“Camicie Nere. L’epopea” di Niccolò Lucarelli

Dott. Niccolò Lucarelli, Lei è autore del libro Camicie Nere. L’epopea pubblicato da Delta Editrice: quando e come nacquero le Camicie Nere?
Camicie Nere. L’epopea, Niccolò LucarelliLe Camicie Nere nacquero all’indomani della presa di potere da parte di Benito Mussolini, per la precisione il 14 gennaio 1923, con il Decreto Legge che ne sancì la costituzione. Un decreto molto particolare perché chiarisce come questo corpo d’ispirazione militare fosse in realtà strettamente legato al Partito Nazionale Fascista. Un’impostazione che contrasta con il normale carattere delle forze armate, che appunto devono rimanere rigorosamente apolitiche. Legalizzando la precedente Milizia Fascista, ovvero le famigerate “squadracce”, il decreto fu uno dei primissimi atti di fascistizzazione dello Stato, conferendo statura e poteri pubblici a un organo che era emanazione diretta di un partito, un evento non compatibile con la normale vita politica di uno Stato di diritto.

Come erano organizzate le Camicie Nere?
Il reclutamento avveniva, su base volontaria, fra i cittadini di provata fede patriottica fra i 17 e i 50 anni (la medesima età dei legionari dell’Impero Romano). Al vertice vi era il Comando Generale, assegnato in via onorifica (ma non solo) a Benito Mussolini, con il grado di Primo Caporale d’onore; comunque, fino al 1926, ci fu, almeno sulla carta, un comandante effettivo. Poi, a partire dal 12 ottobre 1926, rimase una figura puramente formale, poiché il comando fu assunto direttamente dal Duce (che lo conservò fino al 25 luglio 1943).

Dal Comando dipendevano i quattro raggruppamenti territoriali di Milano, Bologna, Roma, Napoli, retti da Luogotenenti Generali. A loro volta i raggruppamenti territoriali erano divisi in gruppi, sotto il comando dei Consoli Generali, e i gruppi in Legioni comandate da Consoli. Ognuna di queste si componeva di tre Coorti, suddivise in tre Centurie; ogni Centuria era formata da tre Manipoli e ogni Manipolo da tre Squadre. In rapporto alla normale suddivisione dei reparti in seno all’Esercito, un gruppo di Legioni formava una Brigata; la Legione corrispondeva al Reggimento, la Coorte al Battaglione, la Centuria alla Compagnia, e il Manipolo al Plotone. Oltre ai compiti militari che vedremo, la Milizia doveva formare e addestrare i giovani nell’ideologia fascista, dal punto di vista della dottrina, dello sport e della guerra. Era inoltre previsto, in caso di gravi calamità di qualsiasi natura, l’impiego d’urgenza dei comandi territoriali delle zone interessate, per portare opera di soccorso alla popolazione colpita. Purtroppo, le occasioni non mancarono, e la Milizia intervenne in seguito al terremoto nel Vulture, alla valanga di Bolognola, all’inondazione del mantovano, alle alluvioni in Valtellina.

