“Biblioteche in fiamme” di Roberto Cattani

Dott. Roberto Cattani, Lei è autore del libro Biblioteche in fiamme edito da Einaudi: quale fondamentale ruolo rivestono le biblioteche?
Biblioteche in fiamme, Roberto CattaniIl mio rapporto con le biblioteche parte da un presupposto fondamentale: che la conoscenza è un cammino per arrivare all’assoluto. Ho un rapporto difficile con la fede in un Dio delle religioni, mentre la conoscenza — con la C maiuscola, se vogliamo — mi riconcilia con la Grandezza, con la Bellezza, con la Maestà, che sono in principio attributi divini. E le biblioteche sono templi della conoscenza (non gli unici, chiaramente), ne sono il concentrato, la materializzazione, l’esplicitazione. Le biblioteche hanno sempre svolto la funzione di tesaurizzare, accumulare e preservare il sapere e la memoria delle culture. E poi c’è quella collaterale di mettere a disposizione degli individui e delle comunità, dei popoli, la conoscenza di sé. L’immensa varietà di libri delle biblioteche, del quale il singolo non può appropriarsi — inevitabilmente — nel corso di una vita, gli permette però di incontrare lì da dove viene, scoprire quello che gli interessa, quello che lo instrada, che lo ispira, o semplicemente che gli dà svago e piacere. Per quanto riguarda il collettivo, le biblioteche conservano ciò che caratterizza la propria cultura, ne dimostrano l’esistenza nel tempo, la consistenza, l’entità, la diversità. Ci rendono palpabile l’entità della cultura, le sue innumerevoli forme, di cui noi stessi facciamo parte. Anche Amazon, per esempio, e altri siti di biblioteche digitali non commerciali, come archive.org, che rischiano sempre più di sostituire questa identità della biblioteca, hanno adottato il meccanismo di far apparire, oltre al libro che cerchiamo, tutta una serie di libri correlati, secondo algoritmi che cercano di incuriosirci o di aiutarci nell’approfondimento. La maggiori parte può non interessarci, ma se ne scopriamo uno, è già un contributo importante, il punto di partenza per nuove scoperte, e così via, di ramo in ramo…

Quanto alle nostre povere biblioteche piccole personali, dobbiamo convincerci che in realtà sono grandi e varie, perché man mano che leggiamo i libri, ne dimentichiamo altri, più remoti o meno marcanti. Potremmo, in definitiva, tornare sempre alle stesse letture che non ci parranno mai le stesse. Possiamo leggere e rileggere l’Odissea e il Quijote, il Grande Sertão e i Karamazov, Moby Dick e il Tao Te Ching (oggi Daode Jing), Weil e il Kāmasūtra, ad ogni nuova fase del nostro percorso di vita, ed avere la sensazione ogni volta di leggere un altro libro, di scoprire nuove cose — e in definitiva che la nostra biblioteca è infinita, perché si evolve con la nostra crescita o vicenda personale. All’opposto, i libri non letti — ma scelti accuratamente — aspettano pazientemente, negli scaffali, che venga il loro turno. C’è sempre il momento giusto per ogni libro, o per la sua prima volta. Quanti libri, scoperti con eccitazione, potrei dire con sollievo, sono finiti messi da parte, superati da altri più urgenti o imperiosi, o dimenticati, per anni, per poi essere riscoperti, e letti con rinnovata sorpresa, con la passione di una volta.

