“Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Alessandro D’Avenia: riassunto trama e recensione

Bianca come il latte, rossa come il sangue, Alessandro D'Avenia, riassunto, trama, recensioneIl romanzo di esordio di Alessandro D’Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue, è stato pubblicato da Mondadori nel 2010 ed è subito entrato nelle classifiche dei libri più venduti. L’enorme successo è stato ulteriormente incrementato dall’uscita, nel 2013, del film omonimo.

Il romanzo è scritto in prima persona da Leo, sedicenne come tanti altri, amante del calcio e della musica, con una zazzera di capelli indomiti e la paura di stare da solo. Frequenta il terzo anno di liceo classico, ma la scuola “ti rompe le palle dalla mattina alla sera”, ed è quindi molto meglio girare sul motorino scassato e frequentare gli amici più stretti, in particolare Niko, compagno nella squadra di calcio, e Silvia, l’amica del cuore, “una con cui parli di tutto”. La classica migliore amica, a cui mancano però “la magia, l’incantesimo”, che permetterebbero di trasformare l’amicizia in amore. È un’altra, infatti, la ragazza di cui Leo è innamorato: Beatrice, “occhi verdi che quando li spalanca prendono tutto il viso. Capelli rossi che quando li scioglie l’alba ti viene addosso. Poche parole ma giuste.” Leo non osa parlarle, e dunque la ragazza non sa nulla dei suoi sentimenti (“Siamo fatti l’uno per l’altra. Io lo so. Lei no. Non sa di amarmi. Non ancora”); quel poco che sa di lei Leo lo deve a Silvia, che periodicamente lo tiene aggiornato sulla vita della ragazza.

Un giorno arriva in classe un supplente a sostituire la professoressa di storia e filosofia. Leo non ha grandi aspettative, anzi, immagina il nuovo arrivato non sia altro che un povero “sfigato”, come tutti i docenti, destinato a fare un mestiere noioso senza nemmeno la serenità di un posto fisso. In un primo momento sembra che il nuovo insegnante confermi i pregiudizi di Leo poiché, appena entrato in classe, è sovrastato dalla confusione creata dagli studenti che non intendono permettergli di fare lezione. Nel corso della giornata però il supplente inizia a guadagnarsi l’attenzione e il rispetto dei ragazzi coinvolgendoli con racconti della propria vita e della propria adolescenza: “Il nonno quel giorno mi spiegò che noi siamo diversi dagli animali”, racconta agli allievi, “che fanno solo quello che la loro natura comanda. Noi invece siamo liberi. È il più grande dono che abbiamo ricevuto. Grazie alla libertà possiamo diventare qualcosa di diverso da quello che siamo. La libertà ci consente di sognare e i sogni sono il sangue della nostra vita, anche se spesso costano un lungo viaggio e qualche bastonata.”

Grazie al racconto dell’insegnante, da quel momento soprannominato “Il Sognatore”, Leo inizia ad interrogarsi sui propri sogni: gli sembra di non avere niente a spronarlo e a entusiasmarlo, se non la trascinante passione per Beatrice: “Beatrice è vino rosso. Mi ubriaca: io la amo”.

Beatrice è rossa come la passione e l’amore. Già, perché ogni cosa nella vita di Leo è un colore: da un lato il rosso della passione, ma dall’altro il bianco dell’apatia, della paura, della solitudine: “Ogni cosa è un colore. Ogni emozione è un colore. Il silenzio è bianco. Il bianco infatti è un colore che non sopporto: non ha confini. Passare una notte in bianco, andare in bianco, alzare bandiera bianca, lasciare il foglio bianco, avere un capello bianco… Anzi, il bianco non è neanche un colore. Non è niente, come il silenzio. Un niente senza parole e senza musica. In silenzio: in bianco. Non so rimanere in silenzio o da solo, che è lo stesso. Al contrario, il rosso è l’amore, la tempesta, la passione.”

Ma improvvisamente la vita flemmatica e piatta di Leo viene sconvolta quando Silvia gli comunica che Beatrice ha la leucemia. “Leukos”: bianco, “aima”: sangue, dunque una terribile malattia che racchiude nel suo nome il bianco della paura e il rosso della passione. Quando Leo apprende che Beatrice è in ospedale e necessita di una trasfusione, si offre di donare il proprio sangue. Accompagnato e sostenuto dal padre, si sottopone al prelievo di sangue da donare all’amata, alla quale però non rivela nulla: “Mi sento felice e stanco. Così è l’amore.”

Tuttavia, indebolito dal prelievo, Leo perde una partita di calcio e viene così insultato dagli amici. In più, nell’attraversare la strada, viene investito da un’auto e si trova egli esso ricoverato in ospedale, quello stesso ospedale dove si trova Beatrice, di nuovo ricoverata per il secondo ciclo di chemioterapia. Se anche fisicamente ora è provato, il ragazzo si sente però sempre più vivo, come se avesse finalmente trovato una ragione di vita, un sogno da seguire: “È strano come i sogni ti mettano in moto, come una trasfusione di sangue. Come se ti entrasse nelle vene il sangue di un supereroe.”

In ospedale il ragazzo riceve le visite degli amici, in particolare Silvia, dei compagni e anche del supplente “Sognatore”. Fattosi coraggi, Leo si spinge fino alla stanza di Beatrice e la osserva dormire, pallida e bellissima. Ma la visione della ragazza così devastata dalla malattia lo spaventa e lo spinge a fuggire senza cercare nemmeno di rivolgerle la parola.

Tornato a scuola, Leo è sempre più scontroso con tutti, ma soprattutto detesta se stesso per non essere stato in grado di aiutare in alcun modo Beatrice: “Lei adesso è pallida. Ha perso i suoi capelli rossi, i capelli che mi hanno fatto innamorare. E io non ho avuto neanche il coraggio di parlarle, di aiutarla, di chiederle come sta. L’ho vista così e sono scappato. Sono scappato come un vigliacco. Ero convinto di amarla, ero convinto di andare in capo al mondo con lei, ero pronto a fare qualsiasi cosa, ho persino donato il sangue, e poi quando me la trovo davanti scappo. Scappo come un codardo. Non la amo. Uno che scappa non ama davvero. Era piccola, era indifesa, era pallida, e io sono scappato. Faccio schifo.”

Quando scopre che nemmeno il trapianto di midollo ha avuto l’esito sperato, Leo decide finalmente di andare, insieme a Silvia, a trovare Beatrice. Questo sarà solo il primo di molti incontri: i due pregano insieme, cantano, scrivono, si confidano.

Durante questi incontri Leo inizia a scoprire qualcosa in più su se stesso, e soprattutto a comprendere il rapporto intenso che lo lega a Silvia, rapporto che forse non è solo amicizia. E tuttavia Leo non riesce a perdonare l’amica a cui aveva affidato le sue lettere d’amore per Beatrice e che lei, per gelosia, non le aveva consegnato.

Beatrice muore; “questa parola, “morta”, è talmente violenta che la puoi dire una volta sola e poi devi stare zitto.” Leo è sconvolto, ma poco per volta riesce a riemergere dal dolore e a riconoscere dentro di sé il nuovo sentimento che lo lega a Silvia, imparando anche a perdonarla.

Scritto per gli adolescenti, usandone il linguaggio, i modi, gli ambienti, il romanzo ha incantato il pubblico di giovani lettori e fatto di D’Avenia uno degli scrittori da loro più amati.

Silvia Maina

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