
La formazione di Canova, che descrivo ampiamente nel libro, si avvia con lo studio delle opere antiche; a Venezia ha a disposizione statue greche e romane nelle copie possedute dal nobile Farsetti, collezionista e commerciante d’arte. Il giovane Canova rimane affascinato da quella perfezione, tuttavia intuisce subito che, sì, lo studio dell’antico è la scuola obbligata per chi, come lui, vuole fare della scultura la sua ragion di vita, ma all’antico bisogna associare lo studio della natura. Gli studi anatomici e l’osservazione diretta delle fattezze umane conferiscono nuova vitalità e sentimento alle bellezze algide dei marmi greci e romani, le cui proporzioni rimangono tuttavia i capisaldi della perfezione scultorea. Canova quindi si pone come innovatore nell’arte del tempo, ancora incerta tra il nascente stile romantico e gli esordi del Neoclassicismo.
Come si articolò la formazione artistica dello scultore veneto?
Studiava all’Accademia di Venezia e disegnava le statue del Farsetti mentre lavorava come aiutante allo studio di Torretti, uno scultore di qualche fama in ambito veneto. Lì conobbe e fece amicizia con Antonio D’Este, le cui Memorie di Antonio Canova sono preziose per ripercorrerne la vita. Nelle Memorie per servire alla vita del Marchese Antonio Canova Iseppo (Giuseppe) Falier, figlio del senatore Giovanni, raccontò l’infanzia con Canova: giocava, molto democraticamente, nel giardino della villa di famiglia ad Asolo con il coetaneo Tonino, che per lui disegnava e scolpiva statuine, talmente belle da sorprendere il nobile padre al punto da indurlo a prendersi cura del giovanissimo innato talento e a sostenerlo economicamente. Su insistenza di D’Este, che nel frattempo si era trasferito a Roma, e con il sostegno di Falier, anche Tonino Canova trasferì a Roma, ospite dell’Ambasciatore Zulian a studiare i capolavori antichi. Il viaggio da Venezia a Roma, descritto dallo stesso Canova nel Diario, è una miniera d’informazioni sulla vita del tempo, su modi e tempi di viaggiare. Canova lo compilò durante il soggiorno a Roma e il viaggio a Napoli con Selva, e lo interruppe a metà del rientro a Venezia. Una vita interessante, ricca di incontri; ma era l’arte, quella che scandiva le sue giornate, disegni, accademie di disegno, visite e studio delle sculture antiche disseminate in città e nei dintorni.
Quali vicende segnarono la sua vita sentimentale e familiare?
Della vita sentimentale si sa poco, direi l’indispensabile, né ho voluto calcare la mano, perché esistono poche testimonianze al riguardo. Bisogna tener presente la riservatezza, la modestia, in qualche caso anche l’estrema timidezza del mio protagonista, è ovvio che sia arduo documentare questioni tanto intime. Si sa che fu fidanzato con la bellissima Domenica, una delle figlie di Giovanni Volpato, altro illustre veneto trasferito a Roma, famoso incisore, antiquario, mercante d’arte. Ma il fidanzamento non andò a buon fine. Fu sul punto di sposarsi in età matura, ma questa volta tentennò e poi rinunciò, per dedicarsi anima e corpo all’Arte. Altre magnifiche nobili signore destarono il suo interesse: con loro mantenne una nutrita corrispondenza fino alla morte.
Fu la famiglia ad essere costantemente al centro dei suoi affetti, la madre Angela, i nonni; divenuto abbiente aiutò i parenti in difficoltà, descrivo in più passaggi la sua generosità, incanalata sia verso i familiari che verso i poveri, soprattutto artisti in difficoltà, che sostenne già con i primi guadagni. Divenne ricco grazie all’attenta gestione dei proventi della sua arte, tutelati da Antonio D’Este, assai più abile di lui a contrattare e stabilire i prezzi delle statue con i committenti. Gli fu vicina anche Luigia Giuli, entrata in casa Canova come governante e presto rivelatasi apprezzata pittrice ed esperta d’arte, una sorta di sostituta della madre Angela.
