
Quali sono le cause del dissesto idrogeologico del nostro Paese?
Prima di tutto cause geografiche, legate al clima, all’orografia, alla geologia e alla geomorfologia. Gran parte del territorio è perciò assai suscettibile a frane e alluvioni, facilmente innescabili dai nubifragi spesso molto intensi che la circolazione atmosferica è in grado di produrre sia a grande, sia a piccola scala. L’Italia franava e veniva alluvionata con regolarità già agli albori dell’unità e anche prima, ma lo sviluppo economico, urbanistico e infrastrutturale del dopoguerra ha aumentato l’esposizione e la vulnerabilità: il territorio è stato sempre più densamente colonizzato senza una reale attenzione alla pericolosità naturale, alla quale si è aggiunta spesso la pericolosità indotta dalle stesse opere di colonizzazione. E, in qualche caso, da opere inutili o addirittura dannose che hanno traslato il problema a chi, magari, non lo aveva o lo aveva in modo molto ridotto. Per esempio a bonifica integrale di epoca fascista ebbe il giusto obiettivo di eliminare rapidamente le acque piovane, in modo da recuperare vaste aree all’agricoltura. Una logica di intervento che ha però peggiorato la situazione di valle, quando a valle si è intensamente edificato e costruito infrastrutture. Nel terzo millennio la straordinaria accelerazione del consumo di suolo ha reso la questione pressoché insolubile in molte aree del paese, almeno con le tradizionali opere di ingegneria civile.
Quali sono i principali eventi che hanno contrassegnato la storia delle alluvioni in Italia?
Nel 1870, pochi mesi dopo la caduta dello Stato Pontificio, Roma fu colpita dall’alluvione più severa del millennio: la storia unitaria inizia così. Due anni dopo, due alluvioni padane, primaverile e autunnale, misero in ginocchio il paese. Eventi come l’alluvione di Firenze del 1966 e la sequenza genovese dal 1945 al 2014 hanno fatto il giro del mondo. Spesso sono però gli eventi cosiddetti minori a scuotere la coscienza collettiva, come quando nel campeggio di Soverato l’onda di piena uccise 13 ospiti, in gran parte disabili.
Quando e come nasce l’espressione “bomba d’acqua”?
Bomba d’acqua è un sintagma del tutto scorretto usato solo nel nostro paese, ma ormai entrato nel lessico comune. Nacque dopo l’alluvione versiliese del giugno 1966, un evento molto particolare e straordinariamente intenso, forse una traduzione di “cloudburst”, anche se quell’evento non fu esattamente un cloudburst. Anche l’aggettivo “idrogeologico” è tutto nostrano, giacché ha un significato affatto diverso in tutte le altre lingue. Nel libro dico anche chi, secondo le mie personalissime congetture, fu a introdurlo dopo i disastri del 1966.
È possibile prevedere le bombe d’acqua?
Mettiamoci d’accordo. Se prevedere significa stabilire con quale probabilità ciò possa accadere in un certo sito, la risposta è sì. Se invece intendiamo con quanto anticipo possiamo prevedere se e dove esattamente colpirà, l’anticipo è tuttora brevissimo e la risposta, diventa: praticamente non è predicibile. Migliorare la predicibilità è però possibile e lo si sta facendo con una ricca scatola di attrezzi tecnologici. E bisogna anche migliorare la prevedibilità (statistica) perché la statistica è soggetta all’evoluzione del clima.
Quali prospettive per l’equilibrio idrogeologico del nostro Paese?
Nell’ultimo capitolo del libro cerco di individuare alcune possibili azioni per il futuro. Sono dieci azioni: essere consapevoli dei cambiamenti climatici, essere smart, gestire il rischio in modo condiviso, realizzare difese strutturali in modo appropriato, fare manutenzione e manutenzione e manutenzione, usare le dighe in modo strategico, agire sull’esposizione al rischio, fermare il consumo di suolo, agire sulla vulnerabilità, essere capaci di convivere con le alluvioni. E perseguire un equilibrio tra uomo e natura ancora assai negletto. William Morris scrisse che l’architettura è la disciplina che ha come scopo l’organizzazione dello spazio in cui vive l’essere umano: «Il mio concetto di architettura abbraccia l’intero ambiente della vita umana; non possiamo sottrarci all’architettura, finché facciamo parte della civiltà, poiché essa rappresenta l’insieme delle modifiche e delle alterazioni operate sulla superficie terrestre, in vista delle necessità umane, eccettuato il puro deserto».
Renzo Rosso è Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia nel Politecnico di Milano