“Bucoliche” di Virgilio: riassunto

«Le Bucoliche (lat. Bucòlica, o Éclogae, ma il titolo dato dall’autore fu probabilmente il primo) sono dieci componimenti pastorali di Virgilio, slegati tra loro e composti su suggerimento di Pollione, che all’epoca era il suo patrono letterario. Essi si ispirano agli Idilli di Teocrito più spiccatamente bucolici (cioè pastorali, I-II): secondo le fonti antiche Virgilio ne iniziò la composizione all’età di 28 anni, cioè nel 42 a. C., e impiegò tre anni per portarla a termine. Non tutte le Bucoliche però furono scritte tra il 42 e il 39: la 10 è sicuramente posteriore e la 8 potrebbe essere dedicata a Ottaviano (e non a Pollione) e riferirsi alle campagne da lui condotte nell’anno 35 a. C. La 2 e la 3 sono in genere considerate le più antiche, composte tra il 42 e il 41. Anche se manca un accordo assoluto sulle date di composizione, sappiamo con certezza che Virgilio fu impegnato nella stesura delle Bucoliche dal 43 almeno fino al 37, ed è probabile che esse circolassero tra gli amici del poeta già prima della pubblicazione. Il loro successo presso il pubblico fu immediato; esse vennero recitate in teatro, dove Virgilio fu acclamato pubblicamente. L’ordine in cui attualmente sono disposte non è cronologico, ma segue piuttosto criteri di tipo formale, basati su principî di simmetria e opposizione. I componimenti di numero dispari hanno struttura dialogica, quelli pari sono narrazioni a una sola voce.

La bucolica 2 ha per tema il lamento del pastore Coridone, che ama non riamato il giovane Alessi. Il motivo del pastore innamorato e gran parte dei dettagli sono ripresi da Teocrito, in particolare dagli idilli 3 e 11. Anche la 3, uno scambio di motteggi tra i due pastori rivali Dameta e Menalca che finisce con una gara di canto, riprende da Teocrito la struttura e i personaggi, e anche parte dei contenuti: il motivo delle quattro coppe offerte come premio della gara, ad esempio, richiama la descrizione della coppa nell’idillio 1. Nella bucolica 5, anch’essa ricca di echi teocritei, due pastori celebrano col loro canto la morte e la divinizzazione di Dafni. Il pastore Menalca rivela di essere l’autore dei due precedenti componimenti, suggerendo così la possibilità di interpretare anche la figura di Dafni in chiave allegorica: sotto questo personaggio sarebbe da vedere una personalità importante del tempo. Alcuni studiosi hanno pensato a Cesare, se non per i dettagli almeno in generale, sulla base del fatto che dopo la sua morte (44 a. C.) gli furono decretati onori divini.

La 7, di datazione incerta, descrive una gara di canto tra Coridone e Tirsi, due pastori arcadi (è questa la prima attestazione del ruolo dell’Arcadia come scenario tipico della poesia bucolica); il fatto che la scena sia ambientata nella campagna nativa dell’autore, sulle rive del Mincio, mostra come in Virgilio il mondo pastorale non si identifichi con un luogo geografico specifico e fisso. Il componimento spicca per la grazia e la bellezza del canto pastorale. Protagonisti delle bucoliche 1 e 9 sono pastori che hanno perso le loro terre in seguito alla confisca decisa per consentirvi l’insediamento dei veterani della battaglia di Filippi (42 a. C.), confisca di cui fu forse vittima lo stesso Virgilio.

È possibile dunque che nei due componimenti si riverberino esperienze personali del poeta, ma non per questo essi possono essere definiti autobiografici: il tema che trattano è ben più generale, e riguarda le sofferenze legate alla guerra. Nella bucolica 1 la fortuna di Titiro, che sotto la minaccia di confisca si è recato a Roma per la prima volta nella sua vita e ha ottenuto di mantenere la proprietà grazie all’intervento di un «giovane», contrasta con l’esilio forzato cui è costretto Melibeo, che non ha affrontato il viaggio. Una situazione analoga ritorna nella egloga 9, in cui due pastori in viaggio verso la città si fermano a parlare: di essi, Meride è stato appena privato del suo podere, mentre Licida si sofferma a ricordare come il poeta Menalca abbia tentato invano di conservare le sue terre con la poesia.