Qual era la personalità dell’artista?
Come ho accennato, molte testimonianze coeve e i tanti ritratti e autoritratti raccontano del volto franco, dello sguardo diretto, della voce pacata e dell’espressione gentile. Educato, modesto, timido, schivo al punto da fuggire quando si accorgeva di essere al centro dell’attenzione durante le celebrazioni in suo onore. Non sopportava le lodi, che, diceva, indebolivano il carattere e inducevano ad adagiarsi sugli allori. Invece gradiva amava ascoltare le critiche, purché sensate e costruttive, che gli permettevano di meditare e correggere gli errori. Però amava anche le burle. Ho raccontato i motteggi e gli scherzi architettati insieme a Toni D’Este, anche lui spirito arguto, ma dal carattere più “fumantino” rispetto al nostro Canova.
Insomma era una persona amabile ed educata, per questo assai ricercato in società; ma il più delle volte si sottraeva agli inviti, perché non amava perdere tempo, l’arte vinceva su tutto.
Potremmo definire Canova una vera e propria “star”: il suo enorme successo gli valse l’ammirazione di re, principi, papi e imperatori e gli consentì di accumulare una fortuna immensa. Come costruì il suo successo?
Lavoro, lavoro, lavoro, senza risparmio. L’Arte era il suo primo pensiero. A volte Toni D’Este a notte lo trascinava via dallo studio, quando lo trovava sfinito e appoggiato al muro senza la forza di alzare il mazzuolo. Ma proprio questa tenace forza di volontà, associata all’innata valentìa, gli permisero di arrivare ai vertici dell’Arte del tempo. Poco più che ventenne aveva già conquistato gli esperti d’arte della corte romana, pontefice compreso. I grandi lavori delle tombe papali, quella di Clemente XIV ai Santi Apostoli e quella di Clemente XIII Rezzonico in San Pietro, gli valsero l’ammirazione dei potenti, che presto scavalcò i confini dell’Italia per arrivare sino in Russia, Inghilterra e nei nuovi Stati d’America. Poco a poco e grazie alle accorte mediazioni di Toni D’Este tra Canova e i committenti i prezzi delle sue opere si adeguarono ai compensi degli artisti più famosi. Ma quel fiume di denaro solo in parte veniva gestito dai suoi banchieri di fiducia a Roma e a Venezia; la maggior parte era distribuito tra gli aiuti a poveri, artisti e non, i parenti, che grazie a Tonino raggiunsero un benessere mai provato fino ad allora. L’Accademia di San Luca, prestigiosa fondazione artistica romana, grazie a Canova fu salvata dalla bancarotta e poté riprendere i corsi di formazione per artisti. Finanziò anche diverse opere romane, le Erme che andarono ad abbellire il Pantheon, gli affreschi del Museo Chiaramonti, sezione dei Musei Vaticani, ai quali donò anche le statue di Perseo e dei due pugilatori Creugante e Damosseno, per riempire i vuoti lasciati dalle spoliazioni operate dai francesi conquistatori. Istituì anche borse di studio e concorsi per giovani artisti e pagò di tasca sua donandole al Vaticano opere destinate a compratori d’oltralpe. Tutto ciò contribuiva a diffondere la sua fama e a conquistargli la stima di principi e potenti. La Zarina di Russia voleva che Canova si trasferisse a San Pietroburgo, Napoleone lo voleva a Parigi, a tutti rispose con fermi dinieghi. A San Pietroburgo non andò mai, a Parigi andò tre volte, due chiamato da Napoleone, una dagli statisti della coalizione antinapoleonica che si spartivano il tesoro razziato durante le campagne d’Italia. Straordinari documenti autografi di Canova ci riportano con la consueta semplicità i dialoghi tra l’artista e l’Empereur, che, di solito burbero e altezzoso, Tonino descrive bonario, insolitamente loquace, incline al motteggio e alle chiacchierate da pari a pari. Napoleone ammirava Canova e capì che trattenerlo a Parigi gli avrebbe tarpato le ali; l’artista doveva rimanere libero di creare, non divenire un servo del potere. Tra i due s’instaurò subito un clima di franchezza e l’intransigente, rigidissimo imperatore dei francesi da Canova accettò e mise in atto cambiamenti e sostegni economici agli stati italiani ridotti in povertà dalla dominazione francese e la decisione dell’artista di sottrarsi al coatto domicilio a Parigi.