Quali furono i primi impieghi militari delle Camicie Nere?
L’occasione di imbracciare il fucile si presentò poco dopo la loro costituzione. Infatti, nel settembre del 1923 furono approntate tre Legioni: la CXXXII Monte Velino, la CLXXI Vespri, la CLXXVI Cacciatori – Guide di Sardegna da inviare in Libia per reprimere la guerriglia anti-italiana che dal 1915, con l’Italia impegnata nella Brande Guerra, aveva ripreso vigore. Le Camicie Nere segnarono un cambio di passo nella repressione della guerriglia e ottennero i primi successi rioccupando oasi e villaggi, riuscendo in appena sei mesi a pacificare la Tripolitania. La resistenza continuava però nel Fezzan e in Cirenaica, dove “regnava” Omar al-Mukhtar, un imam appartenente alla confraternita islamica della Sanūsiyya e a capo di un importante movimento anti italiano che aveva radunato a partire dal gennaio del 1924, grazie anche ad aiuti provenienti dall’Egitto, in particolare dalla Fratellanza Musulmana. Sin ad ora, i militari italiani rinunciavano a inseguire le bande di al-Mukhtar nel deserto, per cui i ribelli avevano buon gioco nel compiere le loro scorrerie e le azioni di sabotaggio contro i convogli italiani. Le Camicie Nere, invece, non temevano di addentrarsi in pieno Sahara, scatenando una vera e propria “caccia ai ribelli” per tutta la Cirenaica, perlustrando il territorio e attaccando le formazioni in cui s’imbattevano. Fra luglio e agosto violenti combattimenti contro squadroni di ribelli a cavallo ebbero luogo in varie zone del deserto cirenaico, e furono occupati El Charruba, Umm el Ghislan, Udeiat en Nefatit, Uadi Sammalus. Da attendista, la strategia italiana si era volta in offensiva. Sarebbero occorsi ben sette anni per avere ragione della resistenza libica, che si arrese nel 1931, e in questo arco temporale le Camicie Nere si distinsero in più di un’occasione, anche grazie all’impronta di Pietro Badoglio, che nel 1929 era stato nominato governatore della Libia e aveva da subito deciso di continuare con le offensive. Con attacchi rapidi, sullo stile degli arditi della Grande Guerra, i Legionari catturarono centinaia di ribelli e occuparono decine di oasi e villaggi. Decisivo fu l’assalto all’Oasi di Cufra, caposaldo della resistenza, nel luglio del 1931; in realtà l’oasi era assediata da 2000 militari già dal gennaio precedente, ma fu soltanto con il concorso delle Camicie Nere (e il ricorso alle bombe all’iprite) che la roccaforte cadde, indebolendo sensibilmente il movimento di al-Mukhtar. Questi, catturato in settembre, fu impiccato dopo un sommario processo, e la sua morte segnò la fine della guerriglia libica.

Se in Libia il contributo militare della Milizia era stato consistente, così non fu nella guerra di conquista dell’Etiopia, fra l’ottobre del 1935 e il maggio del 1936; qui, lo sforzo bellico fu principalmente sostenuto dall’Esercito regolare, mentre le Camicie Nere furono prevalentemente destinate a lavori di pubblica utilità, quali la costruzione di strade e ponti, o per il normale presidio delle zone appena conquistate, mentre l’esercito regolare proseguiva le operazioni. La scelta di Mussolini è dovuta al fatto che conquistare l’Etiopia rivestiva importanza fondamentale per consolidare la reputazione internazionale dell’Italia fascista, e una vittoria era assolutamente necessaria; il Duce preferì quindi “andare sul sicuro”, affidandosi all’Esercito, poiché non aveva ancora troppa fiducia nelle capacità belliche della Milizia; in Libia si era comportata bene, ma in Etiopia la posta in gioco era ben più alta. In realtà, la guerra non impegnò troppo nemmeno l’Esercito regolare, ma per evitare sorprese, Mussolini preferì concedere alla Milizia soltanto quelle “passerelle” necessarie alla propaganda: una su tutte, la “marcia su Gondar” organizzata da Achille Starace per la conquista della città, che si risolse in una semplice marcia nel deserto alla ricerca di un nemico già in ritirata. Non mancarono tuttavia episodi di combattimenti in cui la Milizia si mosse bene, ad esempio sul Mareb nel dicembre del ’35, con la V Divisione I febbraio che bloccò una violenta offensiva nemica, oppure nella conquista dell’Amba Aradam del febbraio ’36. Ci furono anche altri episodi isolati di buona efficienza militare, ma nel complesso, come detto, il ruolo della Milizia in Etiopia fu secondario. Ben diversa, invece, sarebbe stata la situazione in Spagna.