Nella 4a egloga, che non dipende da modelli greci, il poeta preannuncia la nascita di un bambino che aprirà una nuova era. Questo componimento ha suscitato più di ogni altro tentativi di interpretazione: il Medioevo vi vide una profezia messianica ispirata da Dio, che annunciava la nascita di Cristo, opinione che solo san Girolamo rifiutò. Ma si è pensato anche a molti altri bambini: il figlio di Pollione, il bambino che avrebbe dovuto nascere da Ottavia e Marco Antonio, il figlio di Ottaviano e Scribonia, e perfino Ottaviano stesso. Il componimento si data al 40 a. C., all’epoca del trattato di Brindisi. Ma non si può escludere che con il pùer Virgilio intendesse rappresentare esclusivamente le forze che avrebbero portato l’alba di una nuova età. L’egloga 8 è dedicata a un personaggio di cui non si dice esplicitamente il nome, che in genere si identifica con Pollione, supponendo che le campagne militari cui nel componimento si allude siano quelle del 39; secondo Servio, invece, l’egloga è dedicata a Ottaviano; in questo caso le campagne a cui si fa riferimento sarebbero quelle del 35. L’egloga si rifà al modello degli idilli 1 e 2 di Teocrito, e rappresenta una gara di canto tra Damone e Alfesibeo: il primo intona un lamento per la sua amata infedele, il secondo racconta gli incantesimi e le magie con cui una ragazza spera di riconquistare il proprio innamorato. L’egloga 6 si allontana dagli schemi della poesia pastorale e imita solo vagamente Teocrito: è difficile darle una collocazione letteraria precisa e resta perciò di interpretazione problematica. Si tratta di un canto intonato da Sileno, per celebrare la creazione del mondo alla maniera di Lucrezio; seguono alcuni miti narrati per allusioni. La narrazione è interrotta da una descrizione (svolta in una lingua che riecheggia il Callimaco de Le cause) del poeta Gallo, amico di Virgilio, mentre riceve la sua consacrazione poetica. L’egloga 10, probabilmente l’ultima in ordine di composizione, risalente forse al 37 (ma si veda l’egloga 8), ha per soggetto Gallo, che si consuma di amore per la sua innamorata Licoride. Abbiamo qui un accostamento molto ardito tra mondo arcadico e realtà, destinato a esercitare grande influenza sullo stile e sui contenuti della poesia pastorale successiva.

Virgilio apri alla poesia pastorale nuove direzioni. Le Bucoliche ne divennero il modello e ispirarono in seguito il romanzo e il dramma pastorale (gli Idilli di Teocrito furono poco conosciuti fino al Rinascimento). Diversamente da quanto solitamente avviene in Teocrito (con l’eccezione dell’idillio 7), Virgilio introduce nel mondo arcadico elementi presi dalla realtà, e utilizza il mito e le immagini simboliche per alludere alla storia recente. Tale innovazione rappresentò un precedente all’introduzione di un complicato tipo di allegoria nel genere, e fu decisiva per la successiva evoluzione della poesia bucolica. Virgilio fu anche il primo a fare della poesia pastorale uno strumento di critica morale alla società del suo tempo. […]

Il mondo creato da Virgilio è un mondo semplice che rappresenta la vita ma è anche diverso da essa; dalle relazioni che si intrecciano tra queste due realtà deriva lo straordinario fascino delle Bucoliche

tratto da Dizionario delle letterature classiche, diretto da Margaret C. Howatson, edizione italiana a cura di Maurizio Bettini, traduzione di Lucia Beltrami, Einaudi editore

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