
Parallelamente a questa tradizione che io chiamo “bassa”, cioè sostanzialmente determinata da scopi pratici, si sviluppa, nella Grecia antica, anche una tradizione “alta” di studio del linguaggio, ad opera dei filosofi. In questa tradizione, il problema di fondo è quello del rapporto tra linguaggio e realtà: cosa fa di un determinato enunciato (o “discorso”; lógos, in greco) un enunciato vero? La prima risposta fu data da Platone: un enunciato vero è quello che predica di una determinata entità una proprietà che tale entità possiede, un enunciato falso una che invece non possiede; ad es., dice Platone, “Teeteto siede” è un enunciato vero, “Teeteto vola” un enunciato falso. Aristotele svilupperà in modo analitico queste proposte di Platone, che a noi possono apparire banali, ma che all’epoca non lo erano affatto, perché rappresentavano (e rappresentano) un risultato fondamentale della riflessione filosofica sul linguaggio. Nella Grecia antica, altri filosofi che si occuparono del linguaggio furono gli Stoici e gli Epicurei, dedicandosi tra l’altro al problema della sua origine e del rapporto tra il linguaggio umano e i sistemi di comunicazione animale.
Quali erano le principali questioni d’interesse della linguistica medievale e rinascimentale?
Potremmo dire che sotto molti aspetti la linguistica del Medioevo e quella del Rinascimento vanno in direzioni opposte, a causa delle situazioni storiche profondamente diverse tra le due epoche (anche in questo caso mi limito alla situazione dell’Europa occidentale). Il Medioevo, infatti, è caratterizzato da una situazione di uniformità culturale e linguistica: l’unica lingua di cultura è il latino, in cui vengono impartiti gli insegnamenti in tutte le Università d’Europa. Inoltre, nel Medioevo (soprattutto nel cosiddetto “basso Medioevo”, cioè all’incirca dopo il 1000) si realizza l’incontro tra la tradizione “bassa” e la tradizione “alta” degli studi sul linguaggio di cui parlavo in precedenza: alcuni grammatici medievali cercano infatti di dare una giustificazione filosofica (sostanzialmente su base aristotelica) di categorie come “nome”, “verbo”, ecc. Col Rinascimento, invece, la situazione si capovolge: il latino usato nelle università medievali è fatto oggetto di disprezzo dagli eruditi dell’Umanesimo, che ripristinano il latino classico; ma soprattutto le lingue cosiddette “volgari” cominciano ad essere descritte in modo sistematico: nel 1492 viene pubblicata la prima grammatica dello spagnolo, nel 1516 la prima grammatica italiana, e così via. Al tempo stesso, le scoperte geografiche mettono in contatto gli Europei con lingue fino ad allora sconosciute o quasi: cinese, giapponese, lingue degli Indiani d’America, ecc. Il Rinascimento è quindi l’epoca della diversità linguistica, contrapposta all’uniformità che caratterizzava il Medioevo. C’è poi un’altra differenza fondamentale tra le due epoche: le preoccupazioni filosofiche dei grammatici medievali di cui parlavo prima sono estranee ai dotti del Rinascimento, che anzi le considerano con molto distacco, per non dire disprezzo. Questo avviene però soprattutto nel Quattrocento; già nel Cinquecento, si nota una rinascita della riflessione filosofica sul linguaggio, che si svilupperà soprattutto nel secolo successivo.
Come si evolve il dibattito su grammatica e filosofia del linguaggio nel Seicento e nel Settecento?
In estrema sintesi, potremmo dire che si concentra sul rapporto tra linguaggio e mente, e si inquadra quindi nel più generale dibattito tra “empiristi” (come Locke) e “razionalisti” (come Cartesio o Leibniz): secondo i primi, le nostre conoscenze derivano unicamente dalle nostre sensazioni e percezioni della realtà; secondo gli altri, la nostra mente già contiene alla nascita un insieme di conoscenze che le nostre sensazioni si limitano ad attivare. Locke, nel suo Saggio sull’intelletto umano (1690), dedica un intero libro alle parole, che vede come strumento fondamentale per la determinazione e la fissazione delle nostre conoscenze. Il più importante lavoro sul linguaggio di impostazione razionalista è la Grammatica generale e ragionata, nota anche come “Grammatica di Port-Royal” (dal luogo in cui avevano sede i suoi autori): molte delle analisi ivi contenute avranno una grande influenza sulle grammatiche successive. La disputa tra empiristi e razionalisti si riproduce, nel Settecento, relativamente al problema dell’origine del linguaggio ed al rapporto tra linguaggio umano e linguaggi animali: in generale, gli studiosi di impostazione empirista tendono a vedere una continuità tra i sistemi di comunicazione delle varie specie, mentre quelli di tendenza razionalista negano una tale continuità, sostenendo che il linguaggio umano è essenzialmente diverso dai sistemi di comunicazione animale.