Nel corso della sua lunga carriera Canova sviluppò un’intensissima attività scultorea, realizzando decine di statue, alcune colossali: come era organizzato il suo lavoro?
Gli scultori precedenti a Canova già si avvalevano di aiuti che li sollevavano dai lavori più faticosi, come lo sbozzo del marmo. Era finita da tempo l’epoca di Michelangelo, il titano che sfornava capolavori in perfetta solitudine. Con Canova però l’organizzazione dello studio arriva a perfezione, una funzionale macchina che permette la lavorazione di parecchie opere in contemporanea. Già a Venezia Tonino si avvale di un aiutante, ma nello studio di via delle Colonnette la gerarchia arriva presto al massimo dell’efficienza, per soddisfare l’enorme numero di richieste. Canova lascia per sé solo le fasi dell’ideazione, il disegno, il modello in creta, e la finitura, la levigatura della statua, gli ultimi ritocchi e l’eventuale lucidatura a cera, con la quale conferisce al marmo il colorito roseo delle carni. Le fasi intermedie della lavorazione sono affidate a varie gerarchie di aiutanti, che lui personalmente sovrintende affinché non compiano errori. I garzoni sono gli ultimi della gerarchia, spostano i blocchi di marmo e puliscono lo studio dagli scarti e dalle polveri. Dal modello in creta il formatore, uno solo, sempre lo stesso, di cui si fida ciecamente, forma il modello in gesso a grandezza naturale, che Canova è il primo ad adottare, perché i predecessori usavano fare modelli in gesso in piccola scala. Sul modello in gesso si fissano i punti salienti con molti perni di metallo (repéres) dai quali con grandi compassi in legno gli addetti riportano le misure della futura statua sul blocco di marmo, di Carrara e totalmente privo di imperfezioni, in precedenza sbozzato dagli sbozzatori. I modelli si conservano nello studio a memoria del lavoro fatto e per trarne repliche a richiesta dei committenti. Lo studio a poco a poco deve essere ingrandito e diventa un immenso deposito di tesori; le guide turistiche dell’epoca lo descrivono come meta imperdibile, preferibile a molti musei romani. La lavorazione prosegue con l’opera degli scultori esperti, che portano l’opera alla forma definitiva, sulla quale poi interviene Canova ad eliminare gli ultimi difetti, a correggere e lucidare, spesso di notte e a lume di candela, perché la luce radente evidenzia le più minute imperfezioni.
Quali rapporti mantenne con i suoi numerosi committenti?
