
In questo monologo, che è un interrogarsi sul male, Camilleri presenta Caino, «il primo assassino della storia umana». Vero è che ormai, agli assassini ci abbiamo fatto, «come si usa dire, il callo». Il suo vero errore in realtà è stato quello di non essersi mai difeso, di non avere mai esposto le sue ragioni. «Ma ora basta! Questa sera ho deciso di pronunciare la mia autodifesa» afferma il fratricida.
E così Camilleri ripercorre le storie narrate nella Genesi: Dio che «nei ritagli di tempo» si occupa del suo «giardino privato, il giardino dell’Eden»; poi, sopraffatto dal suo «lato borghese», si rende conto della mancanza delle statuine dei nanetti, «che sono sempre presenti in ogni giardino borghese» e provvede a sagomarli con della creta e dargli vita alitandogli sulla faccia. Ne crea dodici, che una volta vivi si precipitano fuori finendo sulla Terra, tranne uno, a cui dà nome Adamo, che fa rinchiudere nel giardino.
Dio crea poi la prima donna, che non fu Eva, ma Lilith, modellandola con della creta. Lilith però litiga con Adamo e se ne va sulla Terra. E allora Dio leva una costola ad Adamo e gli modella una nuova compagna, Eva, appunto.
Caino nasce dall’unione di Eva con Alialel, il diavolo che la tenta con il frutto proibito, a differenza di Abele che viene concepito con l’Arcangelo Stefano, all’insaputa di Adamo che li ritiene entrambi suoi figli. Il loro rapporto cresce nell’inimicizia. Per evitare le frequenti liti, Adamo decide che Caino diventi un agricoltore «padrone di tutta la terra del mondo», mentre Abele un pastore e possieda «tutti gli animali della terra».
È l’occasione di un sacrifico a Dio a scatenare il conflitto tra i due: Abele sceglie il più paffuto tra i suoi agnelli mentre Caino, memore di quando da bambino regalava fuscelli di canna a sua madre Eva, ne prende alcuni, ne fa un mazzetto e segue il fratello. Vedendo la povertà della sua offerta, Dio si rivolge con sdegno a Caino e lo umilia mentre Abele non fa nulla per consolare il fratello. Così facendo, Abele si macchia in realtà di una colpa, quella magnificamente descritta dal premio Nobel per la Pace Elie Wiesel: «Di fronte alla sofferenza, di fronte alla solitudine, nessuno ha il diritto di nascondersi, di non vedere. Di fronte all’ingiustizia, nessuno deve voltarsi dall’altra parte. Chi soffre ha la precedenza su tutto. La sua sofferenza gli dà un diritto di priorità su di voi. Quando qualcuno piange – e questo qualcuno non siete voi – ha dei diritti su di voi, anche se il suo dolore gli è inflitto dal vostro Dio comune.»
Finché arriva la classica goccia che fa traboccare il vaso. Una mandria di pecore di Abele invade lo stupendo orto del fratello, dove «cresceva la più appetitosa verdura della Terra», devastandolo e mangiandosi tutto il raccolto.
Vi è poi il racconto drammatico della lotta ferina tra i due e dell’uccisione di Abele, colpito con una grossa pietra in testa.
Dio, di fronte a questo atto estremo, si materializza davanti a Caino e lo guarda a lungo negli occhi. Il dialogo tra i due è di un’intensità drammatica senza pari:
«Signore, ho ucciso mio fratello Abele, ma se Tu sai tutto sai anche che prima lui era intenzionato a uccidermi».
«Però non l’ha fatto».
«E questo che mi viene a significare? Avere pensato di uccidermi non è la stessa cosa che avermi ucciso?»
«No, non è la stessa cosa. Lui ha operato una scelta. Voleva ucciderti, poi ha scelto di lasciarti in vita. Avresti potuto fare lo stesso, ma tu hai fatto un’altra scelta. Questo finché vivrà il mondo sarà l’impegno dell’uomo: fare le giuste scelte».
È questa la sostanza del messaggio di Caino: «che non esiste la predestinazione e che Dio ha ragione, possiamo scegliere.»
Caino continua a vivere in mezzo a noi: «Forse perché ormai sono diventato solo un simbolo. Un simbolo necessario, perché senza il male il bene non esisterebbe.»