
di Fozio
a cura di Nunzio Bianchi e Claudio Schiano
introduzione di Luciano Canfora
Edizioni della Normale
«Quando, scrivendo a Tarasio, Fozio – nella lettera collocata davanti alla Biblioteca — parla di «libri alla cui lettura non fosti presente», fa con ciò allusione ad una realtà di cui torneremo ad occuparci spesso nelle pagine che seguono: una cerchia, costituitasi intorno a Fozio, dedita, evidentemente sotto la sua guida, allo studio di discipline e alla lettura di libri. Una cerchia che, guardata con sospetto dagli avversari, fu dispersa (o avrebbe dovuto essere dispersa) in forza dei deliberati dell’VIII concilio (IX canone) nell’anno 870. Per brevità vi faremo spesso riferimento col compendiario e allusivo termine tedesco Kreis.
Un’idea di come potesse all’incirca funzionare tale cerchia la si può ricavare dal modo in cui Fozio stesso descrive la sua scuola, apertamente da lui praticata prima di diventare patriarca: non una struttura ‘universitaria’, come qualcuno ha creduto, ma piuttosto una «Privat-Akademie». Diffusamente ed efficacemente lo stesso Fozio su ciò si esprime nella lettera al papa Niccolò I (Epistula 290, 49-81 Laourdas-Westerink). È una lettera celeberrima, databile all’agosto-settembre dell’861, che spiega al papa di Roma quale mondo di piaceri intellettuali Fozio abbia dovuto abbandonare per accettare la gravosa carica di patriarca. Il tono è di superiorità, sotto ogni rispetto: perché Fozio si sente, ovviamente, portatore e promotore di una cultura ben superiore a quella dell’Occidente arretrato, perché sa di capeggiare una sede patriarcale che ha alle spalle un potere politico (economico, culturale etc.) ben superiore a quello delle realtà statuali dell’arretrato Occidente. […]
Una osservazione va subito fatta. Il quadro del proprio insegnamento, che Fozio delinea scrivendo a Niccolò I, riguarda la sua attività anteriore all’ascesa: al trono patriarcale ed anzi chiarisce fin troppo pateticamente che, con l’ascesa al vertice della Chiesa, egli aveva dovuto abbandonare tutto ciò (έξἐπεσον viene ripetuto ben quattro volte in questa parte della lettera […]).
La ricostruzione-che appare dunque plausibile è che in forma per così dire ‘riservata’ o ‘clandestina’ il peccaminoso’ patriarca ha seguitato a praticare la scienza («quae a Deo stulta facta est» come si esprime il IX canone) nella forma del Kreis di lettori, il cui lavoro collettivo è testimoniato ad abundantiam dalla cosiddetta Biblioteca. […]
Come avvenissero tali ‘letture in comune’ (non dissimili, nella procedura, dalle lezioni impartite a suo tempo) lo si può arguire, oltre che da indizi sparsi qua e là nella Biblioteca, anche da alcuni sguardi retrospettivi affioranti negli Amphilochia. (Insieme con una parte non piccola dell’epistolario, gli Amphilochia, o Quaestiones ad Amphilochium, costituiscono la principale impresa intellettuale – quasi tutta teologica e filosofica – compiuta da Fozio dopo la sua prima deposizione (867] nel periodo della ‘cattività’ successiva alla scomunica [870].) […] Qui Fozio descrive come, dalle sue lezioni/letture, nasceva – a conclusione del lavoro di gruppo – uno σχεδάριον, cioè un bilancio-sintesi-soluzione dello ζήτημα. […]
Per chi voglia addentrarsi nel problema genesi e natura della Biblioteca foziana, il presupposto da tener sempre presente è dunque questa duplicità di fondamenti materiali: i libri e gli σχεδάρια. Σχεδάρια la cui genesi nel concreto lavoro di insegnamento è ben descritta da Fozio nella già ricordata Quaestio 78, e che un biografo ostile ma bene informato come Niceta David sintetizza efficacemente nella formula «discussioni molto varie (ποικίλαι) di lettori (άναγνωστῶν) e di compagni di studio (συνομιλητῶν) che discutono rispondendosi l’un l’altro (άμοιβαίων)» (PG CV, 532d). Con questa pertinente definizione – che mette in relazione «lettori» ‘amebei’ diretti da Fozio e una massa sterminata (ἐσμός) di libri – siamo, per così. dire, entrati nell’officina il cui portato o, meglio, risultato non previsto è la cosiddetta Biblioteca.