Con alcuni di essi s’instaurò un’amicizia duratura, fatta di carteggi sempre più fitti. Il carteggio canoviano è immenso, solo una piccola parte è stata pubblicata, la gran parte ancora allo studio. Lettere spedite e ricevute da ogni parte d’Italia e d’ Europa. Man mano che la fama cresceva tutti ambivano a mantenere la corrispondenza con lui. Conoscenze occasionali, richieste di committenti e via via, aumentando gli incarichi pubblici e le onorificenze di Canova anche la corrispondenza s’infittiva. Canova scrive malvolentieri e non migliora mai la grafia traballante e poco elegante che ci tramandano i primi documenti autografi. Se dovesse tener dietro a quella mole di corrispondenza non avrebbe più tempo di scolpire. Così affida l’onerosa corrispondenza privata al fratellastro Giambattista Sartori, abate dall’elegante grafia, presto affiancato da un altro abate, Melchiorre Missirini, che viene ospitato nell’ultima residenza di Canova a Roma, via del Corso 56, secondo piano. La corrispondenza di lavoro, committenti, cavatori di marmo di Carrara ecc. è affidata a Toni D’Este, che affianca Canova sul finir del secolo come braccio destro nelle trattative commerciali e suo vice nello studio. Per la familiarità con Canova Sartori spesso mette il naso anche negli affari dello studio, facendo indispettire non poco Toni D’Este, che non è accomodante quanto l’amico Canova e che a volte reagisce piuttosto piccato. Più che con i committenti Canova mantiene contatti con gli amici, come Giannantonio Selva, architetto, che dopo il periodo romano torna a Venezia, con i vari membri della famiglia Falier, anche loro a Venezia, con l’ambasciatore Zulian, che lo ospita nei primi anni romani e che, inviato come ambasciatore della Serenissima a Costantinopoli e poi rientrato in patria, rimase in corrispondenza con Tonino fino alla morte. Questa enorme mole di lettere raramente è redatta di suo pugno, la sua grafia si riconosce solo nelle lettere a Selva, ai Falier, a Zulian, agli stretti familiari, a Toni D’Este e a Luigia Giuli, quando Canova si allontana da Roma. La maggior parte di lettere è redatta nell’elegante grafia dei due abati, spesso firmate anche da loro e solo raramente da Tonino.
Tra gli aspetti poco noti della sua biografia, Canova fu incaricato di recarsi a Parigi per recuperare le opere d’arte trafugate dai francesi: come visse l’importante incarico?
Fu il papa stesso a ordinargli di partire per Parigi per tentare l’impresa di riprendersi i tesori vaticani e in generale italiani che la coalizione antinapoleonica, dopo la vittoria su Napoleone, si stava già spartendo.
A quali delle sue numerose opere “Tonino” era più legato?
Non saprei rispondere. Ogni scultura era il risultato di un lavoro commissionato, appena ultimata Canova sapeva di lasciarla andare, anche se non se ne allontanava mai del tutto. Il suo perfezionismo lo spingeva a rimetterci mano per piccole correzioni anche a distanza di anni, quando capitava essere invitato nella dimora dall’antico committente.
Piuttosto direi che le opere a cui era sicuramente affezionato erano i suoi quadri, che non considerava veri lavori, bensì passatempi. Usava la pittura per distrarsi e riposarsi dalle fatiche della scultura. Nelle tele, soprattutto nei ritratti, esterna la cura e l’affetto per il modello che sta riproducendo. La riprova è il ritratto di Luigia Giuli: la cuffia linda, il bel collo di merletto, l’anello e il libro stretto tra le mani denotano la bellezza morale e la signorilità di quella donna che gli ha fatto da surrogato della madre Angela, rimasta a Possagno. Da semplice governante era diventata amica e preziosissima consigliera; lo sguardo sincero, il volto atteggiato a serenità, l’importanza che aveva nella vita di Canova ce lo racconta meglio di mille parole quella tela carica di sentimento.
A conferma di quanto fosse attaccato ai suoi quadri e di quanto non li considerasse Arte non volle venderli mai, qualcuno ne donò agli amici più stretti o alla parrocchiale di Possagno (la grande tela del Compianto di Cristo, poi posta ad abbellire l’altar maggiore del Tempio Canoviano).
Maria Letizia Putti ha “covato” il desiderio di scrivere per anni, realizzandolo solo a partire dal 2013. Nel 2015 ha autopubblicato Il passato remoto, ora edito in e-book da EVE, poi nel 2016 esce La Signora dei Baci. Luisa Spagnoli per Graphofeel. Nello stesso anno la Graphofeel pubblica anche Lo scrittore non ha fame, romanzo. Nel febbraio 2020 sempre per Graphofeel esce il romanzo biografico, Luisa Spagnoli. La signora dei baci e a novembre 2020 Canova. Vita di uno scultore. Ora lavora a un romanzo ambientato nel Medioevo e a seguire altri due progetti meditati da tempo.