In che modo le Camicie Nere si distinsero nella guerra di Spagna?
Bisogna subito specificare che in Spagna il loro ruolo fu duplice: sostenere le truppe franchiste contribuendo al consolidamento dei regimi di destra in Europa, e dimostrare ai Paesi democratici (Gran Bretagna e Francia su tutti) la forza dell’Italia fascista, che dopo aver conquistata l’Etiopia nel 1936, già l’anno seguente era in grado di inviare un contingente militare che, dal punto di vista tecnico, dimostrò una discreta preparazione e portò un buon contributo militare alla causa franchista. Da Roma furono inviate, nel febbraio del ’37, quattro divisioni di Camicie Nere, “Dio lo vuole!”, “Fiamme Nere”, “Penne Nere” e “XXIII marzo”, quest’ultima già impiegata in Etiopia, e subito riportarono una vittoria nella battaglia di Malaga. Ma quando, in marzo, subirono una durissima sconfitta a Guadalajara – la sola nei due anni del loro impegno in Spagna -, perdendo circa 3.000 uomini oltre ad aerei e mezzi corazzati, Mussolini decise di riorganizzare le truppe su due brigate miste, italo-spagnole, la Frecce Azzurre e la Frecce Nere; la Divisione “XXIII marzo”, e la “Littoria”, che si aggiunse in estate, costituivano i reparti d’assalto del contingente italiano.

Con il ritorno dell’iniziativa in mano nazionalista, il 17 agosto, a Puerto del Escudo, la XXIII marzo annientò 22 battaglioni nemici e ne distrusse le fortificazioni, una vittoria fondamentale per distruggere lo schieramento repubblicana nell’Alto Ebro e puntare sulla città di Santander, alla cui occupazione la “Littorio” portò un contributo determinante. Dopo questo episodio, il contingente italiano fu riconfigurato in due divisioni – la Littorio e la Fiamme Nere XXIII Marzo, con quest’ultima che incorporava le due brigate Frecce e la Divisione XXIII marzo -, e guadagnò altra gloria militare nel marzo del 1938, concludendo le operazioni sull’Ebro occupando Rudilla, Nuesca, Muniesa e Andorra. Pur vittoriose, furono battaglie che costarono decine di caduti. Infine, in dicembre, i militi italiani parteciparono ai combattimenti per la conquista di Barcellona, e ancora una volta si distinsero per ardimento e rapidità d’azione. Al netto del giudizio storico, quindi, le Camice Nere dimostrarono una buona capacità bellica e in più di un’occasione furono determinanti nel volgere le battaglie in favore dei nazionalisti.

Quale ruolo svolsero le Camicie Nere in Africa?
Terminata la conquista dell’Etiopia, le Camicie Nere furono impiegate nel Paese con compiti di polizia militare, che si traducevano nell’applicazione di una rigida politica di stampo razzista verso la popolazione locale. Inoltre, nel febbraio del 1937, ancora le Camicie Nere si resero “protagoniste” di atroci massacri di civili inermi, come rappresaglia per l’attentato subito da Rodolfo Graziani per mano di oppositori all’occupazione italiana.

Con la Seconda Guerra Mondiale, la Milizia fu impegnata sia in Libia ed Egitto, sia nella campagna contro Somalia Britannica Sudan e Kenya, al confine con l’Etiopia. Quest’ultima campagna si rivelò da subito disastrosa, perché a una prima avanzata nel deserto sudanese e somalo, nel torrido agosto africano, seguì la violenta controffensiva britannica che respinse le truppe italiane sulle posizioni di partenza, e ben presto dilagò in Etiopia ed Eritrea, portando, nel marzo 1941 alla perdita dell’Eritrea, e in novembre alla perdita dell’Etiopia; l’Impero, proclamato appena 5 anni prima, era già finito. Tuttavia, pur in mezzo a una guerra condotta senza adeguate risorse di armi ed equipaggiamento, e condotta quasi sempre sulla difensiva, le Camicie Nere offrirono episodi di indubbio valore militare, riconosciuto anche dagli avversari. Ad esempio, la strenua resistenza sull’Amba Alagi, dov’erano schierati anche il III, l’XI e il XII Battaglione, che dopo oltre tre mesi di assedio, il 18 maggio si arresero per decisione del Duca d’Aosta. Episodi del genere si ebbero anche a Gondar e Culqualber, dove diversi battaglioni di Camicie Nere (insieme all’Esercito regolare) sopportarono il caldo del deserto, la fame, la penuria di cibo, le malattie, e per tre mesi opposero fiera resistenza alle truppe britanniche, respingendone gli attacchi anche con assalti alla baionetta. Episodi di valore, certo, ma condotti all’interno di una guerra sostenuta in condizioni di grave inferiorità di mezzi e armamenti, in cui questi episodi potevano soltanto ritardare la sconfitta.

