“Biografia di Gesù. Secondo i Vangeli” di Gianfranco Ravasi

Biografia di Gesù. Secondo i Vangeli, Gianfranco RavasiArriva in libreria la Biografia di Gesù. Secondo i Vangeli di Gianfranco Ravasi, biblista di chiarissima fama nonché cardinale e presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, edita da Raffaello Cortina. Un’opera che si inserisce nel solco delle «molteplici biografie di Gesù apparse nei secoli […] a partire dal capostipite, il certosino Ludolfo di Sassonia che pubblicò nel 1474 a Strasburgo una Vita Iesu Christi, riedita ben 88 volte. […] Persino il giovane Hegel nel 1795 elaborò una sua Vita di Gesù (edita solo nel 1907). Dal successo folgorante (dodici edizioni nel solo anno di pubblicazione, il 1863) fu la Vita di Gesù dell’allora famoso studioso francese Ernest Renan, curiosa miscela di razionalismo e mistica, di filologia e poesia. In Italia, anni dopo, fu la roboante Storia di Cristo di Giovanni Papini (1921) a suscitare interesse e clamore, anche perché era lo spartiacque della conversione dell’autore […]. Per venire poi ai nostri tempi, sempre esemplificando, pensiamo alla Vita di Gesù che […] Mauriac dette alle stampe nel 1936 e che fu tradotta e riedita tante volte (l’ultima, in italiano, nel 2015)» fino al testo dello scrittore Luigi Santucci, nel 1969. «All’antipodo, […] lo sconcertante e smitizzante Il Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) dello scrittore portoghese José Saramago».

I Vangeli, ricorda il cardinale, «non sono libri di storia ma si interessano alla storia di Gesù, leggendone parole e atti legati alla sua persona storica attraverso il filtro interpretativo della tradizione di fede». Come egli stesso ammette, la “biografia” ravasiana è dunque «condotta camminando, in un delicato equilibrio, sul crinale tra fede e storia. Dopo una cornice preliminare che cerca di isolare le coordinate storico-culturali e geopolitiche entro cui fiorisce la tetrade dei Vangeli, si inizia il viaggio all’interno delle loro pagine che – lo ripetiamo – non intendono ricostruire accademicamente un personaggio e la sua vicenda, ma desiderano ricomporne ritratti da angolature diverse. È, questo, il cuore della nostra ricerca, condotta con l’attuale strumentazione esegetica storico-critica e teologica di cui si spreme in un certo senso il succo. […] Percorsi sinteticamente gli 89 capitoli in cui è ora suddivisa la tetralogia evangelica, si cerca di elaborare il profilo risultante di Gesù Cristo, seguendo alcuni lineamenti fondamentali. Ecco innanzitutto le sue origini, legate a coordinate temporali e topografiche dai contorni fluidi ed espressi nei “Vangeli dell’infanzia” presenti in Matteo e Luca, testi dalle caratteristiche piuttosto singolari. Essi spalancano idealmente il portale sulla breve ma intensa vita pubblica di questo bambino cresciuto nella marginalità del villaggio di Nazaret. Due sono i tratti fondamentali: da un lato, le sue parole, che si raggruppano spesso in discorsi e in narrazioni paraboliche; d’altro lato, le sue mani, che operano gesti sorprendenti, catalogati sotto la categoria “miracoli”. Infine entra in scena l’atto supremo, quello della sua morte per esecuzione capitale avallata dal potere romano, dopo una duplice assise processuale presso il Sinedrio giudaico e il governatore imperiale Ponzio Pilato. Ma è proprio quando cala il sipario sulla sua vicenda terrena che si apre un’altra faccia della sua vita rispetto a quella finora apparsa negli spazi della Galilea e della Giudea e rivolta ai testimoni del suo tempo. Una discriminante inedita, definita come “risurrezione” ma anche come “glorificazione-esaltazione”, genera una nuova presenza. Per attingerla è necessario ed è privilegiato un altro canale descrittivo, connesso, sì, a qualche indizio storico, ma affidato sostanzialmente a una conoscenza trascendente: è la cosiddetta “fede pasquale”.»

