“Benedetti sondaggi. Leggere i dati, capire il presente” di Lorenzo Pregliasco

Prof. Lorenzo Pregliasco, Lei è autore del libro Benedetti sondaggi. Leggere i dati, capire il presente edito da add: in che modo i dati possono orientare e condizionare la nostra percezione della realtà?
Benedetti sondaggi. Leggere i dati, capire il presente, Lorenzo PregliascoPossono farlo perché sono uno degli elementi che utilizziamo quando cerchiamo di leggere il mondo che ci sta intorno e sono, peraltro, uno strumento, una chiave di lettura, molto diffusa, che possiamo definire se non onnipresente, sicuramente molto presente in tutto ciò che ha a che fare con il dibattito pubblico: nel mondo della politica, ovviamente, nel mondo dell’economia, dello sport, della tecnologia. In ogni ambito, ormai, i dati sono un elemento, un contenuto molto forte e dalla autorevolezza che essi conferiscono a un certo messaggio, a una certa posizione, a una certa affermazione, deriva il potenziale di distorsione delle nostre percezioni. Il concetto è un po’ questo, se vogliamo: al tempo stesso i dati rafforzano l’impatto di una posizione – sapere che per esempio l’80% dei nostri concittadini la pensa in un certo modo su un certo tema impatta in positivo nel conferire autorevolezza a quella posizione, alla centralità di un certo argomento – e proprio perché la componente del dato conferisce questo peso, dobbiamo stare particolarmente attenti a non essere fuorviati, manipolati, nella nostra percezione del mondo e della realtà.

Negli anni scorsi, piuttosto a lungo, si è parlato, ad esempio, di quanto la percezione sulla priorità di alcuni argomenti, di alcuni temi del dibattito pubblico fosse orientata contro i dati di fatto. Ipsos ha svolto un’indagine internazionale – su cui poi è più volte intervenuto Nando Pagnoncelli, che ha anche scritto un libro, intitolato Dare i numeri – che mostrava come le percezioni della popolazione italiana, ma anche di molte popolazioni in giro per il mondo, sui fenomeni sociali più disparati – dal numero di immigrati presenti nel Paese al tasso di disoccupazione, eccetera – fossero drammaticamente distanti dai dati ufficiali, dai dati reali. Poi, per carità, non sempre i dati ufficiali evidentemente corrispondono, collimano pienamente, integralmente con i dati reali ma la percezione era radicalmente distorta; questo emergeva con forza in una serie di contesti, e in Italia ancora più che altrove. Ad esempio, è noto – qualcuno se lo ricorderà – il fatto che ci fosse una percezione del numero degli immigrati, in Italia, sulla popolazione, intorno al 30 per cento con un dato ufficiale che è invece inferiore al 10. Poi, per carità, il dato reale, considerato che il dato ufficiale include solo i regolari, sarà un pochettino più alto ma sicuramente ben lontano dal 30 per cento percepito.

Questo ci fa capire che, da un lato, i dati possono aiutarci a riconoscere quando la nostra percezione del mondo, del Paese, della città in cui viviamo, è fuorviante e distante dai dati di fatto, e quindi hanno un potenziale di consapevolezza che è importantissimo, preziosissimo, ma dall’altra, così come racconto nel libro, ci sono molti esempi di modalità di rappresentazione dei dati, nei media, per esempio, sui social, insomma in tutti i contesti del dibattito pubblico, che giocano proprio su difetti di percezione, su bias cognitivi per proporre una fotografia non rispondente al vero e dunque manipolare le nostre percezioni, rafforzate, in un certo senso, proprio dal meccanismo di cui dicevo all’inizio. Proprio perché siamo abituati ad associare più forza, più gravitas a una posizione che viene sostenuta da un dato, siamo soggetti a operazioni che non necessariamente assumono i tratti della disinformazione, per carità, ma che possono banalmente rappresentare il tentativo di soggetti del dibattito pubblico di avanzare un certo punto di vista e che però sicuramente giocano con le nostre percezioni: giocano a orientare le nostre opinioni, in virtù della forza dei dati che vengono presentati.

