“Berlinguer e il diavolo. Dall’oro di Stalin al petrolio di Gorbacëv, i grandi segreti di Botteghe Oscure” di Francesco Bigazzi e Dario Fertilio

Dott. Francesco Bigazzi, Lei è autore con Dario Fertilio del libro Berlinguer e il diavolo. Dall’oro di Stalin al petrolio di Gorbacëv, i grandi segreti di Botteghe Oscure pubblicato da Paesi Edizioni. Per quarant’anni, dal 1950 al 1991, un fiume di denaro partì da Mosca in direzione del nostro Paese: a cosa erano destinati i fondi del dell’«assistenza fraterna» sovietica?
Berlinguer e il diavolo. Dall’oro di Stalin al petrolio di Gorbacëv, i grandi segreti di Botteghe Oscure, Francesco Bigazzi, Dario FertilioLa parte più cospicua, come avevamo calcolato con Valerio Riva nel libro “Oro da Mosca”, serviva a finanziare l’attività di Botteghe Oscure. Il fiume di denaro seguiva poi altri rivoli che, a seconda delle necessità si gonfiavano o scendevano di livello: finanziamento degli organi di stampa del PCI oppure dei quotidiani e periodici controllati (Paese Sera, Nuovi Orizzonti etc.); forte contributo al finanziamento dei Festival dell’Unità e di altri eventi importanti per il PCI; fondi speciali per sostenere le campagne elettorali per le elezioni politiche e, talvolta, amministrative in Italia; mantenimento di strutture clandestine su vasta scala e fornitura di materiali tecnici sofisticati (stazioni radio, armi per la cosiddetta “lotta partigiana”, addestramento tecnico e missioni speciali, etc.)

Quali vicende segnarono lo «strappo» con l’Urss di Enrico Berlinguer?
Non c’è dubbio che Berlinguer sia stato il più visionario e, forse per questo, tormentato dei leader comunisti italiani e, in un certo senso, mondiali. Il suo nome, a mio avviso, è da accomunare ad altri visionari che ho conosciuto come, ad esempio, Alexander Dubček, il tragico artefice della Primavera di Praga, il ministro degli esteri della Perestrojka Eduard Shevardnadze – divenuto Presidente della natia Georgia dopo il crollo dell’Urss viene travolto dagli avvenimenti – e, perché no, lo stesso Mikhail Gorbaciov. Dopo i tragici fatti d’Ungheria, la drammatica invasione delle truppe del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia per soffocare la “Primavera di Praga”, non poteva tacere, assistere in silenzio, al colpo di mano del Generale Polacco Wojcech Jaruselski che tentò di bloccare il corso della storia proclamando lo Stato di Guerra e facendo arrestare Lech Walesa ed i leader di Solidarnosc. Berlinguer proclamò la fine della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre e lanciò una sfida fino ad allora inimmaginabile al Cremlino. Purtroppo dopo avere lanciato questo anatema contro gli ideologi del PCUS, Berlinguer si trovò praticamente solo, come tutti gli altri leader comunisti che hanno tentato di dare un “volto umano” al comunismo sovietico. Uno strappo che non si è mai potuto realizzare anche a causa della fortissima dipendenza economica del PCI dal PCUS che, benché in forme diverse, è continuata fino al crollo dell’URSS nel 1991.

In che modo i servizi segreti sovietici infiltrarono il nostro Paese?
“Assistenza fraterna”, una formula bellissima che ha permesso di nascondere quello che è stato il fine ultimo di tanta generosità. Non è esatto definire “infiltrazione” la presenza degli agenti dei vari servizi segreti sovietici in tutte le strutture dello Stato italiano, nei mass media “fratelli”, per non parlare del settore culturale, sportivo e umanitario dell’Italia. Il Dossier Mitrokhin ha svelato la fittissima e onnipresente ramificazione di agenti del KGB nelle strutture dello Stato italiano e nei mass media italiani. Accanto a questi, che lo facevano per interesse, c’era tuttavia una quantità di “volontari”, di “militanti entusiasti” e disposti a soddisfare tutte le richieste dei compagni del KGB e degli altri. Poco importa se le loro informazioni potevano rivelarsi tragicamente utili in caso di un confronto nucleare (vedi missili SS20).

Come era organizzata la «Gladio rossa»?
La “Gladio rossa” è la derivazione fedele della “Vigilanza rivoluzionaria” che, creata da Stalin, in Italia è stata perfezionata sotto la sorveglianza dello stesso Palmiro Togliatti. Non bisogna trascurare che Ercoli, come ha raccontato la super-spia sovietica Starinov, è stato uno dei migliori allievi del COMINTERN che hanno seguito, durante il soggiorno in URSS, l’addestramento alla “guerra partigiana” ed all’ “utilizzo di armi speciali” tenuto dai maggiori specialisti sovietici. In Italia, con l’utilizzo di armi provenienti dall’Urss e da altri paesi del Patto di Varsavia, in particolare dalla Cecoslovacchia, la “Vigilanza rivoluzionaria” ha creato una rete di depositi d’armi, una struttura armata e addestrata, che in caso di pericolo – è accaduto almeno tre volte nel dopoguerra – era già pronta a intervenire. Una struttura che aveva la forza maggiore nelle “regioni rosse” ed in certe località del Nord. Berlinguer, dopo il rapimento di Aldo Moro, pur ristrutturando la Gladia Rossa – il controllo è passato da Cossutta a Pecchioli – non è riuscito ad eliminarla. Uno spettro che aleggia ancora nei racconti di vecchi comunisti.