Qual è la prima biblioteca di cui si abbia memoria?
Per quanto ne sappiamo (nuove scoperte sono sempre possibili e anzi probabili), il re accadico Sargon (il suo vero nome era Sharru-Kīn, Sargon è un titolo, che in accadico significa ‘il vero re’) sarebbe stato il primo potente della storia a fondare una propria biblioteca, in Mesopotamia, verso il 2.370 a.C.. A Sargon, indirettamente, dobbiamo anche un’altra ‘primizia’ culturale: i primi poemi scritti — e firmati —, che siano arrivati fino ai nostri giorni. Opere di Enheduanna, figlia di Sargon, la più antica poetessa di cui si abbia notizia: grande sacerdotessa della dea Inanna, alla quale è dedicato il suo capolavoro poetico, Esaltazione di Inanna. Le tavolette di argilla, cotte in fornaci aperte, diventavano estremamente durevoli, ancor più nel clima secco della Mesopotamia, permettendo la conservazione senza molta protezione di grandi quantità di materiale (sono state rinvenute anche tavolette preziose, di alabastro e porfido). Opere con temi analoghi erano legate insieme, con cordicelle di cuoio o legacci di seta, per formare ciò che sembrava… un grande libro con pagine di argilla. Molte tavolette, disseppellite nei siti archeologici della Sumeria, sono giunte in condizioni sorprendentemente buone ai musei europei (in particolare al British Museum, che ne ha oltre 20 mila ammucchiate nei magazzini) e americani. Alcuni secoli più tardi, nella sua capitale Ninive (oggi Mosūl), il re Ashurbanipal fece edificare la prima biblioteca come edificio autonomo (non come propaggine di un templo o di un palazzo), che continuò ad ampliare man mano che raccoglieva (o razziava) in tutta la Mesopotamia sempre più testimonianze scritte del glorioso passato sumero, del quale lui stesso si gloriava. Grazie ad un catalogo, trovato in perfette condizioni, in 237 tavolette, sappiamo che riunì qualcosa come 25 mila tavolette, su temi dei più vari: predizioni, profezie, prognostici, sortilegi, formule magiche, inni sacri, mappe astrologiche, studi astronomici, trattati di matematica, progetti di idraulica, manuali di grammatica, e raccolte di letteratura e poesia. La biblioteca di Ashurbanipal è stata anche la prima biblioteca multilingue: vi si trovavano testi in assiro, sumero, accadico, ugaritico, mandaico e aramaico, e persino tavolette bilingui (il che ha permesso di decifrare lingue prima sconosciute). È nelle rovine della biblioteca di Ashurbanipal che gli archeologi hanno scoperto le dodici tavole dell’Epopea di Gilgamesh (datate al 2.100 a.C.), e le sette tavole dell’Enūma Eliš. L’Epopea, poema epico sulle gesta di Gilgamesh, re di Uruk, che secondo il mito era per due terzi dio e per un terzo umano, è considerata il primo grande capolavoro della letteratura mondiale. Nell’Epopea, con la coppia Enkidu e Shambat creati dall’argilla in un giardino paradisiaco, e la descrizione dell’Arca di Ūt-napishtim, la civiltà occidentale scopre che l’Eden, il Diluvio Universale e l’Arca sono miti arcaici ‘globali’ e non solo ebraici e poi cristiani, comuni in realtà a buona parte dell’umanità, dalle Ande all’Estremo Oriente.

La Biblioteca di Alessandria è «il paradigma di tutte le biblioteche»: quali vicende hanno segnato il mito storico?
La Biblioteca di Alessandria è diventata — a torto o a ragione — un emblema della saggezza dell’Antichità, tanto da rappresentare un grande mito storico (nel senso di narrazione fantastica), specialmente per quanto ne riguarda la distruzione, e la perdita di tesori incalcolabili di conoscenza. È stata certamente la prima biblioteca con pretese globali: e cioè ad aspirare allo scibile universale, riuscendo a diventare riferimento per i popoli letterati dell’epoca. Alessandria è stata anche la prima biblioteca non selettiva: tutto ciò che riguardava un autore, un tema o un’opera era considerato sapere, senza criteri di qualità, di rilevanza, di autenticità o altri. Il principio dichiarato e praticato era, ad esempio, offrire negli scaffali (che in realtà assomigliavano più a nicchie) i rotoli e i manoscritti (originali, se possibile) dell’Iliade e dell’Odissea, i commenti su Omero (persino i meno importanti), le opere falsamente attribuite ad Omero, le opere che dimostrassero la falsa attribuzione e quelle che la confermavano, le opere ispirate dai due poemi, e così via. Come biblioteca passata a ideale, Alessandria porta su di sé la triste sorte che non si sappia davvero cosa conteneva, che cosa si è perso nelle sue varie catarsi, e quali sono state di fatto le sue distruzioni cicliche. Alessandria è anche la metafora che qualsiasi biblioteca è quello che crediamo sia stata, quello che ci è stato riportato che era, quello che vogliamo credere che possa essere stata.