Che i materiali su cui la Biblioteca è fondata siano gli σχεδάρια (da un certo punto in avanti ricopiati quasi meccanicamente) è dimostrato, tra l’altro, da vari indizi. Per esempio, nel cap. 242 (Damascio), una nota lessicale è rimasta accanto ad un estratto e perciò è stata ricopiata come parte di esso (p. 338b 21-24). Ancora: Joannes Klinkenberg osservò che nel cap. 63 (Procopio) è entrato di peso un brano di Agatia, di argomento affine (21b 35-36 + 22a 6-9 = Agatia IV, 27): è evidente che chi lavorava su Procopio aveva annotato il locus similis in Agatia; noi leggiamo il tutto in sequenza perché così il testo è stato ricopiato a partire dallo σχεδάριον. Poco dopo, nello stesso capitolo, uno scolio […] è stato incorporato nel testo (22a 12-17). Fenomeni analoghi segnalò Jacques Schamp a proposito dei capitoli foziani sulle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio (76, 238). Del capitolo 238 Michael Maas osservò che esso appare costituito da un collage di pezzi scritti da Fozio (o da altri) anteriormente e da lui forniti di un preambolo al momento in cui immise quei pezzi nella Biblioteca. Pervasivo il fenomeno nel cap. 246 su Elio Aristide. Pertinente perciò la diagnosi di Treadgold: «other material from scholia, still unidentified, may well be imbedded in other ‘codices’».
Un caso chiarificatore è quello dei due capitoli perfettamente identici (185 e 211) riguardanti Dionigi di Egea, medico ‘dialettico’, autore di uno strano repertorio di cure intitolato Δικτυακά. In entrambi i casi, il capitolo consiste nella lista completa dei κεφάλαια che componevano l’opera; inoltre il brevissimo giudizio di Fozio sull’opera figura (sostanzialmente uguale) nel 185 alla fine e nel 211 al principio. Non ci sono altre spiegazioni possibili se non che si tratti dello stesso σχεδάριον, che non a caso nel codice A figura solo una volta, al cap. 211. (Perciò, sia detto qui per incidens, nel computo, quello σχεδάριον sarà stato contato una sola volta: perciò Fozio scrive che gli σχεδάρια sono 279, mentre la numerazione giunge a 280.)
Un capitolo come quello dedicato al Compendio storico di Cefalione (cap. 68) testimonia gli effetti che l’eventuale incompiutezza dello σχεδάριον preso a base – senza la possibilità ormai di accedere ai libri – ha determinato. Nella parte finale del capitolo infatti Fozio non è più in grado di riferire una serie di dati numerici che lo strampalato Cefalione forniva intorno alle opere consultate e ha lasciato in sospeso per ben sette volte il dato mancante. E giustamente il buon Henry, il quale osserva che il fenomeno non è isolato, si pone la domanda: come mai un fenomeno del genere «si Photius a redigé cette notice avec le texte de Céphalion sous la main»? D’altra parte, un capitolo quale il 167, che, nella sua seconda parte, contiene, in ordine rigorosamente alfabetico, i nomi dei ben 475 autori citati da Stobeo nell’Anthologion cos’altro può essere se non uno σχεδάριον, riprodotto in integro e collocato subito di seguito alle considerazioni introduttive sull’opera?»