Questo vale sicuramente per il mondo dei sondaggi, che poi sono un tipo di dati, evidentemente, sono forse una delle modalità più frequenti di rappresentazione dei dati nel dibattito pubblico; sono, in un certo senso, la modalità attraverso la quale noi possiamo leggere con scientificità ciò che accade nella pubblica opinione e dunque hanno un enorme valore, non solo tattico o strategico, per chi comunica, che lo faccia per ragioni politiche o per ragioni commerciali o per ragioni sociali, ma hanno anche un enorme valore, dal mio punto di vista, per il dibattito stesso, nel senso che ci consentono di avere uno strumento, una chiave di lettura indipendente. E, naturalmente se con metodologie corrette, con accreditamenti di chi svolge queste indagini, ma ci consentono di disporre di strumenti di lettura indipendenti che ci dicono in che modo la pensa, in che modo si comporta, quali sono gli atteggiamenti, le credenze, i valori delle persone che vivono con noi in una certa città, in un certo paese. Io credo che questo sia in realtà un formidabile strumento di democrazia e di analisi che chiunque dovrebbe avere a cuore perché il tema di fondo – che poi cerco di enucleare nel libro, da cui anche il titolo, semischerzoso, Benedetti sondaggi – è che le alternative sarebbero molto peggiori.

Noi, oggi, nonostante i sondaggi, abbiano dei limiti – e nel libro cerco di raccontarli -: non disponiamo di strumenti migliori, più affidabili, in grado di cogliere la complessità di società che sono molto eterogenee, molto segmentate, molto polarizzate in tanti casi, e quindi i sondaggi sono uno strumento che ci aiuta a uscire dalla nostra bolla, a confrontarci con mondi, priorità, sensibilità con cui altrimenti non avremmo modo di confrontarci, soprattutto nell’attuale ecosistema politico-mediatico-informativo che tende a ridurre l’ampiezza delle bolle. Quindi, in un certo senso, possiamo dire che, se da un lato sicuramente un uso manipolatorio dei sondaggi è fonte di rischi per il dibattito pubblico, se da un lato è auspicabile che non siano i sondaggi a guidare le scelte di chi governa, dall’altro è peggio, dal mio punto di vista, un mondo nel quale questi strumenti non esistono e quindi non esistono modalità di lettura che ci permettano di cogliere la complessità di un Paese in cui vivono, come nel nostro caso, 60 milioni di persone con visioni del mondo diverse, con sensibilità, valori diversi, con percorsi di vita, di studio, professionali, con età, che vivono anche in posti diversi materialmente, dalle grandi città – e poi dove nelle grandi città – ai piccoli centri. Tutta questa complessità che comunque i sondaggi cercano di restituire attraverso il meccanismo del campione, noi la perderemmo e ci troveremmo a disporre di strumenti meno precisi, meno accurati, meno empiricamente testati che quindi ci darebbero solo un pezzo della fotografia. In un certo senso, l’alternativa ai sondaggi, a un uso responsabile, consapevole dei sondaggi, ci porterebbe a considerare come voce del sentimento del Paese su una certa questione gli editoriali dei giornali, oppure quello che alcuni dicono sui social, o quello che dicono quelli che sui social hanno molti follower. Io credo che ci sia un rischio nell’affidarsi a questi strumenti anziché a modalità di lettura dell’opinione pubblica che, con tutti i loro limiti, con tutta la loro incertezza, che noi dobbiamo essere capaci di riconoscere e di accettare, ambiscono se non altro a tracciare una fotografia più ampia e più fedele, più rispettosa di un Paese, di una società eterogenea come sono poi tutte le società contemporanee, e non solo contemporanee.

Quali rischi e insidie nascondono la presentazione dei dati e l’organizzazione di modelli?
I rischi hanno a che fare con il fatto che noi abbiamo dei meccanismi percettivi-cognitivi che orientano il modo attraverso cui leggiamo le informazioni visive. Il libro dedica tutta una parte proprio al problema dei grafici e delle mappe e al problema della visualizzazione dei dati e delle informazioni proprio perché è da lì che nascono molti problemi, che giocano sulla trascuratezza con la quale si visualizzano i dati. Faccio un esempio, che nel libro è riportato: non concentrandosi sul livello di partenza di un grafico a colonne, ad esempio, sul punto da cui parte l’asse, questo può produrre gigantesche distorsioni perché vediamo una colonna molto più alta di un’altra semplicemente perché è tagliata alla base e la base non parte da zero.

Questo è un esempio, se vogliamo, molto semplice ma tutt’altro che inesistente sui media, nella comunicazione di politici, di aziende; è una modalità sicuramente distorsiva di rappresentazione dei dati che sfrutta il nostro non concentrarci sulla legenda e sull’asse che viene rappresentato.