Non dissimile la situazione in Africa Settentrionale, dove comunque il supporto dell’Africakorps di Rommel permise di combattere alla pari con le forze britanniche, e sfiorando persino la vittoria finale, almeno in questo settore. Sebbene poco impiegate in prima linea, le Camicie Nere dimostrarono il loro valore; ad esempio, il Gruppo Battaglioni Giovani Fascisti si distinse a Bir el Gobi nel dicembre 1941: nonostante la superiorità numerica e di armamento del nemico, la sete e la mancanza di cibo, resisterono per tre giorni all’assalto dei britannici, che le forze corazzate mandate da Rommel dispersero poi definitivamente. Dopo la sconfitta di El Alamein del novembre dell’anno successivo e il ripiegamento dell’Asse fino alla Tunisia, la situazione era ormai compromessa, ma le Camicie Nere combatterono fino all’ultimo. Ad esempio, tra il 14 e il 23 febbraio 1943 ebbe luogo la battaglia del Passo Kasserine, in cui le Camicie Nere dei Gruppo Giovani Fascisti si batterono valorosamente contro la 50ª Divisione di fanteria, respingendo numerosi attacchi contro il caposaldo “Biancospino”, prima di ripiegare per evitare l’accerchiamento. Ritiratisi a Enfidaville, resisterono fino al 13 maggio, assieme al VI Battaglione Camicie Nere. Atti eroici, certo, ma utili soltanto a salvare l’onore militare. In definitiva, quindi, il ruolo della Milizia in Africa fu generalmente secondario, all’interno di una guerra condotta da Roma con scarsa chiarezza d’idee; e un eventuale potenziale bellico, dimostrato in più di un episodio, non poté essere espresso al suo massimo. Non bisogna poi tacere il ruolo di aguzzini che i Legionari ebbero in Etiopia, commettendo numerosi massacri di civili.

Quali azioni compirono nella guerra in Europa?
In Europa presero parte a tutte le sfortunate azioni intraprese da Mussolini, a cominciare dalla vile aggressione alla Francia, già quasi capitolata davanti alla Germania nazista. Inoltre, le Camicie Nere si batterono in Grecia, Jugoslavia, Albania e fronte orientale – nella zona del Don, in Ucraina. E fu nei Balcani che, come in Africa, furono commessi atroci crimini contro i civili; la Milizia, infatti, una volta stabilita l’occupazione italiana, si occupava in massima parte della repressione antipartigiana, ma nel farlo compiva rappresaglie contro i civili, appunto. In Grecia, uno degli episodi più cruenti accadde nel febbraio 1943, nei pressi del villaggio di Domeniko: un attacco contro un convoglio italiano causò la morte di nove Camicie Nere della CXXXVI Legione. Pochi giorni dopo, centinaia di soldati della divisione, fra cui anche diverse decine di Camicie Nere, circondarono il villaggio e presero prigionieri tutti gli uomini fra i 14 e gli 80 anni; 97 in totale. Poche ore dopo il loro arresto, furono fucilati nel cuore della notte, nei boschi appena fuori del villaggio. In Jugoslavia la Milizia sovrintese all’attuazione della politica di italianizzazione forzata voluta dal Fascismo, e di repressione della guerriglia partigiana. Fra i tanti episodi, cito quanto accaduto in Dalmazia nell’estate del 1942, per mano delle Camicie Nere del Battaglione Toscano, che compì intimidazioni a colpi di manganello, torture e persino assassinii mirati di sospetti oppositori o partigiani. A Spalato, la popolazione ebraica fu persino sottoposta a un pogrom, con l’incendio della sinagoga e di diversi esercizi commerciali di proprietà di ebrei. In autunno, lasciatisi alle spalle una lunga scia di sangue, i Legionari furono trasferiti a Vodice, nella parte meridionale della provincia di Zara; la città fu trasformata, per nefanda iniziativa delle Camicie Nere, in un campo di concentramento a cielo aperto, con il coprifuoco semipermanente e frequenti violenze sui civili. Questo, così come altri episodi del genere contro i civili, probabilmente hanno contribuito a creare quel risentimento contro gli italiani che poi, nel 1945, sfocerà nella tragedia delle foibe. Forse non è sbagliato dire che il prezzo dei crimini delle Camicie Nere è stato pagato da civili innocenti.

