
Qual è lo stato di salute delle banche italiane?
Sul secondo fronte, quello della solidità, la mia risposta è più ottimista: nel complesso, il sistema bancario italiano è ancora solido, anche se ci sono alcuni punti critici da affrontare. I fattori di debolezza sono noti: la mole dei prestiti a soggetti insolventi accumulata in passato e non ancora smaltita; l’elevata quantità di titoli di Stato italiani in portafoglio; la bassa capacità di generare profitti. A fronte di ciò, vi sono almeno due punti di forza: un buon livello di capitale azionario e l’abbondante disponibilità di finanziamenti liquidi (anche grazie al supporto della banca centrale). Questi fattori positivi consentono di dire che una crisi del sistema bancario nel suo complesso sia poco probabile (per quanto possano valere le previsione degli economisti!). Se possiamo ancora contare sulla solidità del sistema nel suo insieme, ciò non toglie che alcuni casi di crisi possano emergere, come conseguenza di una cattiva gestione. Alcuni casi sono già emersi e sono ben noti: si tratta di banche i cui dirigenti si sono resi responsabili di gravi irregolarità. Altri casi potrebbero verificarsi in futuro, e questo è ovviamente l’aspetto più delicato della questione. È vero che si tratterà di casi isolati, ma è anche vero che al momento non possiamo sapere quale sarà la prossima “mela marcia” che emergerà agli onori delle cronache: potrebbe essere la mia banca oppure quella del vicino, e questo fa una bella differenza.
Cosa stabiliscono le norme in materia di tutela del risparmio?
Le regole a tutela della trasparenza non mancano. Anzi, gli emittenti di strumenti di investimento e gli intermediari finanziari che li distribuiscono sono soggetti ad un bel numero di norme, che generalmente hanno origine a livello europeo e poi vengono recepite e applicate nell’ordinamento nazionale. Tuttavia, questo insieme di regole sembra poco efficace. Perché? Una possibile spiegazione sta nell’approccio formalistico alla protezione del risparmiatore. Le regole sembrano fatte per proteggere in primo luogo gli emittenti e gli intermediari dal rischio legale, mentre la tutela sostanziale dell’investitore viene in secondo piano. I criteri, assai dettagliati, con cui devono essere redatti i documenti da consegnare alla clientela sembrano maggiormente finalizzati a scongiurare il pericolo che un cliente possa fare un ricorso legale, piuttosto che alla finalità di fornire in modo chiaro al cliente quelle poche informazioni che gli servono veramente. E così, una banca può sempre dire di avere rispettato tutte le regole, e di avere tenuto un comportamento formalmente ineccepibile, anche se in realtà non ha agito al meglio per informare i suoi clienti. Il caso più evidente di un approccio formale alla trasparenza è costituito dai prospetti informativi che accompagnano l’emissione delle obbligazioni e dei fondi comuni di investimento. Spesso questi documenti raggiungono una dimensione di centinaia di pagine. Sono documenti così completi da essere illeggibili e totalmente inutili per un investitore che voglia confrontare diversi prodotti di investimento. La trasparenza è aumentata, limitatamente ai fondi comuni, da quando il prospetto informativo deve essere accompagnato dal Key Information Document (KID). Tuttavia, anche la lettura del KID non è priva di qualche difficoltà, legata ad aspetti tecnici. Ma il limite principale è che il KID è disponibile solo per i prodotti di risparmio gestito, come i fondi comuni di investimento. Per le obbligazioni, invece, ci si deve accontentare del prospetto informativo e del prospetto semplificato. Se passiamo dai prodotti di investimento (fondi comuni, obbligazioni) ai servizi bancari (conti correnti, mutui e credito al consumo), ritroviamo gli stessi problemi. Le regole impartite dalla Banca d’Italia hanno prodotto il Documento di sintesi e l’Estratto conto: sono documenti lunghi e infarciti di termini tecnici e legali, dove spesso le informazioni essenziali sono annegate in un mare di dettagli di secondaria importanza. L’approccio formale alla tutela dell’investitore emerge con chiarezza se pensiamo alla compilazione del “Profilo di rischio” (MIFID): l’impressione che tutti abbiamo, quando abbiamo finito di compilare il questionario, è quella di avere adempiuto a una inutile formalità.
Quali sono le autorità di controllo del mercato finanziario?
La Banca d’Italia si occupa della stabilità di banche, SGR (Società di gestione del risparmio) e SIM (Società di intermediazione mobiliare). La Consob deve invece tutelare la trasparenza e la correttezza dei servizi finanziari, da chiunque vengano offerti. Questo quadro risponde a un principio comunemente accettato: la vigilanza per finalità, secondo il quale ogni autorità deve perseguire una finalità specifica, e nel fare ciò deve fare i controlli necessari su tutti gli intermediari finanziari. Fin qui tutto bene. Ma se guardiamo il quadro più da vicino, ci accorgiamo che esso è reso più complesso dalla distinzione tra prodotti di investimento (azioni, obbligazioni, fondi comuni) e servizi bancari (conti correnti, mutui, credito al consumo, servizi di pagamento) sulla cui trasparenza vigilano due diverse autorità: rispettivamente, la Consob e la Banca d’Italia. Ma c’è di più. Se facciamo uno zoom sui prodotti di investimento, vediamo che la documentazione che accompagna i fondi comuni deve essere approvata da entrambe le autorità. Un fondo comune ha un regolamento, che ne definisce le caratteristiche. Una volta che il regolamento del fondo è stato approvato dalla Banca d’Italia, esso può essere allegato al prospetto informativo, che insieme al KID deve accompagnare il collocamento del fondo presso il pubblico degli investitori. Prospetto e KID devono essere approvati dalla Consob. In questo quadro, non è facile per il cittadino sapere con chi prendersela se i prodotti finanziari in cui colloca i suoi risparmi gli riservano brutte sorprese e se ciò è dovuto ad una carenza dei controlli. Almeno l’ultimo aspetto menzionato dovrebbe essere semplificato, attribuendo alla Consob la responsabilità di approvare tutta la documentazione relativa ai fondi comuni: regolamento, prospetto e KID.
Come si può valutare il rischio finanziario?
Il primo e basilare principio di investimento è quello della diversificazione: non mettere tutte le uova nello stesso paniere, cioè frazionare i propri investimenti su diversi strumenti di investimento. Se possiamo puntare sul fatto che l’eventuale calo di prezzo di un titolo sia – almeno in parte – compensato dall’apprezzamento di un altro, abbiamo trovato il modo per rendere più stabile il valore complessivo dei nostri investimenti. Un secondo aspetto a cui prestare attenzione è la distinzione tra titoli che sono apparentemente uguali tra di loro, ma in realtà sono ben diversi. La confusione tra le obbligazioni subordinate e quelle ordinarie, oppure tra le azioni di società quotate in borsa e quelle di imprese non quotate, ha giocato brutti scherzi a coloro che hanno investito in titoli bancari e che si sono poi trovati in mezzo ai noti casi di crisi esplosi negli ultimi anni in Italia. Bisogna anche sapere distinguere tra una banca e l’altra: vi sono alcuni indicatori, in primo luogo il rapporto tra patrimonio e totale attivo, che possono tornare utili per capire se una banca sia più solida di un’altra. Infine, bisogna stare in guardia da chi ci magnifica un prodotto finanziario sulla base dei suoi rendimenti passati: questi possono trarre in inganno quando vengono usati per prevedere i rendimenti futuri.