Come maturò l’eurocomunismo berlingueriano?
“Eurocomunismo”, l’illusione di Berlinguer di trovare una “terza via”. Una sottile partita a scacchi tra gli ideologi del PCUS – nelle tetre stanze della Staraja Ploshad l’eurocomunismo era stato ribattezzato “eurocretinata” – che ha logorato lentamente Berlinguer fino a quando non è stato abbandonato con fastidio dal PCF e sbeffeggiato da Tito. Berlinguer aveva creduto, e si era fatto molte illusioni, di poter diventare il promotore di una sorta di Partito comunista occidentale con forti legami al Terzo Mondo. Un gioco di equilibrio che ha avuto momenti particolarmente difficili ed è stato condizionato dall’impossibilità di affrancarsi da Mosca. In questo caso il nemico principale non era il rublo, ma l’apparato del suo PCI, il più stalinista dell’epoca.

Cosa rappresentò per il PCI la cosiddetta «questione morale»?
Evocata dal leader di un Partito comunista la cui nascita è stata finanziata, in gran parte, dai rubli sovietici e che, come accadrà molti anni dopo, sparisce dalla scena politica contemporaneamente al crollo dell’Urss ed alla fine del flusso degli stessi rubli, sembra paradossale. In realtà la “Questione morale” è stata la più grande profezia di Berlinguer perché, proprio quando sta per esplodere lo scandalo dei finanziamenti del PCUS al PCI, avrà un ruolo importantissimo per creare una sorta di scudo, d’intoccabilità. Usata con grande abilità la “questione morale” è riuscite a convincere i compagni di essere superiori, di essere al di sopra di ogni sospetto. Una convinzione difficile a morire perché ha creato una cappa di conformismo culturale, preservato e garantito dall’occupazione decisa di molte posizioni chiave sempre sostenute e spesso guidata dal PCI. Ancora una volta Berlinguer è stato tuttavia tradito perché il risultato è stato la nascita di un conformismo culturale animato da tutti gli spettri che Lui voleva distruggere: egemonia fatta di clientelismo e cooptazioni, occupazione spregiudicata e settaria dei posti di potere, intimidazione più o meno esplicita degli avversari, isolamento chirurgico dei dissidenti.

Dov’è, dunque l’oro del PCUS?
Abbiamo potuto accertare che oggi sarebbe meglio scrivere “Gli ori del PCUS”. I filoni dell’oro sono stati due. Dopo il crollo dell’URSS è stata aperta un’inchiesta, guidata dal Procuratore Velentin Stepankov, che ha stabilito con esattezza dove è finito l’oro del PCUS destinato ai partiti comunisti “fratelli”. Per quanto riguarda l’Italia, il materiale enorme raccolto da Stepankov per consegnarlo a Giovanni Falcone, dopo la sua morte è stato portato a Roma dallo stesso Stepankov e consegnato ai giudici romani.

Da questi documenti emerge che dal 1950 al 1991 sono stati trasferiti dal KGB al PCI, con valigette diplomatiche o con altri espedienti, 500 milioni di dollari, senza contare le ingentissime somme derivanti dalle transazioni commerciali (petrolio, pietre preziose etc,) tramite società legate o “amiche” del PCI. È categoricamente smentita l’ammissione, fatta da Cervetti per ridimensionare la durata del finanziamento, che il flusso di denaro si era interrotto nel 1981. Oltre all’inchiesta di Stepankov c’è stata quella affidata dal capo del primo governo post-comunista della Russia, Egor Gajdar, alla famosa società americana KROLL. Al termine dell’inchiesta la KROLL ha consegnato a Gajdar una lunghissima lista di conti correnti aperti da dirigenti comunisti dell’era gorbacioviana presso banche di New York, Londra e alcune italiane. Un flusso di denaro enorme che, si è scoperto più tardi, riguardava anche alcuni leader della nuova Russia. Questo è stato uno dei motivi per cui questa lista è scomparsa e, pur emergendo alcuni nomi, continua ad essere avvolta nel mistero. Non è escluso che sia stata utilizzata per dei regolamenti dei conti.

Francesco Bigazzi, giornalista e saggista, è stato ricercatore del CNR a Varsavia, Mosca e Budapest negli anni settanta. Direttore dell’Ansa a Varsavia e Mosca, poi corrispondente del «Giorno» è stato corrispondente e poi collaboratore di «Panorama» da Varsavia, Mosca e gli altri del Patto di Varsavia dall’inizio degli anni ottanta fino ad oggi. Dal 2004 al 2009 è stato addetto stampa e cultura presso il Consolato Generale di San Pietroburgo. Uno dei massimi esperti italiani del dissenso dell’Est europeo, ha dedicato all’argomento numerosi libri e saggi: Il fronte del Dissenso Polacco (1978), Wojtyla. Dalla Polonia all’Europa testimoniare con coraggio il primato dell’uomo (1979), Dossier Polonia – Solidarnosc (1981), Oro da Mosca (con Valerio Riva, 1999), Pci: la storia dimenticata (con Sergio Bertelli, 2001) e Cremlini. Le fortezze dell’antica Russia (con Mauro Galligani, 2004). Pubblicazioni recenti: Il Viaggio di Falcone a Mosca. Indagine su un mistero italiano (Con Valentin Stepankov – Mondadori, 2015), La Missione dei cristiani nel mondo (Intervista al Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill – Pagliai Editore, 2019), Testimone a Chernobyl. La catastrofe che sconvolse l’URSS (Pagliai editore, 2020).

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