
Ad ogni modo, per quanto elemento centrale della storia, il rapporto tra Nando e Sandro è anche un pretesto per riflettere sul modo di agire, ma soprattutto di volere, del figlio e di quello del padre. Rischiare per avere tutto – o meglio, per restare sul gioco d’azzardo – rilanciare per avere tutto, o accontentarsi? A cominciare dalla loro Rimini, splendidamente ritratta, sospesa tra i festosi anni ’90 e i sei mesi finali del 2018, per tutto il romanzo, l’autore approfondisce il rapporto tra la dimensione del ricordo familiare e quella solitaria, quasi ingombrante, del presente e dell’età adulta.
Trama
Un padre imbarazzato che chiama il figlio. Al telefono indugia. Non osa chiedergli se ricorda del suo compleanno. L’altro che capisce e lo rassicura: lui quel giorno ci sarà, tornerà a Rimini. Questo è l’incipit di Avere tutto, questo è il modo con cui Missiroli caratterizza il rapporto tra Nando, un ex-ferroviere in pensione, ma più di tutto un appassionato ballerino, e Sandro, un giovane pubblicitario di successo, con l’amore per il Poker e il gioco d’azzardo. Il romanzo è composto da tre capitoli: ciascuno di essi mostra una certa evoluzione del ruolo di padre e di figlio, il cambiamento dei rapporti di forza.
La vita di Sandro è a Milano e Rimini ormai non sembra più avere spazio nel suo futuro. A prima vista, l’invito di Nando sembra essere cosa di giorni, una fugace visita al padre, ma lì qualcosa lo trattiene. Se all’inizio è solo il piacere di trascorrere un po’ di tempo con lui e di ricordare le avventure di famiglia, con lo scorrere delle pagine, scopriamo che Nando non è solo un uomo indebolito dall’età, ma dalla malattia. È così che, nei loro ultimi mesi insieme, i personaggi si trasformano ed è proprio questo rovesciamento che costringe il figlio a un bilancio, tra il suo modo di intendere la vita, spregiudicato come nel gioco d’azzardo, e quello dei “prudenti”, di cui, invece, Nando è l’esempio. Tra i silenzi, le esclamazioni in dialetto riminese e il non-detto tra padre e figlio, Sandro ricerca un filo rosso che lo riporti a Nando, che dimostri in qualche modo una connessione tra i due, una sorta di paternità. Sono proprio le passioni dei due a echeggiare continuamente tra i ricordi, ad aver seminato quel legame, nascondendolo per anni. È questo continuo scavare nella memoria comune della famiglia e quella personale, a rivelare al protagonista qual è il filo rosso, a indicargli dov’è sempre stato.
Recensione
Come si è detto, Missiroli ha deciso di percorrere una strada nuova, rispetto ai lavori precedenti. L’aspetto autobiografico di Avere tutto è dichiarato sin dalla prima intervista, con trasparenza. Altrettanto dichiarato è l’intento dell’autore di volere essere “vero” quando racconta, di avvicinarsi cioè il più possibile alla radice delle proprie emozioni e di quelle che muovono la sua scrittura.
Al di là del rapporto tra padre e figlio, uno dei punti di maggiore forza del romanzo è quello di dipingere con estrema concretezza la realtà del riminese, degli ultimi trent’anni. Avere tutto assume in alcuni momenti i connotati di un’opera neorealista, per la precisione e la grande naturalezza con cui vengono definiti i luoghi e le persone che lì abitano e che, al contempo, sembrano essere presenti (sebbene sotto altre forme, in maniera universale) un po’ in tutte le città di mare – ricordando in senso lato un’Italia ancora non del tutto scomparsa. Al lettore non vengono mai “le vertigini”, quel senso di straniamento che a volte si prova quando viene rappresentata la contemporaneità – sia quando si tratta di social network che della movida degli anni ’90. Il protagonista traspone sulla città, e sul modo in cui è cambiata, quel chiaro senso di nostalgia che attraversa il romanzo. Il ricordo della madre e di quando il padre era in forze esprime il modo di dividere la propria vita in due: con la perdita della madre che definisce un prima e un dopo. Si tratta, però, di una nostalgia pura, slegata da qualsiasi esercizio retorico, o romantico. Si potrebbe dire una nostalgia consapevole, che non getta quindi giudizi sul presente o sul passato, ma che in maniera obiettiva mostra il cambiamento, racchiudendo due epoche diverse.
