
a cura di Francesco Zambon
Bompiani
«Commentando alcune menzioni del serpente e dell’aquila presenti nel Salmo 61 e dopo averle spiegate facendo riferimento alle notizie favolose che si leggevano nei bestiari, sant’Agostino – intuendo forse la perplessità di qualche lettore – osserva: «Fratelli, siano vere quelle cose che si dicono del serpente e dell’aquila o siano invece una leggenda degli uomini anziché la verità, tuttavia nelle Scritture c’è sempre la verità e non è senza motivo che le Scritture ci riferiscono tali cose. Mettiamo quindi in pratica ciò che tali immagini significano, e non ci affatichiamo a cercare se corrispondono o meno a verità». Si potrebbe considerare questa dichiarazione come un vero e proprio manifesto del bestiario medioevale; del resto in un altro suo libro – il De doctrina christiana, che divenne il manuale per eccellenza della cultura cristiana del medioevo – lo stesso Agostino invita le persone colte di buona volontà a redigere opere che, «ripartendo per generi tutti i nomi sconosciuti di luoghi e animali e piante e alberi e pietre e metalli e di altro genere riportati nella Scrittura», ne forniscano la spiegazione.
Ecco formulato il programma dei bestiari, degli erbari, dei lapidari e più in generale di tutte le opere enciclopediche di cui il medioevo offrirà una abbondante fioritura: il loro scopo non è né lo studio scientifico della natura né il piacere fine a se stesso del meraviglioso e del fantastico, ma unicamente la raccolta di informazioni naturalistiche – zoologiche nel caso dei bestiari – atte a illustrare allusioni o similitudini o metafore oscure della sacra Scrittura. Per esempio, a proposito del pellicano che risuscita i figli con il proprio sangue (una delle più famose leggende diffuse dai bestiari), Agostino scrive nel suo commento al Salmo 101: «Forse questo è vero, forse è falso; ma se è vero, voi vedete come si adatti perfettamente a Colui che con il suo sangue ci ha ridato la vita», cioè Cristo.
Questo stretto rapporto fra i bestiari e l’esegesi biblica è all’origine stessa del «genere» bestiario, che risale a un trattatello composto in greco nel II secolo dopo Cristo, probabilmente in Alessandria d’Egitto, il Fisiologo (gr. Φυσιολόγοϛ, lat. Physiologus), titolo che designa propriamente l’autore del testo o meglio il maestro al quale sono attribuiti gli insegnamenti che vi sono contenuti. Si tratta di una sequenza di circa cinquanta brevi capitoli – dedicati in gran parte ad animali, ma anche a qualche pietra o albero – dalla struttura bipartita: nella prima parte è descritta quella che il testo chiama la «natura» (gr. φύσις, cioè le caratteristiche o le proprietà) di un animale o pianta o pietra, mentre nella seconda è sviluppata un’interpretazione allegorica (gr. ἑρμηνεία) che la riferisce – come nel caso del pellicano appena menzionato – a temi o a figure della dottrina cristiana. Così l’aquila, che quando invecchia brucia nel sole le sue vecchie ali e la caligine che le offusca la vista e poi si immerge per tre volte in una fonte d’acqua pura rinnovando la propria giovinezza, rappresenta il cristiano che dopo essersi spogliato dell’«uomo vecchio» volando nel Sole della giustizia, Gesù Cristo, si immerge nel fonte battesimale rinnovandosi spiritualmente (cap. 6); la fenice, che ogni cinquecento anni si incendia sull’altare di Eliopoli e dopo tre giorni rinasce dalle sue ceneri, è un simbolo di Cristo morto per noi e risuscitato il terzo giorno (cap. 7); la balena, che trascina negli abissi marini i naviganti che l’avevano scambiata per un’isola raffigura il demonio che seduce gli uomini e poi li precipita nell’inferno (cap. 17), e così via. L’anonimo autore del trattato attinge le sue informazioni «naturalistiche» dalle fonti più disparate, ma quasi esclusivamente libresche: gli zoologi antichi (in particolare Aristotele ed Eliano), geografi e storici (come Erodoto), opere poetiche, trattati ermetici o medici, raccolte di geroglifici egiziani, forse anche leggende di origine orientale; rarissime sono le descrizioni riconducibili all’osservazione diretta (come quella delle rondini che tornano a primavera). […]
