
Una figura ormai mitica di «uomo-casa editrice» che leggeva sempre con attenzione tutti i testi che pubblicava, con una «dedizione all’oggetto-libro artigianale e filosofica a un tempo»: «In tutta la sua attività, Valentino Bompiani ha sempre rivendicato una visione dell’editoria come artigianato, un meccanismo per cui doveva essere coinvolto in modo forte nei processi della creazione del libro in ogni suo aspetto.»
«Seguendo con esattezza il concetto di clan, molti familiari di quello che poi sarebbe diventato il gruppo Bompiani-Mauri lavorarono nella casa editrice: alcuni ne fuggirono presto, altri rimasero a lungo, ribadendo il concetto di famiglia editoriale per cui l’editore, per gli intimi, anche non legati da parentela, era zio Val.»
La “famiglia editoriale” rimase il credo di Bompiani per tutta la vita: «L’editore non riuscì mai a farsi una ragione del tradimento degli amici: per fare solo un esempio, reagì male quando Elio Vittorini, poco prima della morte, passò a Einaudi.»
Con un meticoloso lavoro di archivio, Scarlini ricostruisce le vicende editoriali dei principali autori editi da Valentino Bompiani: diciotto scrittori di successo, assurti allo statuto di classici del Novecento, con cui intrattenne una relazione durevole di amicizia, testimoniata da lettere e dialoghi. «Nel vastissimo carteggio dell’editore con i suoi autori ci sono quelli che si lamentano perché le loro opere non sono tradotte in tedesco o in francese; alcuni che hanno problemi con il fisco o che necessitano di un aumento perché il tenore di vita è cresciuto, e bisogna fare i cappotti ai figli per l’inverno; altri che si dolgono perché la critica non li considera e hanno soltanto successo di pubblico; altri infine che si lamentano perché solo i recensori li leggono attentamente, mentre le vendite sono al palo da anni. Bompiani ascolta, giudica e risponde, spesso con ironia, qualche volta in modo drastico.»
L’opera capitale di Bompiani rimane il monumentale Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi che iniziò a uscire, dopo molte traversie, nel 1946, chiamando a bordo i maggiori intellettuali del tempo; un’opera nata dall’idea di creare un’«arca di Noè della cultura»: «Un’impresa immane, e un investimento notevolissimo per la casa editrice, segnata da polemiche all’interno della prestigiosa cerchia di consulenti e autori, con scelte dettate dalla necessità, come quella, su cui Bompiani ha fortemente insistito, di adottare nel testo “à” e non “ha”. Una soluzione linguistica di sapore antico» che fece guadagnare cento pagine di stampa nel conteggio finale.
Non un’opera agiografica, tuttavia, questa di Scarlini, che non fa ad esempio mistero della polemica legata alla pubblicazione del Mein Kampf di Adolf Hitler, scelta mai rinnegata dal Nostro e rispetto alla quale illuminano però le sue parole: «Stampai il Mein Kampf e il mio solo rammarico è che non tutti gli italiani lo abbiano letto abbastanza, perché in quel caso, forse, molte cose sarebbero cambiate e molte disgrazie sarebbero state evitate.»
Con Eco, Bompiani, intrattenne «oltre a una lunga consuetudine editoriale, anche un gioco letterario, intorno alla figura di Milo Temesvar (ossia di Timișoara, ma la sua identità è stata accreditata negli anni in vari luoghi a Est, dall’Albania alla Georgia), autore immaginario di pseudobiblia mirabolanti. Bompiani, a pranzo alla Fiera di Francoforte con Gaston Gallimard, Ledig-Rowohlt e Paul Flamand, inventa per gioco con Eco un autore, per creare sensazione nelle varie lotte per accaparrarsi i titoli migliori. Eco divulga il verbo, segnala la novità tra gli stand: l’autore ha già scritto un romanzo, Let me say now, che ha ottenuto largo successo ed è stato comprato a caro prezzo dalla American Library per cinquantamila dollari. Tutti ci cascano e Giangiacomo Feltrinelli dichiara, per vantazione, di aver già comprato quell’opera prima. Eco continua nella partita, recensisce un libro immaginario, The Patmos Sellers, e mette a punto un trattato borgesiano, che echeggia passi delle Finzioni, addivenendo all’indicazione di un prezioso trattato: Sull’uso degli specchi nel gioco degli scacchi, edito fittiziamente in georgiano a Tbilisi nel 1934, che torna in Apocalittici e integrati e poi nel romanzo Il nome della rosa. Nell’introduzione, dal titolo Naturalmente, un manoscritto, Eco offre questo volume come fonte principale per le vicende di Adso da Melk, anche se discutendo con Beniamino Placido, che nel 1977 su La Repubblica metteva in discussione l’esistenza dell’autore. Lo scrittore ha persistito nel gioco per molti anni. Nel 2004, in un testo intitolato Il codice Temesvar, afferma di aver ritrovato a Sofia un’ulteriore opera del misterioso autore, che si svela essere nient’altro che una puntuale presa in giro de Il codice da Vinci.»
L’epilogo della sua vicenda editoriale, prima ancora della scomparsa, fu quando, a settantaquattro anni, Bompiani decise di vendere il marchio a cui era stato legato tutta la vita. Le ragioni furono da lui riassunte in un’intervista all’Europeo: «Ho venduto perché quando si è passata una intera vita a lavorare a qualcosa, nel mio caso specifico a una casa editrice, si sente il desiderio a un certo momento di poterne assicurare la durata.» Scelta profetica, dato che ancora oggi, all’interno del gruppo Giunti, il marchio ne eterna il nome.