Quali vicende segnarono la storia delle Camicie Nere in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943?
Con l’8 settembre, e la tragicomica gestione delle trattative per l’armistizio da parte di Badoglio, l’Italia tocca il punto più basso della sua storia militare. A seguito della nascita della Repubblica Sociale Italiana, le Camicie Nere (quasi tutte seguirono il Duce nella sua ultima avventura) furono arruolate in parte nella Guardia Nazionale Repubblicana, e in parte nelle cosiddette Brigate Nere. Lo sforzo principale della guerra in Italia fu sostenuto dalla Wehrmacht, che aveva scarsissima stima della capacità militare di queste nuove formazioni, alle quali rimasero quindi i compiti più infimi e scabrosi, ovvero, ancora una volta, il controllo del territorio che si traduceva nella repressione partigiana. Si era ormai alla guerra civile, che colpì anche la popolazione, vittima delle rappresaglie repubblichine. Elencare tutti i crimini che le Camicie Nere commisero fino all’aprile del 1945 richiederebbe troppo spazio, ma voglio citare, per la sua efferatezza, aggravata dall’inutilità, la strage di Piazza Tasso, del 17 luglio 1944; quella mattina d’estate, decine di donne, anziani e bambini si trovavano in piazza per il mercato, quando, improvvisamente, un camion si fermò all’angolo fra via Villani e viale Petrarca; ne scese un gruppo di militi della GNR, comandati da Giuseppe Bernasconi, braccio destro del famigerato Mario Carità. Con la crudeltà che contraddistingueva anche il suo superiore, ordine di far fuoco sui civili inermi, cinque dei quali (fra cui un bambino di otto anni) rimasero sul selciato, e diverse decine furono feriti. Furono fatti anche diversi prigionieri, i cui corpi furono trovati nel 1952 in una fossa comune nel Parco delle Cascine: erano stati fucilati poco dopo la cattura. L’efferata strage fu una vile ritorsione fascista contro la popolazione del quartiere di San Frediano, colpevole di essere profondamente solidale con i partigiani. Questo episodio, credo illustri da solo la crudeltà delle Camicie Nere negli anni della guerra civile. Ma soltanto sedici militi figurano nell’elenco delle persone ricercate dal Governo della Gran Bretagna per crimini di guerra (Central Registry of War Criminals and Security Suspects, compilato nel 1947): Giovanni Bellini, Luigi Bellini, Luigi Bordon, Nello Cristianini, Furio Cosci, Ottorino Faberies, Rino Faggiani, Giovanni Ghellero, Renato Ghellero, Salvatore La Spina, Dino Marsili, Giorgio Marsili, Mario Mazzocchi, Vittorio Pattrachini, Italo Perin, Vito Spiotta. Anche se la condanna non li raggiunse, è comunque un piccolo risarcimento morale per le vittime, il fatto che questi assassini siano stati riconosciuti colpevoli.

Niccolò Lucarelli, laureato in Studi Internazionali, è curatore indipendente, critico d’arte e letterario per riviste di settore. Come storico militare collabora con lo Stato Maggiore dell’Esercito ed è autore di volumi in materia.

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