
Il tema più lacerante è emerso nel contesto delle scelte tragiche se e chi curare, con quale priorità, data la scarsità delle risorse sanitarie disponibili: si sono confrontati da un lato approcci utilitaristici che hanno definito la priorità per i giovani rispetto agli anziani, avendo più anni di vita da vivere e di migliore qualità presumibilmente, anche con la emarginazione in alcuni contesti di persone con disabilità cognitive e dall’altro lato approcci personalisti, che sulla base del principio di dignità umana, uguaglianza e giustizia, hanno giustificato la equità di accesso alle cure senza discriminazioni. Chiunque ha diritto di essere curato, a prescindere da età e abilità o disabilità, come sottolinea la Costituzione e la legge istitutiva del SSN oltre ai diritti umani fondamentali, tra cui il diritto alla tutela della salute.
Anche nella definizione delle linee della sperimentazione di nuovi trattamenti di cura sono emerse indicazioni etiche per le implicazioni rispetto all’informazione ai soggetti partecipanti, con particolari implicazioni sui più fragili e per garantire la equità di accesso alle sperimentazioni che – in assenza di terapie – coincidono con le cure, e la speranza di una guarigione.
Altro tema di grande rilevanza bioetica, è emerso nella ricerca, produzione e distribuzione dei vaccini tra obbligo e scelta. La ricerca sui vaccini ha posto al centro della discussione la tutela dei soggetti partecipanti alla ricerca e la condivisione dei risultati; nella produzione il tema centrale è stato la questione dei brevetti e della proprietà intellettuale nel confronto tra gli interessi delle aziende farmaceutiche da un lato e della tutela della salute globale dall’altro; per la distribuzione dei vaccini, il problema è stato il bilanciamento dei benefici e dei rischi per la definizione della priorità, considerando i rischi diretti per la salute e i rischi indiretti per la trasmissione del contagio, oltre che i rischi psico-sociali.
I temi bioetici sono stati e sono tuttora intensamente discussi dagli esperti, anche nell’ambito dei comitati di bioetica a livello nazionale, europeo e internazionale e hanno visto la partecipazione anche del dibattito pubblico.
Il volume offre uno sguardo complessivo sui temi centrali della bioetica della pandemia Covid-19, nell’ambito della discussione interdisciplinare e pluralista che si è svolta nel nostro Paese, ed inevitabilmente in ogni Paese del mondo, evidenziando gli interrogativi e i tentativi di risposta dell’etica o delle etiche ai dilemmi emersi ed emergenti nella prassi, proponendo l’importanza di un approccio etico che, sulla base dei diritti umani fondamentali, sappia porre al centro la dignità della persona umana e il bene comune.
Come si è articolato, nel nostro Paese, il dibattito in merito a tali questioni?
In Italia la discussione etica è stata intensa, si è svolta nell’ambito del Comitato Nazionale per la Bioetica, organo composto da esperti di discipline diverse e posizioni etiche diverse, su tutti i temi eticamente emergenti. Poca, forse, la voce della bioetica nel dibattito pubblico, sui media, che ha visto la prevalenza di interventi di virologi ed epidemiologi, anestesisti e medici, oltre che politici. La voce bioetica è comunque stata tenuta in considerazione in alcune decisioni politiche e scientifiche, in particolare nell’ambito della distribuzione di risorse scarse, nella definizione delle politiche per la salute pubblica, nella ricerca.
La questione dei vaccini chiama in causa profonde motivazioni di ordine etico e giuridico: quali elementi fanno propendere verso l’obbligatorietà morale di tale scelta?
Delicata ed intensa la discussione bioetica sulla obbligatorietà del vaccino.
La visione libertaria è contraria a qualsiasi obbligo, quale limite e ostacolo all’autodeterminazione individuale. L’obbligatorietà è sostenuta da diverse teorie morali (la visione personalista, la visione comunitaria, l’etica della virtù) che ritiene il vaccino un indispensabile strumento per la protezione della salute individuale e per una rapida riduzione sia delle sofferenze umane (morti e malattie) sia degli angosciosi problemi socio-economici causati dalla pandemia. Secondo questa prospettiva la scelta di non vaccinarsi non è una scelta di libertà autentica perché lede la tutela della salute degli altri.