Le mappe sono un altro formidabile meccanismo di visualizzazione delle informazioni dei dati ma anche anch’esse sono soggette a molte fonti di distorsione. Nel libro cito come la fotografia della ricchezza all’interno di una città possa apparirci radicalmente diversa a parità di dati a seconda della scelta delle categorie di reddito che vengono colorate magari con una certa scala di colore in modo crescente. Nel libro porto l’esempio di Milano, mappe alla mano, evidenziando quanto può emergere o meno la disuguaglianza del reddito, la distribuzione del reddito, tra centro e periferia, a seconda della scelta che noi attuiamo su quali classi di reddito associare a quali colori nella mappa dei quartieri di una città. Questa è un’altra fonte di rischio, se vogliamo, più insidiosa ancora, un’altra modalità nascosta su cui magari non ci interroghiamo, che non notiamo perché pensiamo che il grafico necessiti solo di un’occhiata molto rapida per essere compreso e invece così non è. Dobbiamo abituarci, in quanto lettori, in quanto cittadini ma anche in quanto operatori dell’informazione, a gestire la potenza dei dati e della loro rappresentazione, quindi dei grafici e delle mappe, e dobbiamo abituarci a considerarli come oggetti che necessitano di una decodifica da parte di chi li vede, di chi è esposto a un grafico a colonne, a una mappa, a una torta, a quello che vogliamo.

Ho citato due tra i moltissimi esempi del libro e rimando ad altri testi che sono specificamente concentrati sul discorso delle visualizzazioni fuorvianti di dati per dire che ci sono sicuramente molte modalità attraverso cui chi costruisce un grafico può sfruttare delle distorsioni cognitive-percettive che tutti noi, in quanto esseri umani, abbiamo. Ad esempio, un’altra, molto studiata, molto nota, è la tendenza che noi lettori abbiamo, quando vediamo un grafico, a individuare dei pattern – così vengono chiamati nella letteratura internazionale – cioè degli schemi, anche quando questi schemi visivamente sembrerebbero esserci ma poi a un’analisi un po’ più attenta vengono meno; abbiamo spesso la tendenza a vedere tendenze, nei grafici, che ad un’analisi più approfondita poi svaniscono o scopriamo essere un’illusione ottica data da una variabile che non viene esplicitata, la cosiddetta variabile nascosta. Anche di questo parlo nel libro. Insomma, credo che sia un mondo molto affascinante perché ci permette di capire quanti passaggi noi diamo per scontati nel momento in cui leggiamo un dato o guardiamo un grafico portando in questo modo a livello molto elevato il rischio di esserne fuorviati o esserne manipolati. Questa è una criticità che, per esempio, se guardiamo alla storia dell’ultimo anno e più, abbiamo visto drammaticamente nella pandemia, con manipolazioni della rappresentazione dei dati sui vaccini, per esempio, e anche di questo parlo molto nel libro. Insomma, abbiamo avuto negli ultimi anni e stiamo avendo, se vogliamo, in questi giorni, anche in riferimento alla situazione in Ucraina, testimonianza di due cose: da un lato, di quanto sia importante leggere l’opinione pubblica, avere strumenti di lettura indipendente e trasparente che con tutti i loro limiti ci restituiscono il clima di opinione di un Paese perché dalle credenze, dalle percezioni, delle popolazioni poi nascono gli atteggiamenti, dagli atteggiamenti nascono gli orientamenti, dagli orientamenti nascono le scelte.

Da un lato, quindi, l’assoluta importanza di modelli di lettura dell’opinione pubblica, dall’altro la necessità di una attenzione alla modalità attraverso cui i dati vengono rappresentati visivamente, graficamente. Cosa che ovviamente confligge, per certi aspetti, con i tempi televisivi, con le esigenze di foliazione, di sintesi giornalistica dei giornali stampati, con la ormai minima soglia di attenzione che abbiamo sui social, nello scrollare una bacheca vedendo, magari per una frazione di secondo soltanto, un grafico che ci dice dell’evoluzione della pandemia o del cambiamento climatico o del costo delle materie prime, a seconda dei casi.

Come è possibile sviluppare capacità critica e consapevolezza nell’approccio ai dati che ci vengono presentati?
Questa, in un certo senso, è la chiave che tiene insieme tutto il libro, nel senso che è un libro pensato per fornire in modo accessibile, divulgativo, strumenti di lettura critica, consapevole, non solo a noi lettori-cittadini ma agli operatori dell’informazione perché gli operatori dell’informazione sono coloro che spesso mediano, nonostante viviamo in un ecosistema sempre più disintermediato, come dicono i sociologi, tra il dato grezzo e il pubblico. Proprio durante la pandemia si è visto in modo drammatico quanto sia necessario promuovere dei processi di alfabetizzazione dei dati, di alfabetizzazione all’informazione visiva, nelle redazioni perché con una maggiore consapevolezza nelle redazioni si può attivare anche una maggiore consapevolezza nei lettori. Nel libro cito diversi casi in cui sono state testate giornalistiche a proporre letture fuorvianti, manipolatorie, ambigue dei dati o per sposare una certa agenda, ad esempio strizzando l’occhio al mondo NoVax, per fare un esempio sulla pandemia, oppure, in altri casi, forse solo per errori, trascuratezza e disattenzione in buona fede.

