
Come si articolò la campagna xenofoba di James Schwarzenbach?
Schwarzenbach coglie una nevrosi sociale. È un dandy che deve mascherarsi, per farsi capire dal popolo. Ha una grande capacità di controllo del linguaggio. Ripete continuamente: non siamo razzisti, siamo per gli svizzeri, perché capisce che deve aprirsi anche ai moderati, a un elettorato più ampio. È razzista, ma sa che negli anni Sessanta non si può esserlo. Non a caso dice: “Dobbiamo spiegare agli elettori che noi intendiamo proteggere i valori di fondo della nazione: quelli ci premono, non riproporci come gli alfieri del razzismo nordico.” Il 20 maggio 1969 annuncia di aver raggiunto le firme necessarie per fare indire il referendum contro gli stranieri: 70.292. Ventimila più del necessario. Propone di aggiungere nella Costituzione un articolo che stabilisce di ridurre dal 17 al 10 per cento la percentuale di immigrati presenti nel territorio nazionale, fatta eccezione per il cantone di Ginevra, sede di numerose organizzazioni internazionali, che potrà mantenere un contingente del 25 per cento. Dalla limitazione sono esclusi gli stagionali (a cui è sempre fatto divieto di portare con sé i familiari), i frontalieri, i turisti, gli studenti universitari, i diplomatici. Il governo federale dovrà garantire in via prioritaria l’impiego dei cittadini elvetici – “prima gli svizzeri” – e la naturalizzazione degli stranieri dovrà essere ammessa soltanto in casi limitati.
Per quali ragioni la sua campagna d’odio contro gli emigrati attecchì in un Paese, la Svizzera, dal benessere senza eguali?
Perché l’immigrazione massiccia aveva disorientato gli strati popolari. Schwarzenbach intuisce che la ragione del malcontento non è economico (dal 1962 al 1973 la Svizzera non avrà disoccupazione), ma identitario, culturale. Gli italiani lavorano di più, spesso a cottimo, sono furbi, svelti, veloci, si fanno largo, questo disorienta. Temono il consumo di suolo, la Svizzera è un paese piccolo, e la fine di certe sicurezze sociali.
Quale attualità mantiene la vicenda di James Schwarzenbach?
La sua attualità sta nel fatto che le parole d’ordine di Schwarzenbach, “prima gli svizzeri”, hanno attecchito ovunque, non solo in Svizzera, dove dopo di allora si sono tenuti molti altri referendum per cacciare gli stranieri, ma anche nel resto d’Europa. Per scrivere il libro ho visto e rivisto il documentario “Siamo Italiani”, che il regista svizzero Alexander J. Seiler girò a Zurigo nel 1964. Andò per le strade a chiedere alla gente cosa pensasse di noi terroni, e non ce n’era uno che ci guardasse con compassione. Gli dicevano: “Ha notato che arrivano sempre in gruppo, e mai da soli?”. “E ci rubano i lavori migliori, e i posti in ospedale, e non sopportiamo più i loro rumori, perché sono davvero troppi ormai. E quando non vogliono fare una cosa ti dicono “non ho capito”, se poi scorgono una donna sola diventano appiccicosi come cimici, e sostano sempre davanti agli ingressi dei supermercati e ostruiscono il passaggio. E non comprano niente! Stanno lì solo per oziare” “Eh, no”, interviene una vecchia di Zurigo: “Una volta alla Migros ho visto un italiano che comprava ventisette tavolette di cioccolata in una sola volta. Così consumano le nostre risorse!”
La Svizzera ci accoglie a braccia chiuse”, recitava la canzone di Alberto D’Amico, nel 1970, l’anno del referendum contro gli stranieri. É molto cambiata quella Svizzera, credo, mentre oggi è l’Italia a tenere le braccia chiuse. La storia si è capovolta.
Concetto Vecchio, 48 anni, vive a Roma ed è giornalista alla redazione politica di “Repubblica”. Ha scritto Vietato obbedire (Bur Rizzoli, 2005), sul ’68 alla facoltà di Sociologia di Trento con cui ha vinto il premio Capalbio e il premio Pannunzio, Ali di piombo (Bur Rizzoli, 2007, tre edizioni), sul movimento del 1977 e il delitto Casalegno, Giovani e belli (Chiarelettere, 2009), Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano (Feltrinelli, 2017). È stato coautore del film per la Rai di Ezio Mauro sul sequestro Moro, Il Condannato. Ha realizzato numerosi webdocumentari di carattere storico.