Sul piano deontologico l’obbligo coincide con il dovere declinato con riferimento a categorie professionali, quali quelle sanitarie, nel caso specifico dei vaccini (medici, infermieri, operatori sanitari) in funzione del loro dovere professionale, di curare e assistere i malati.
Sul piano giuridico, l’obbligo assume diverse possibili connotazioni con riferimento alla vaccinazione. A partire dall’art. 32 della Costituzione, la legge può imporre l’obbligo vaccinale nel caso di pericolo per la salute collettiva, come nel caso della pandemia. Nel contesto delle democrazie occidentali, l’efficacia di una misura di sanità pubblica va misurata non sulla imposizione coattiva, ma sul grado della sua accettabilità sociale.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica esprime la preferenza dell’“adesione spontanea rispetto ad un’imposizione autoritativa”, auspicando il diffondersi di un senso di responsabilità individuale e sociale. Il Comitato ritiene eticamente doveroso che vengano fatti tutti gli sforzi per raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale attraverso l’adesione consapevole e responsabile. Ma ritiene anche che nell’eventualità estrema nella quale si evidenzia una gravità dell’emergenza sanitaria e sociale, con l’insostenibilità delle limitazioni alle attività sociali ed economiche, a fronte di un vaccino validato e approvato dalle autorità competenti, “non vada esclusa l’obbligatorietà”, soprattutto per gruppi professionali che sono a rischio di infezione e trasmissione di virus, tra questi anche gli operatori sanitari. Il Comitato ritiene che tale obbligo possa essere discusso all’interno delle stesse associazioni professionali e debba essere revocato qualora non sussista più un pericolo significativo per l’individuo e la collettività.
Quale contributo può offrire la bioetica per evitare il ripetersi degli errori commessi e proteggere la salute individuale e della comunità globale?
Gli interrogativi etici non vanno elusi; vanno esplicitati ed affrontati sul piano filosofico per giustificare linee di azioni possibili, al fine di comprendere quali sono le ‘lezioni apprese’ della pandemia e le ‘lezioni da apprendere’, distinguere quello che lasceremo alle spalle, speriamo presto, ciò che rimarrà indelebile come segno nel corpo e nell’anima e ciò che costituirà quella spinta auspicata verso la ‘resilienza’. In tutta la sua tragicità la pandemia ci costringe a pensare nuovi percorsi per evitare gli errori commessi e proteggere e promuovere la salute individuale e dell’intera comunità globale: la bioetica può offrire un contributo critico e propositivo in questa direzione.
Questa pandemia ci costringe a prendere atto che, di fronte a sfide di questa portata, dobbiamo metterci ‘al sicuro’ ed essere ‘reparati’.. La preparazione necessita anche di un’adeguata organizzazione. Le lezioni apprese dalla pandemia sono state: i limiti dell’ospedalo-centrismo, la mancanza di un’adeguata interazione tra medicina specialistica e medicina del territorio, la scarsa interazione tra ospedali per il trasferimento dei pazienti, la necessità di migliorare l’integrazione di servizi socio-sanitari per l’assistenza domiciliare, la non sufficiente disponibilità di personale competente, l’importanza dell’educazione del personale sanitario al trattamento dei malati in pandemia negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle carceri, nei luoghi di comunità. I sistemi sanitari pubblici devono essere preparati e organizzarsi per un’adeguata sorveglianza, test, tracciabilità dei contatti, identificazione delle popolazioni a rischio e altri interventi fondamentali per la prevenzione e la mitigazione dei danni. Preparazione e organizzazione devono essere coordinate a livello nazionale, regionale e globale.