Non tutto ciò che costituisce la tradizione su Gesù si trova però nei Vangeli; scrive infatti Ravasi: «Se una donna di nome Anna volesse oggi identificare il passo esatto dei Vangeli dove entra in scena la sua celebre omonima, madre di Maria, e magari volesse anche scovarvi quello del padre della Vergine, Gioacchino, vanamente sfoglierebbe le pagine di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. E se si volesse dimostrare che Gesù è nato in una grotta, riscaldato dall’alito di un bue e di un asino, invano si cercherebbe tale informazione nei Vangeli. Inutile sarebbe cercarvi la bella storia della Veronica con il suo lino su cui è stampato il volto di Gesù sofferente; altrettanto infruttuosa sarebbe la ricerca nei Vangeli del nome di Longino, il soldato romano che inferse un colpo al costato di Cristo, né Matteo si è mai sognato di raccontarci che i Magi erano re, erano tre, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, e che erano uno bianco, uno nero e uno olivastro. Queste e altre notizie, che molti sarebbero pronti a considerare verità evangeliche, sono in realtà reperibili solo in quella immensa letteratura dei primi secoli cristiani catalogata con il termine apocrifi, letteralmente i libri “nascosti”, che la Chiesa antica e successiva contrappose ai libri “canonici” e “ispirati” del Nuovo Testamento.»

Nei Vangeli riecheggia tuttavia il nucleo più antico del cristianesimo, quello che trovò nel corpus paolino la sua prima forma scritta e che Ravasi riassume magistralmente: «Era la Pasqua del 57 d.C. e Paolo aveva deciso di dettare subito una lunga missiva, quella che sarebbe divenuta la Prima lettera ai Corinzi, firmata di suo pugno (16,21). Ebbene, quasi al termine di quei fogli, l’apostolo aveva voluto evocare un Credo cristiano, anzi, la più antica professione di fede della cristianità. Alla base c’era la figura di Gesù Cristo nella sua vicenda umana e nella sua qualità divina. Ora, una quindicina d’anni prima, intorno all’anno 40 Paolo, appena convertito alla nuova religione, aveva imparato dai suoi maestri il primo Credo cristiano. Lo afferma lui stesso scrivendo così ai Corinzi (15,3-5): “Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto”: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e fu sepolto. È risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve […].» In queste due righe è raccolto il cuore dell’intero Nuovo Testamento, su cui si intesseranno tutte le 138.020 parole greche che compongono i 27 scritti “canonici” del cristianesimo (i Vangeli assommano, invece, 64.327 parole). Cerchiamo ora di scioglierne le componenti, tenendo presente che le professioni (o simboli) di fede sono di loro natura essenziali ed espresse in termini puntuali e sintetici.

Il primo tema è la morte di Cristo, una morte reale, sigillata dalla pietra tombale della sepoltura. Un dato rilevante, questo, per affermare che Cristo non fu una figura mitica, simbolo di un messaggio o di un’ideologia, bensì un uomo segnato da quel destino che tutti ci accomuna, il morire. Ma per il semita evocare il capo estremo del filo della vita è come tenerne stretto tutto lo svolgimento antecedente, quindi anche l’esistenza storica di Gesù di Nazaret fin dalle sue origini. Quella morte è interpretata come un segno di redenzione (“morì per i nostri peccati”), alla luce di quelle Scritture – cioè dell’Antico Testamento – che il cristianesimo considererà sempre un unico discorso divino, compatto con quello del Nuovo Testamento. Ma Cristo, nella visione di quel primo Credo, non è solo un personaggio dalla morte eroica: ecco, infatti, subito dopo, un secondo articolo di fede, la risurrezione. Come la morte ha il suo sigillo nella sepoltura, così la risurrezione ha la sua radice nella tomba infranta e il suo suggello nelle “apparizioni”, cioè in quegli incontri misteriosi del Risorto con gli apostoli e con alcuni dei primi credenti. Come la morte, così anche la risurrezione è illuminata dalle Scritture. Il suo accadere al “terzo giorno” […] è da intendersi secondo il simbolismo numerico biblico dei “tre giorni”, che vogliono indicare un evento capitale e trascendente.

In questi due capisaldi della vita terrena e della gloria pasquale di Gesù di Nazaret si comprende la trama sostanziale dei Vangeli: narrare e interpretare la storia di Gesù Cristo alla luce del mistero della sua risurrezione, delineare il senso che tutto questo ha per la storia dell’umanità e per l’esistenza del singolo credente e della comunità, la Chiesa. È questo annuncio cristiano – che ancora oggi gli studiosi chiamano con il termine greco di kérygma, l’“annuncio” appunto di un araldo – ciò che muoverà la fede dei credenti in Cristo nei secoli e anche la curiosità o la speranza di altri.»

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link