D’altro canto, la Biblioteca di Alessandria è stato il corrispondente tolemaico delle piramidi e delle mummie delle dinastie faraoniche precedenti: un monumento all’eternità — o, almeno, alla ricerca dell’eternità. I Tolomei non avevano dubbi di sorta che la loro Biblioteca sarebbe durata per sempre. Anche l’accumulazione di libri faceva parte di questa mentalità grandiosa: la Biblioteca doveva essere non solo il centro di raccolta di tutto lo scibile umano, ma anche il luogo dove lo scibile umano sarebbe commentato, ritrasmesso alle generazioni future, e protetto dai tumulti della Storia. In questo modo, dalla Biblioteca continuerebbero a sorgere necessariamente altri capolavori, altre opere fondamentali, che sarebbero a loro volta studiate e ritrasmesse al futuro, in in processo ideale, incessante, di acquisizione di nuove conoscenze e nuova sapienza.

Purtroppo, nonostante gli sforzi di sapienti geniali e re chiaroveggenti, per l’umanità l’eternità raramente va oltre i due o tre secoli. Anche la maestosa biblioteca alessandrina cominciò a perdere il suo splendore, anche se fu una decadenza lenta e progressiva, al contrario del mito romantico della distruzione all’auge. È umano preferire immaginare che la grande biblioteca ebbe fine in un’apoteosi di fiamme, per non dover ammettere che nemmeno il maggior monumento alla conoscenza sia stato capace di sfidare il passare del tempo, le limitazioni e la meschinità umane. Ci furono sì, incidenti di percorso, incendi accidentali, com’era inevitabile, e come avveniva con molta frequenza nell’Antichità. Il più famoso è quello attribuito a Giulio Cesare (come lui stesso ammette nel De Bello Alexandrino), nel 47 a.C. Forse l’insorgere di una nuova setta, chiamata Cristianismo, della quale Alessandria divenne uno dei centri di diffusione e di fioritura, fu ciò che si rivelò fatale per la cultura antica, incarnata dalla Biblioteca. La colonizzazione romana dell’Egitto e la caduta dei Tolomei (dei quali Cleopatra era una delle ultime regine) privò la Biblioteca dei finanziamenti statali: tutto era accentrato a Roma, nuovo centro del mondo, compresi i libri. La reputazione dei dotti di Alessandria decadde, altre biblioteche ne presero il posto, e persino nella città stessa sorsero altri centri culturali con le loro biblioteche, come il Serapeum e il Cæsareum, che probabilmente ‘vampirizzarono’ l’istituzione più antica, in piena decadenza, dei suoi rotoli più preziosi. Il Serapeum stesso fu demolito nel 391 e i suoi rotoli bruciati, su ordine di Teofilo di Alessandria, 14mo Papa della Chiesa copta, che lo considerava un tempio ermetico. E così, da una distruzione all’altra, da un saccheggio all’altro, arriviamo al famoso episodio della conquista di Alessandria da parte delle truppe islamiche del generale Āmr ibn al-Ās nel 642. Che però è solo la pietra tombale su di un’istituzione giunta già al termine della sua decadenza culturale e storica — che continua peraltro fino ai nostri giorni. Se la biblioteca antica non è durata più di quattro secoli, la nuova biblioteca di Alessandria, inaugurata in pompa magna nel 2003 dall’allora presidente egiziano Hosni Mubarak con l’appoggio dell’Unesco con il nome sontuoso di Bibliotheca Alexandrina, non è durata nemmeno due decenni. Con il crollo del regime di Mubarak e i governi che sono seguiti (l’autocrazia fondamentalista di Muhammad Morsi e della Fratellanza Musulmana, e l’attuale dittatura oscurantista e brutale di Abdel Fattah al-Sisi), la nuova biblioteca ha ricevuto sempre meno fondi e meno appoggio ufficiale. L’Unesco stessa ha denunciato lo stato deplorevole nel quale si trovano le migliaia di manoscritti e libri rari della collezione, la cui riproduzione e digitalizzazione è sospesa da tempo.