La maggior parte dei capitoletti del Fisiologo sono introdotti da una citazione biblica in cui figura l’animale trattato; in qualche caso, come quello della pernice che cova le uova di altri uccelli (cap. 18), la descrizione «naturalistica» è una semplice parafrasi del luogo biblico. Il trattato si presenta cioè essenzialmente come una raccolta di interpretazioni allegoriche di passi della sacra Scrittura in cui sono menzionati degli animali, reali o fantastici, ai quali vengono attribuite caratteristiche o proprietà desunte dalle fonti zoologiche di cui disponeva il redattore. Già l’Antico Testamento offriva numerosi esempi di allegorie o di similitudini tratte dal mondo animale; accanto alla simbologia visionaria di Daniele o di Ezechiele, che sarà ripresa e adattata dall’esegesi e dall’iconografia cristiana, ricorrenti sono le immagini proposte come modelli da imitare o da rifuggire: si pensi fra le tante al detto dei Proverbi, di cui il Fisiologo cita una parte in apertura del capitolo sulla formica (cap. 12): «Va’ alla formica, o pigro, guarda le sue abitudini e diventa saggio» (Pr 6, 6). Negli stessi schemi retorici rientra anche una celebre parola evangelica, puntualmente citata dal Fisiologo (cap. 11): «Siate prudenti come serpenti e puri come colombe» (Mt 10, 16). Ispirandosi alla Bibbia, i commentatori ebrei e cristiani si ritennero autorizzati a estendere sistematicamente questo tipo di interpretazione morale o religiosa a tutti i riferimenti zoologici – o naturalistici in genere – che incontravano nel testo sacro. […] Per quanto riguarda gli esegeti cristiani, si trattava essenzialmente di mettere in luce il significato cristologico degli animali menzionati nell’Antico Testamento; del resto era stato Gesù stesso a inaugurare questo metodo durante il suo insegnamento notturno a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che innalzato sia il Figlio dell’uomo» (Gv 3, 14). […]
Questi precedenti ci permettono di definire i presupposti teologici del bestiario e di ricostruirne in qualche modo la nascita e forse anche le primitive finalità. Il suo fondamento è costituito dal principio secondo cui tutte le realtà materiali sono immagini o specchi delle realtà spirituali e divine o, per dirla con il grande storico dell’arte medioevale Émile Mâle, dall’idea che «il mondo è un simbolo». […] Ma importa soprattutto il fatto che la maggior parte degli animali trattati siano menzionati nella sacra Scrittura, la quale costituisce in qualche modo un filtro posto fra la natura e l’uomo: il Fisiologo interpreta allegoricamente la natura interpretando il significato delle bestie, delle piante e delle pietre citate nel Vecchio o nel Nuovo Testamento. Qualche studioso ha ipotizzato che l’opera sia nata o sia stata utilizzata in origine proprio come un prontuario naturalistico-simbolico a uso dei commentatori biblici. […]
Un caso a parte è costituito dal Liber monstrorum, la più completa e autorevole raccolta medioevale di notizie teratologiche, composta intorno al VII-VIII secolo, forse da Aldelmo di Malmesbury. Nel Fisiologo, come nei bestiari che ne derivano, gli animali reali o fantastici si mescolano frequentemente ai mostri veri e propri, in particolare a esseri ibridi come le sirene (mezze donne e mezze uccelli o pesci) o gli ippocentauri (mezzi uomini e mezzi cavalli). Ma nel Liber monstrorum – che accanto agli animali favolosi e alle figure mitologiche comprende parti deformi come i gemelli siamesi, abitanti di paesi esotici come gli Etiopi o i Pigmei, personificazioni poetiche come la Fama virgiliana, fiumi come il Nilo e molte altre stranezze – le descrizioni non sono più seguite da interpretazioni di carattere religioso o morale, come nel bestiario. […]
L’immediato successo del Fisiologo greco è testimoniato dalle numerose traduzioni e dai rifacimenti che presto incominciarono a diffondere l’opera in tutto il mondo cristiano: ci sono pervenute versioni in etiopico, in siriaco, in copto, in armeno e in altre lingue ancora. […] Ma la base della straordinaria fortuna dei bestiari nel medioevo occidentale è rappresentata dalle traduzioni latine del Fisiologo. […]
Le enciclopedie del XII e del XIII secolo furono gli ultimi ricettacoli della materia «fisiologica», ormai quasi irriconoscibile in mezzo all’enorme massa di notizie sugli animali che vi sono raccolte. Tra le più importanti, sono da ricordare il De natura rerum di Alexander Neckam (1157-1217), il De natura rerum di Tommaso di Cantimpré (1200 ca-1274), lo Speculum naturale di Vincenzo di Beauvais (1190 ca-1264), il De animalibus di Alberto Magno (morto nel 1280) e il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico (XIII secolo).»