Questa operazione, questa sorta di calco da cui sembra provenire la rappresentazione di Rimini e dintorni, va a formare con altrettanto realismo la figura di Nando. Il padre, la sua mentalità, la sua figura, seppure ritratta dagli occhi del figlio, acquisisce sin dall’inizio umanità e materia, quasi che la penna di Missiroli lo plasmi, pagina dopo pagina. Al lettore sembra di conoscere sempre più affondo quest’uomo, in parallelo con Sandro, di studiarne i misteri, i sogni sfumati, le fissazioni e quell’irrequietezza che la malattia ancora non riesce a spegnere.
Ma il vero motore della narrazione non è il mistero, quanto la struttura. Missiroli è un maestro dell’intreccio, capace di non annoiare mai il lettore, pur raccontando l’ordinario. La forma frammentaria con cui costruisce il romanzo sembra volerci nella mente del protagonista, dove i ricordi non sono che pennellate brevi e decise – si potrebbe dire dense per usare un termine che tanto piace all’autore. Anche qui, il realismo è rispettato alla perfezione. Al posto di usare lunghi e dettagliati flashback, ogni piccolo ricordo si mischia alle incombenze della quotidianità, come fosse un pensiero, tra un impegno e un altro. In modo contrario, il presente spicca per la sua “materialità”, per la descrizione di ogni azione, mai fine a sé stessa. La cifra stilistica di Missiroli è concisa ed efficace, quella di uno scrittore più che maturo, a cui si perdona qualche eccesso di licenza poetica.
Tuttavia questo non è un libro perfetto e lascio con piacere ai posteri l’attribuzione di capolavoro. Anzi, sotto un profilo personale, devo dire che più di una volta mi ha fatto arrabbiare e non poco. In questa rappresentazione del “vero” per usare un’altra espressione cara a Missiroli, c’è qualcosa di artificioso che ogni tanto fa capolino dalle pagine e riguarda in particolar modo il protagonista. Il vizio del gioco è descritto con sapienza, alla stessa maniera del ballo per il padre, tuttavia alle volte sembra avere un dettaglio patinato, quasi da film, che spezza il tono generale della narrazione. Un esempio: il protagonista accenna di come ha iniziato a frequentare i tavoli da poker di Milano. “Rimini, il tizio nuovo da spennare. Poi: Rimini, quello che non dà mai problemi. Poi: Rimini, che l’altra sera ha ripulito due tavoli su due. Poi: Rimini, ha la faccia da sbarbato ma occhio”.
Soprattutto all’inizio del libro ci sono passi come questo che, non avendo ancora confidenza con il protagonista e con la sua sensibilità, sanno di sborone – passatemi il termine. E questo “gonfiare” il personaggio, sebbene in certi tratti possa sembrare ricercato, per presentare magari anche l’autoconsiderazione del protagonista, in molte altre sembra solo volere mostrare i muscoli, o peggio ammiccare al lettore, percorrendo una via più facile. “Ho cominciato a giocare grosso due anni dopo […] Vincere al debutto in un tavolo grosso traccia la linea: il trentasette percento degli inizi felici si radicherà nel gioco. […] I sintomi [del vizio sono…] Gli stessi dell’innamoramento”. Ecco, la cosa che fa arrabbiare è che questi sono piccoli frammenti aridi in un libro emotivo e coinvolgente, del tutto irrilevanti ai fini della caratterizzazione del protagonista o della trama. Inoltre, si presentano sempre e solo nella fattispecie del gioco e nel modo di rappresentarsi del protagonista, mentre sono del tutto assenti nella figura di Nando, o della madre, o di tutti gli altri personaggi e comparse.
Per il resto, lasciando da parte il fatto che qualche volta i paragrafi sembrino chiudersi con una frase a effetto (un effetto troppo ricercato per passare inosservato, quasi ammiccante), Avere tutto è un ottimo romanzo. Nonostante la scrittura si presenti “densa”, la brevità dei paragrafi e la maestria dell’intreccio la rendono scorrevole e godibile, anche a un lettore sporadico. La componente emotiva è forte e limpida ed è questo che genera un po’ di fastidio: serviva proprio che Sandro fosse così “figo”?
Pierferdinando Buttaro