Il titolo del libro ci riporta al tragico destino di distruzione che ha colpito molte biblioteche: ce ne vuole ricordare qualcuna?
Il titolo del mio libro allude proprio al fatto che le biblioteche sono spesso il primo obiettivo per colpire l’identità di una comunità, come è stato a Sarajevo durante la guerra dei Balcani nel 1992, in cui i serbi e i serbo-bosniaci hanno bombardato precisamente la Vijećnica, la biblioteca dove era preservato il patrimonio delle quattro culture che convivevano da sempre in Bosnia: la slava ortodossa, l’austro-ungarica cattolica, la turca islamica e la l’ebraica. Pluralità che i fanatici pan-serbi volevano cancellare — riuscendoci peraltro in buona parte. Un’infinità di testimonianze preziose sono andate in fumo, letteralmente. “In tutta la Bosnia, non solo in Sarajevo — scrive il ricercatore ungherese András Riedlmayer, uno dei grandi specialisti delle culture dei Balcani — le biblioteche, gli archivi, i musei e le istituzioni culturali in generale sono state vittime di una campagna sistematica di distruzione, con l’obiettivo evidente di eliminare qualunque prova , qualsiasi testimonianza, qualsiasi reminiscenza, che potesse ricordare alle generazioni future, che esisteva un patrimonio e un’eredità in comune tra persone e gruppi di tradizione etnica e religiosa differente.”

Nel 1193 le orde turche e turcomanne invasero Nalanda, il più grande complesso di monastero, università e biblioteca della storia del buddismo, e una delle più grandi università dell’Antichità. Bruciarono vivi migliaia di sapienti, monaci e discepoli, in grandi roghi alimentati dai rotoli e dai manoscritti della biblioteca. Secondo la leggenda, ci vollero tre mesi per ridurre in cenere tutte le conoscenze (umane e scritte) di Nalanda. L’offensiva mamelucca fu un colpo fatale e definitivo: il buddismo venne definitivamente cancellato dall’India dove era sorto e cresciuto. Il genocidio culturale dei maya fu altrettanto brutale, ma più lungo e difficoltoso. Solo nel 1697 gli spagnoli riuscirono a scoprire Nojpetén (in quello che oggi è il Guatemala), una specie di Macchu Picchu ultimo rifugio della civiltà maya. La città, con il suo splendore (21 templi e piramidi), fu preservata, ma la biblioteca di centinaia di testi sacri non venne risparmiata. Come riportò il vescovo Diego de Landa, che guidò ‘eroicamente’ l’operazione di devastazione, “finalmente” non restava più nulla delle decine di migliaia di volumi della civiltà più brillante delle Americhe (in realtà, sopravvissero tre codici, sfuggiti per caso, oggi conservati nelle biblioteche di Madrid, Parigi e Dresda). Le biblioteche dei maya facilitavano il compito degli incendiari, giacché gli 800 glifi dell’alfabeto maya erano dipinti su scorza d’albero conciata, una base ancora più combustibile che la carta o la pergamena.

Nella Cornovaglia medievale (all’epoca indipendente dalla corona inglese) il Kolji Glasneth, centro di sapienza e di culto della Chiesa della Cornovaglia, con la sua biblioteca ricchissima di manoscritti della cultura e della tradizione celta, fu smantellato nel 1548 per ordine del re Enrico VIII, per far sparire la cultura cornica e l’idioma gaelico cornico — e annettere la regione. La Cornovaglia non ricuperò mai la sua identità e la sua lingua si perse con la repressione successiva, al contrario di altri idiomi gaelici, come il gallese e l’irlandese. Nel 1981, estremisti nazionalisti singalesi incendiarono la Biblioteca Pubblica di Jaffna, riducendo in cenere 95 mila manoscritti antichi e rotoli di foglia di palma. La biblioteca di Jaffna era la maggior testimonianza secoli e secoli di convivenza armoniosa tra etnie (tamil, singalesi, e discendenti di arabi e portoghesi) e religioni (indù, buddista hinayana, giainista, cattolica e islamica) . Non si salvò nulla da quella catarsi e, nonostante la pacificazione forzata imposta dall’India, i rapporti tra le etnie dell’isola sono sempre a rischio di guerra civile. Un esempio molto recente è quello delle biblioteche di Timbuktu, distrutte dai fondamentalisti tuareg assieme alle tombe dei santi sufi della città. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi purtroppo all’infinito, nella storia della cultura mondiale.

