancora avevo la possibilità di peccare. Adesso capisco davvero quant’è fragile la gloria umana! Riteniamo di essere i più grandi, ma la nostra superiorità dura così poco. Cimabue credeva di essere il re dei pittori, e invece il suo allievo Giotto ha oscurato la sua fama. Allo stesso modo, nella poesia in volgare, Guido Cavalcanti ha soppiantato Guinizzelli. E forse è già nato il poeta che supererà l’uno e l’altro. –
Chi era quel poeta? Ero io? La mia superbia mi diceva di sì.
– La fama terrena – continuò Oderisi – è come il vento, che soffia ora da una parte, ora dall’altra e che cambia il suo nome, secondo la direzione da cui proviene. Fra mille anni, che differenza farà, per la tua notorietà, se tu sarai morto da vecchio o prima ancora di imparare a parlare? E se poi pensi che mille anni, in confronto all’eternità, sono più brevi di un battito di ciglia… Guarda, ad esempio, quello spirito, quello che cammina tanto lentamente davanti a me. Era conosciuto e celebrato in tutta la Toscana. Sono passati poco più di trent’anni da quando è morto, e adesso è già tanto se lo si sente nominare a Siena, la città di cui fu il principale cittadino e che guidò alla vittoria di Montaperti contro Firenze, a quel tempo superba quanto oggi é puttana. Il successo umano é proprio come il colore dell’erba, che rapidamente svanisce a causa di quel Sole che pure l’ha fatta spuntare e crescere. –
Domandai a Oderisi di spiegarmi meglio chi fosse l’anima di cui mi aveva parlato. Mi rispose che si trattava di Provenzan Salvani, un ghibellino che aveva fatto una carriera politica rapidissima e che era poi morto decapitato, dopo la battaglia di Colle di Valdelsa contro i Fiorentini. Notai che la sua anima doveva sopportare un peso particolarmente grande. Pensai che ciò dipendesse dal fatto che particolarmente grande era stata la sua presuntuosa superbia. Per quel che sapevo di lui, anzi, mi sembrava strano che fosse già nel Purgatorio. Si diceva che avesse pronunciato parole di pentimento solo prima che gli tagliassero la testa. Espressi la mia perplessità a Oderisi. Mi rispose ricordandomi un episodio della vita del senese, quello che aveva permesso alla sua anima di arrivare così presto all’espiazione. Nella battaglia di Tagliacozzo contro Carlo d’Angiò, un suo carissimo amico era stato fatto prigioniero e, per la sua liberazione, era stato chiesto un riscatto esorbitante.
– Non ci crederai, – continuò Oderisi – ma quel superbo di Provenzan Salvani si ridusse a chiedere l’elemosina nella piazza del Campo di Siena, per poter raccogliere la somma necessaria per salvare il suo amico. Fu umiliante per lui essere costretto a chiedere e ti devo dire che lo sarà presto anche per te. Ma fu proprio quel gesto che gli permise di rimanere così poco nell’Antipurgatorio. –