Come si sviluppa la linguistica storico-comparativa?
La linguistica storico-comparativa nasce tra la fine del Settecento e i primi decenni del secolo seguente, durante il quale conosce uno progresso enorme, tanto che si può dire che i suoi metodi, sostanzialmente, sono tuttora quelli definiti alla fine dell’Ottocento. All’origine di questo campo di ricerca sta la cosiddetta “scoperta del sanscrito”, cioè della lingua della cultura e della religione dell’India, rimasta sostanzialmente sconosciuta alla cultura occidentale fino alla conquista del subcontinente indiano da parte dell’impero britannico. Gli studiosi europei (in maggioranza tedeschi, ma non solo) notarono che il sanscrito presenta una quantità notevole di affinità con varie lingue occidentali, come il greco, il latino, le lingue germaniche, ecc., affinità che non si potevano spiegare con il contatto, dato che la cultura indiana e quella dell’Europa occidentale si erano sviluppate in modo indipendente l’una dall’altra. La spiegazione più ragionevole, quindi, era che tutte queste lingue derivassero da un’unica lingua madre, che fu detta “indoeuropeo”. Congetture simili erano state avanzate in precedenza, anche da grandi studiosi (ad es., Leibniz), ma non erano sostenute da argomenti solidi: ci si basava su vaghe somiglianze tra parole, senza la formulazione di criteri precisi. Tali criteri furono invece elaborati dalla linguistica storico-comparativa: due o più lingue sono apparentate tra loro se mostrano delle corrispondenze sistematiche tra i loro sistemi di suoni e i loro sistemi grammaticali. “Corrispondenza sistematica” non significa “identità”, ma il fatto che al suono (o all’elemento grammaticale) x della lingua A corrisponda, nella maggior parte dei casi almeno, il suono (o l’elemento grammaticale) y della lingua B.
Qual è l’importanza di Ferdinand de Saussure nella storia della linguistica?
L’importanza di Ferdinand de Saussure (1857-1913) nella storia della linguistica è enorme: non è un caso che una sua immagine figuri sulla copertina del libro. Saussure era, in origine, un linguista storico-comparativo: l’unico volume che pubblicò durante la sua vita fu uno studio (pregevolissimo) sul sistema vocalico primitivo dell’indoeuropeo. Successivamente, però, cominciò a interrogarsi sullo statuto epistemologico delle entità e delle categorie applicate nell’ambito della disciplina, elaborando alcune coppie di concetti (le cosiddette “dicotomie saussuriane”) che rimangono tuttora basilari per tutti i linguisti (o quasi). Queste “dicotomie” sono: langue vs. parole; sincronia vs. diacronia; significante vs. significato; rapporti sintagmatici vs. rapporti associativi. Non posso illustrare qui in dettaglio queste opposizioni, quindi mi limiterò a qualche accenno. Con langue Saussure intende il codice comune a tutti i componenti di una data comunità linguistica, con parole (che in francese ha il valore dell’italiano “parola” in espressioni come “prendere la parola”, “il dono della parola”, ecc.), l’uso di questo codice da parte di ciascun individuo. Sincronia vs. diacronia indicano due prospettive diverse nello studio della lingua: la prima considera una lingua in un dato periodo della sua storia, la seconda il cambiamento di tale lingua attraverso il tempo. La linguistica storico-comparativa, di fatto, considerava solo la prospettiva diacronica: Saussure mostra invece che è la prospettiva sincronica è ineludibile, e concettualmente prioritaria rispetto a quella diacronica (che egli comunque non trascura). Significante e significato sono le due “facce” del segno linguistico, inseparabili l’una dall’altra: il significato non è quindi un oggetto, o un concetto indipendente dalla lingua. I due tipi di rapporti, sintagmatico e associativo, indicano la possibilità degli elementi linguistici di combinarsi (rapporti sintagmatici) o di essere