Nel libro Lei riporta esempi di biblioteche “anomale”: quali ritiene le più eccentriche?
Certamente la più ‘diversa’ di tutte è la Framtidsbibliotheket (Biblioteca del Futuro) in Norvegia, visto che dispone per ora di sette libri, che non potranno essere aperti prima del 2114. L’idea dell’artista concettuale Katie Paterson, del 2014, è di chiedere ogni anno, ad uno(a) scrittore(ice) differente, di scrivere un libro che sarà conservato — sigillato — assieme a tutti gli altri 99, che saranno poi aperti e resi noti, tutti assieme, nel 2114. La sala speciale dove sono conservati i libri ‘futuri’, la Sala del Silenzio, è uno spazio uterino di ‘meditazione sul futuro’, di legno non trattato “per conservare l’odore degli alberi che la costituiscono”, scrive Paterson nel sito della Framtidsbibliotheket. Della biblioteca fanno già parte manoscritti di Margaret Atwood, David Mitchell, dell’islandese Sjón, della turca Elif Shafak e della sud-coreana Han Kang. Altri due autori che l’artista scozzese considerava prioritari per un libro sul futuro sono venuti a mancare prima di poter dare il loro contributo: Umberto Eco, e il premio Nobel svedese Tomas Tranströmer. La biblioteca norvegese, inaugurata nel 2020, è diventata anche un’attrazione turistica e culturale come biblioteca più ‘futurista’ e ipertecnologica del mondo.

In Amazzonia, è stata inaugurata l’anno scorso sul lago Mamorí una biblioteca galleggiante che mette a disposizione delle comunità rivierasche del grande lago e dei fiumi della regione libri sulle culture indigene, pubblicazioni educative, collegamento internet via satellite per studenti e studiosi indigeni, e accesso diretto ai principali rappresentanti politici e culturali delle tribù. La biblioteca, costruita tutta con materiali di riciclaggio (bottiglie pet, polistirolo di scarto, e plastica delle reti da pesca) e rinnovabili (bambù), è stata realizzata dagli stessi abitanti del Mamorí, e intende anche servire d’esempio ad altre comunità che non hanno mai avuto accesso a libri e biblioteche.

Non posso non citare anche le numerose biblioteche ambulanti, a dorso d’animale da carico, che portano libri alle comunità inaccessibili con altri mezzi: il Biblioburro (in realtà due muli carichi di libri) guidato dal suo fondatore, Luis Soriano, in Colombia, che trasporta 70 volumi alla volta, ma dispone di un patrimonio di 5000 libri, da cui si possono fare ordinazioni. In Kenya, ci sono i dromedari della Camel Library sponsorizzata dalla National Kenyan Library, che diffonde libri in swahili e inglese, per diffondere il bilinguismo. In Etiopia, è un carretto tirato da due muli, che si trasforma anche in teatro di marionette. In Afghanistan, il maestro di scuola Saber Hosseini gira invece da anni con una vecchia bicicletta indiana Enfield carica di libri pubblicati in Iran, gli unici che i talebani ammettano senza far rischiare l’esistenza al maestro e ai libri.

Tra i film su biblioteche, vorrei ricordare — perché l’idea è molto originale e stimolante —, quello diretto dal francese Rémi Besançon, Le mystère Henri Pick, la cui sceneggiatura (della moglie di Besançon, Vanessa Portal) immagina una biblioteca che raccoglie manoscritti respinti dagli editori.