Altra lezione da apprendere e non dimenticare è che è necessario investire nella sanità (non tagliare) ed investire nella ricerca. La ricerca non può e non deve essere solo privata, ma deve essere pubblica, e anche in partnership pubblico/privato. Gli investimenti nella ricerca e nella formazione alla ricerca devono essere una priorità di ogni Paese. La ricerca deve essere percepita come un investimento, non una spesa. Condurre ricerche durante i tempi di pandemia è allo stesso tempo un obbligo morale di tutti i Paesi. Bisogna prendere coscienza che è la ricerca la condizione di possibilità dell’avanzamento delle conoscenze scientifiche in ambito medico e farmacologico, per la prevenzione, la diagnosi e la cura.
La ricerca deve anche includere una dimensione interdisciplinare. Abbiamo appreso che per uscire dalla pandemia abbiamo bisogno di farmaci e di vaccini innanzitutto, ma anche di adeguata assistenza per i più fragili, di strategie di sorveglianza e contenimento del contagio che siano appropriate per le specifiche esigenze sociali, evitando di accentuare o creare nuove diseguaglianze, di incrementare o costituire nuove vulnerabilità. La ricerca interdisciplinare tra le science biomediche e psico-sociali consente di affrontare in modo globale il problema pandemico, tenendo conto delle esigenze di cura della malattia, ma anche i bisogni di assistenza per le potenziali conseguenze psico-sociali del contagio. Nel contesto interdisciplinare l’etica della ricerca svolge un ruolo indispensabile per garantire rigore e integrità della ricerca.
È indispensabile anche una “alfabetizzazione alla ricerca scientifica” dei cittadini, per comprenderne metodo e finalità, imparando anche ad accettare i limiti della ricerca e le possibili incertezze. Molte reazioni dei cittadini nell’ambito della pandemia riflettono la scarsa comprensione nella società di cosa sia il progresso scientifico e la sua logica di interrogazione costante, nella ricerca fondamentale, fonte di conoscenza e nelle applicazioni. Manca un’educazione scientifica nella società: alla scienza come risorsa, come metodo, come ricerca costante di soluzioni che esigono sempre epistemologicamente prove di verificazione, fino alla loro falsificazione.
Si è evidenziata anche l’importanza della comunicazione scientifica della ricerca. È emersa l’intrinseca difficoltà di comunicare il lavoro di ricerca della conoscenza scientifica, la costruzione della conoscenza e la sua diffusione, in una situazione di incertezza, avvenuta in modo inedito, quasi in tempo reale durante questa crisi. La pandemia ha messo in luce il difficile rapporto tra scienza e società che troppo spesso ignora i vincoli dell’approccio scientifico, del rigore metodologico essenziale, di un risultato spesso complesso – soprattutto oggi – e mai con assoluta certezza e in modo definitivo stabilito.
La bioetica consente di esprimere un bilancio degli insegnamenti appresi e una ricognizione delle sfide che ancora ci stanno di fronte. La bioetica in generale, e i comitati di bioetica in particolare, hanno mostrato come l’emergenza pandemica debba essere rielaborata come una chiamata all’impegno collettivo per la promozione della giustizia e solidarietà inclusiva, sia a livello nazionale, sia europeo, sia mondiale, raccomandando che ogni scelta deve essere basata sul rispetto e il riconoscimento della dignità umana e della tutela della salute come “bene comune”, monitorando che intervento sia misurato e giustificato da necessità, evidenza, proporzionalità, temporaneità e sia sempre rispettoso dei diritti umani fondamentali.
Laura Palazzani è professore ordinario di Filosofia del diritto presso l’Università LUMSA di Roma, Vicepresidente vicario del Comitato Nazionale per la Bioetica e membro dei comitati di bioetica all’Unesco, al Consiglio d’Europa e alla Commissione europea. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Innovation in Scientific Research and Emerging Technologies: A Challenge to Ethics and Law (Springer, 2019) e Biogiuridica. Teorie, questioni, analisi (Giappichelli, 2021).