È evidente che noi abbiamo bisogno di portare strumenti di lettura, metodi di analisi, che aprano gli occhi a chi tutti i giorni maneggia i dati per trasformarli in contenuto informativo. Ci sono esempi eccellenti, in Italia e fuori dall’Italia ,di realtà media, di approfondimento, che usano molto bene i dati, che li valorizzano, che li inseriscono in storie che danno loro il giusto significato consentendoci un enorme arricchimento della nostra conoscenza del mondo ma, al tempo stesso, ci sono ancora troppi esempi di media che a questo aspetto non prestano la dovuta attenzione e quindi questa capacità critica, questa consapevolezza nell’approccio ai dati e alla loro rappresentazione visuale, è qualcosa che deve nascere e crescere. Questo è, in piccolo, il contributo che il libro cerca di fornire, nei lettori e in chi informa, negli operatori dell’informazione, perché è impossibile, credo, attivare un percorso dal basso che non riguardi anche chi poi produce informazione e quindi i media.

Aggiungo, come ultima lettura, anche perché è il punto su cui il libro va a concludersi, che tra le cose più affascinanti che noi in quanto lettori ma anche noi in quanto operatori dell’informazione cerchiamo di evitare il più possibile c’è proprio il concetto di incertezza e dunque, nella previsione di ciò che accadrà, nella lettura della nostra vita, nell’interpretazione dei fenomeni sociali, politici, economici, siamo sempre in cerca di risposte dicotomiche, siamo sempre in cerca di sì o no: “la guerra ci sarà o la guerra non ci sarà”, “vincerà Putin o perderà Putin”, “il cambiamento climatico sarà devastante o non avrà conseguenze”. Spesso, abbiamo la tendenza a una lettura binaria della realtà; molto spesso, però, la nostra vita e tutti i fenomeni politici, sociali, economici non sono prevedibili con una logica binaria e dicotomica ma sono leggibili attraverso una scala di probabilità. Ci sono eventi probabili, eventi meno probabili ma gli eventi meno probabili ogni tanto accadono, altrimenti non sarebbero poco probabili, sarebbero impossibili. Gli eventi probabili di solito succedono ma qualche volta non si verificano, ancora perché non sarebbero probabili. Allora dovremmo considerarli certi e di certo c’è molto poco nel nostro mondo. La chiave su cui poi il libro chiude è una chiave che prova a dire: abbiamo provato a capire quanto i dati siano importanti, quanto possano aiutarci a guidare le nostre decisioni, le nostre scelte, sia collettive, sia individuali. Eppure dobbiamo anche essere consapevoli di che cosa i dati non possono dirci, di che cosa non dobbiamo chiedergli, di cosa non dobbiamo aspettarci che ci dicano perché un livello di incertezza e di comprensione di lettura, se vogliamo probabilistica, del nostro futuro e degli scenari, dal cambiamento climatico ai risultati di un’elezione, a qualunque ambito in cui ci poniamo nell’ottica di voler prevedere il futuro, sia necessaria.

Il libro chiude con questa parte un po’ aperta che non dico metta in discussione tutto quello che è stato detto nel resto del volume ma cerca di dargli il giusto posto anche perché, tra le cose a cui dobbiamo prestare attenzione nel momento in cui, per esempio, leggiamo un sondaggio, c’è proprio il fatto che il sondaggio ha dei margini di incertezza di cui dobbiamo essere consapevoli e che spesso non vengono raccontati come dovrebbero esser raccontati quando vengono presentati i sondaggi ma sono un buon esempio dello spirito più critico che tutti noi dovremmo avere nel momento in cui incontriamo i dati su un giornale, in una trasmissione televisiva, su un social media. I dati sono potenti, sono una forza che guida spesso le decisioni e deve essere altrettanto potente la nostra attenzione e la nostra cautela nel leggerli, nell’interpretarli e nel capirli, nel condividerli perché da qui passa un pezzo, io credo tutt’altro che irrilevante, della nostra consapevolezza di cittadini e di lettori e anche della qualità del dibattito pubblico che è un dibattito pubblico sempre più guidato dai dati e allora è davvero importante che quei dati siano presentati, raccolti, letti con la massima consapevolezza possibile.

Lorenzo Pregliasco è co-fondatore e direttore di YouTrend. Analista politico, esperto di opinione pubblica e comunicazione, insegna all’Università di Bologna e alla Scuola Holden. Ha scritto su “L’Espresso”, “il Sole 24 Ore”, “Politico Europe” e sue analisi appaiono regolarmente su Sky TG24, La7, Rai e su testate internazionali come Reuters, «Wall Street Journal» e Bloomberg.

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