Umberto Eco si è molto occupato di biblioteche: quali caratteristiche dovrebbe possedere la «biblioteca ideale»?
In una conferenza alla Biblioteca Comunale di Milano a Palazzo Sormani, nel 1981, Umberto Eco tracciò le linee generali di ciò che sarebbe per lui una biblioteca ideale, in quanto ricercatore e in quanto ‘innamorato delle biblioteche’. “Invece di disegnarvi l’utopia di una biblioteca perfetta, che non so quanto e come sia realizzabile, vi racconto la storia di due biblioteche su misura, due biblioteche che io amo e che, quando posso, cerco di frequentare. Con questo non voglio dire che siano le migliori del mondo o che non ce ne siano altre: sono quelle che per esempio l’ultimo anno ho frequentato con una certa regolarità, una per un mese, l’altra per tre mesi: sono la Sterling Library di Yale e la nuova biblioteca dell’Università di Toronto.” Fusione ideale ma utopica, visto che le due biblioteche citate sono estremamente differenti una dall’altra: quella di Yale s’assomiglia ad un monastero neo-gotico incastonato in un’università molto tradizionale degli Stati Uniti, fondata nel 1701; mentre quella di Toronto è un capolavoro dell’architettura contemporanea, tutta vetro e metallo, e inserita in un’università molto moderna, creativa e ‘informale’. Allo stesso modo, per cercare e richiedere un volume, nella Sterling di Yale è solo da pochi anni che il computer ha sostituito le schede di cartoncino, e tempi sono ancora più macchinosi, mentre a Toronto l’informatizzazione del patrimonio libresco è stata adottata assieme alla — e addirittura in funzione della — creazione della biblioteca. Ricerche più facili e veloci a Toronto, quindi, ma con un punto di vantaggio per Yale: le ricerche lì sono verticali e trasversali. Questo è un punto molto importante, insiste Eco: se cerchiamo un libro di Dostoevskij, ad esempio, la risposta non comprende solo il libro che cerchiamo, e gli altri dell’autore, ma anche le opere sullo scrittore russo e su quel libro in particolare. A Toronto invece, se quel libro non è disponibile perché già prestato, la biblioteca fornisce il nome e il contatto della persona che lo ha preso per primo, per poter entrare in contatto e sapere per quanto tempo intende tenersi il libro che ci interessa.

Altro punto che Eco apprezzava molto: biblioteche che rimangono aperte fino a mezzanotte, anche di domenica (anche se di domenica Yale tradizionalmente apra solo a mezzogiorno – forse perché i dipendenti possano assistere alla messa — o al rito protestante). Ma l’aspetto più importante, secondo il filologo, è la possibilità, per i frequentatori, di avere accesso diretto agli scaffali, senza dover chiedere il libro desiderato ai bibliotecari. Il ricercatore percorre gli scaffali, cerca, guarda i libri, tira fuori ciò che gli pare, e può accomodarsi per leggere — c’è sempre vicina una sala con poltrone confortevoli. C’è pure, sempre nelle vicinanze, una macchina per le fotocopie, che può essere usata liberamente, senza file e senza restrizioni di diritti d’autore. Perché è così importante avere accesso agli scaffali, senza che sia qualcun altro che vada a prendere il volume al nostro posto? — chiedeva Eco al pubblico. E la risposta è estremamente significativa: “La funzione principale della biblioteca è farci scoprire libri dei quali nemmeno sospettavamo l’esistenza, e che invece scopriamo essere di grande importanza per noi. Non c’è nulla di più rivelatore e appassionante che l’esplorazione degli scaffali che, idealmente riuniscono tutti i libri su un certo tema — e trovarvi, a fianco del libro che cercavamo, un altro libro che non stavamo cercando perché nemmeno sapevamo nulla della sua esistenza, ma che si rivela fondamentale. Insomma, la funzione ideale della biblioteca è essere in un certo modo come la bancarella del bouquiniste, dove si fanno trouvailles inaspettate, che cambiano le nostre prospettive. Tale funzione può esistere solo se c’è libertà di accesso ai corridoi degli scaffali”. Eco concludeva il suo esposto insistendo che le biblioteche ideali sono quelle alla nostra misura.