selezionati da un insieme (rapporti associativi). Saussure non riuscì, durante la sua vita, a dare una formulazione definitiva alle sue riflessioni, che furono poi raccolte da due suoi allievi, sulla base delle sue lezioni universitarie, nel Corso di linguistica generale. Il fatto che quest’opera non sia stata scritta direttamente da Saussure ha dato origine a una quantità di dispute interpretative, sulle quali non posso soffermarmi qui. In particolare, le dicotomie appena presentate hanno origine a un’infinità di discussioni. Comunque le si voglia interpretare, e le si voglia o meno accettare, esse mettono in luce aspetti fondamentali del linguaggio: quella tra langue e parole la necessità di distinguere un livello astratto da un livello concreto; quella tra sincronia e diacronia l’impossibilità di limitare la linguistica alla sola descrizione della storia delle lingue; la definizione di significante e significato come “due lati di un foglio di carta” mostra la banalità della concezione della lingua come semplice “etichettatura” della realtà.
Quali sono i principali temi di dibattito nella linguistica contemporanea?
A mio parere, il tema fondamentale del dibattito linguistico contemporaneo è quello tra l’impostazione “formalista” e l’impostazione “funzionalista”. Semplificando all’estremo, potremmo dire che la prima considera il linguaggio come un sistema la cui struttura è indipendente dal suo uso come mezzo di comunicazione, mentre la seconda sostiene la posizione opposta. Il principale esponente dell’impostazione formalista è Noam Chomsky, mentre nella corrente funzionalista si collocano molti studiosi, spesso di formazione differente e quindi non riconducibili a un’unica matrice. L’opera di Chomsky, comunque la si giudichi, ha impresso una svolta alla ricerca linguistica, come dimostra il fatto che buona parte degli studi di impostazione funzionalista parte proprio dalla critica delle posizioni di questo studioso, alle quali quindi ho dedicato un certo spazio. Per quanto riguarda gli argomenti a favore dell’una o dell’altra posizione, non posso che rimandare al mio testo. Mi limito solo a ricordare che questa disputa tra formalisti e funzionalisti ha tra l’altro riproposto all’attenzione una tematica antica, ma progressivamente abbandonata nel corso dell’Ottocento e del Novecento: l’origine del linguaggio e il rapporto tra sistemi di comunicazione animali e linguaggio umano. Usando i termini introdotti in precedenza, parlando delle dispute settecentesche sull’argomento, diremo che i formalisti sono vicini ai razionalisti, i funzionalisti agli empiristi: per questi ultimi, infatti, al contrario dei primi, c’è continuità tra linguaggi animali e linguaggio umano.
Giorgio Graffi (Bologna 1949) è professore emerito dell’Università di Verona, dove è stato ordinario di Glottologia e Linguistica dal 1997 al 2015, dopo aver insegnato a vario titolo presso l’Università di Pavia e l’Università di Udine e, inoltre, presso l’Università IULM di Milano e l’Università “Vita e Salute S. Raffaele” della stessa città. Si è occupato in particolare di teoria e metodologia della linguistica, di sintassi generale e di sintassi italiana, di storia del pensiero linguistico, in numerosi articoli e nei seguenti volumi: Struttura, forma e sostanza in Hjelmslev, Bologna, Il Mulino, 1974; La sintassi tra Ottocento e Novecento, id., 1991; Sintassi, id. 1994; 200 Years of Syntax, Amsterdam, Benjamins, 2001; Che cos’è la grammatica generativa, Roma, Carocci, 2008; Due secoli di pensiero linguistico, id., 2010; La frase: l’analisi logica, id., 2012. Inoltre, con Sergio Scalise ha pubblicato il manuale universitario Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica (Bologna, Il Mulino, III ed. 2013) e, con Adriano Colombo, il volume Capire la grammatica. Il contributo della linguistica (Roma, Carocci, 2017).