In un mondo sempre più digitale, quale futuro, a Suo avviso, per le biblioteche?
Le biblioteche continueranno ad esistere? Credo — e spero proprio — di sì. Ma credo anche che molte saranno sempre meno frequentate, a meno che si adattino profondamente e intelligentemente ai cambiamenti dei tempi. I segnali non mancano: la Biblioteca del Futuro citata sopra, la nuovissima Mid-Manhattan Branch della New York Public Library, altro gioiello appena inaugurato (il primo luglio) di architettura, design, funzionalità e connettività, la Central Library di Seattle, con squarci di vedute inattese sul Pacifico, e una varietà di sale differenti e sorprendenti… Tutte prove che c’è chi punta e investe sulla sopravvivenza dell’istituzione biblioteca.

Ma ci sono anche alternative che propongono un’altra prospettiva, di caducità della biblioteca ‘fisica’: ci sono biblioteche online totalmente ‘aperte’, come l’Internet Archive (archive.org) e la World Digital Library (wld.org), un progetto della Biblioteca del Congresso USA (la più grande biblioteca del mondo attuale per ricchezza di volumi), in collaborazione con l’Unesco e il contributo di molte altre biblioteche, archivi, musei e entità culturali di tutto il mondo. Vi sono disponibili oltre 20 mila documenti originali scannerizzati di 193 paesi, dalla’8 mila a.C. Ai nostri giorni, tra libri rari, manoscritti e palinsesti, carte geografiche antiche, fotografie, film e registrazioni storiche: dalla riproduzione di un Talmud babilonico a poster giapponesi per arruolare aspiranti emigranti verso il Sud America. La consultazione e la navigazione sono disponibili in sette lingue, compreso l’italiano, il cinese e l’arabo.

L’Internet Archive (IA) è una biblioteca digitale senza finalità di lucro di ‘ogni tipo di prodotti culturali’, e cioè: 330 miliardi di pagine web, 20 milioni di libri, 4,5 milioni di registrazioni (tra I quali 180 mila concerti live), 4 milioni di video, 3 milioni di immagini varie, e 200 mila programmi di software, per un totale di 30 Petabytes di stoccaggio. L’AI ha oggi 7 milioni di utenti iscritti, e una media di 150 mila nuovi utenti al mese. Il sito dell’Internet Archive sottolinea: “Siamo innanzitutto una biblioteca, quindi diamo risalto particolare ai libri. Ricordiamo che non sono tutti che hanno accesso alle biblioteche pubbliche o universitarie, perciò per fornire accesso universale, dobbiamo fornire la versione digitale dei libri. Abbiamo cominciato a digitalizzare libri nel 2005, e oggi scannerizziamo mille libri al giorno, in 28 centri in tutto il mondo. Libri pubblicati prima del 1923 sono disponibili per essere scaricati, mentre centinaia di migliaia di libri attuali possono essere presi in prestito nel nostro sito Open Library. Un esempio personale: ho trovato nell’Internet Archive libri considerati esauriti da anni, anche come usati o da collezionismo, in tutti i siti di ricerca in Europa e negli Stati Uniti, libri come Les Mères di Robert Briffault, o The Gates of Horn di Rachel Levy, che ho potuto prendere in prestito, con continuità (visto che non c’erano altre richieste), per tutto il tempo che mi sono serviti. Una comodità pazzesca per chi non ha a disposizione una grande biblioteca fisica nelle vicinanze. Un aspetto particolarmente interessante dell’AI è la possibilità di contribuire, per ogni utente, alla collezione del sito: se siamo in possesso di un libro che non appare nel sito, chiunque può digitalizzare il libro personalmente (basta seguire le istruzioni e i prerequisiti), e inserirlo nel patrimonio online. Chi non sogna di contribuire ad arricchire gli scaffali della biblioteca che frequenta?

Roberto Cattani è giornalista, scrittore e traduttore. Già inviato di guerra in Medio Oriente, oggi vive nel sud del Brasile, dove si dedica alla letteratura

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