
Quali ragioni spinsero i rivoluzionari francesi all’emissione di assignats?
Il decreto di aprile è l’atto di nascita dell’assegnato moneta, anche se non ne costituisce il momento più importante, quello cioè a partire dal quale, tutta la politica fiscale sarà precipitata per anni sul tapis roulant dell’inflazione, essendo la cifra votata ancora troppo debole per incidere sulla circolazione. Per rimborsare il debito aumentato a causa delle liquidazioni del passato, per mobilitare le nuove ricchezze dello Stato, la Costituente aveva due alternative politiche possibili. In primo luogo imporre ai contribuenti l’obbligo fiscale, così odiato dai francesi, pagare con delle imposte aumentate ma meglio ripartite le spese accresciute, rimborsando così il capitale del debito con dei valori di portafoglio garantiti dai ben nazionali. Questo metodo, difeso dagli economisti dall’Assemblea, ma anche dai controrivoluzionari, comportava obbligatoriamente la restaurazione dell’ordine pubblico, e quindi del potere esecutivo. L’attitudine ambigua di Luigi XVI poteva trasformare tutto ciò in un’arma mortale per la rivoluzione. L’ottimismo della Costituente, come più tardi della Legislativa, preferirà adattarsi al sistema che aveva il doppio vantaggio “elettorale” di dispensare da nuove spese, permettendo di proseguire sulla strada della fiducia e della buona fede dei liberi contribuenti. Necker rispose il 27 agosto con una memoria nella quale constatava che i 330 milioni emessi perdevano già rispetto al numerario, e che un sovraccarico di emissione avrebbe causato la sparizione delle monete metalliche e delle difficoltà più grandi per lo Stato e per l’approvvigionamento dei mercati. Egli si attiró così il celebre discorso di Mirabeau. Altre volte nemico della cartamoneta, ma desideroso di affrettare la caduta di Necker per rimpiazzarlo, egli non esitò a cambiare tesi. Il suo discorso, redatto da Reyboz, si riduceva a due idee. Primo la cartamoneta rianimerà gli affari, secondo legherà tutti alla rivoluzione: «Nous avons un pressant besoin de moyens qui favorisent les affaires: les assignats-monnaie, en même temps qu’ils payent la dette, nous fournissent ces moyens d’émulation, d’activité, de restauration. Jetez dans la société ce germe de vie qui lui manque et vous verrez à quel degré de prospérité et de splendeur vous pourrez dans peu vous élever. » Il 3 settembre Necker diede le dimissioni. Gli stessi avversari diventeranno proprietari e cittadini con e per la rivoluzione. L’affare venne quindi aggiudicato. Al che gli avversari degli assegnati risposero che, a causa dell’incertezza basata sui loro possibili cambi di valore, essi sarebbero stati causa di aggio, di corruzione, di instabilità e di rialzo dei prezzi. L’esito degli eventi avrebbe dato alle loro affermazioni un valore profetico. Con la Costituente, quindi, furono decretate quattro emissioni. Al 1° agosto 1791 erano in circolazione 1100 milioni di assegnati e solamente 346 disponibili nelle casse dello Stato. A questa data, dunque, l’assegnato è in tutte le mani e dappertutto. La somma emessa corrispondeva pressappoco alla metà del capitale in numerario del Paese. L’Assemblea Legislativa continuerà la politica della Costituente. Ancora più dominata da preoccupazioni politiche, essa si rifiutò di cercare nell’obbligo fiscale le risorse ordinarie. Si rifiutò di stabilire un legame tra le emissioni ripetute ed il deprezzamento. Anzi, affermò fino alla fine che questo era la conseguenza dei maneggi controrivoluzionari. E così le emissioni divennero sempre più ampie e frequenti. A questa data, il valore dei beni nazionali della prima vendita è superato: l’emissione superava dunque il pegno. Altre emissioni diventavano dunque fatali. La politica delle Assemblee è stata indiscutibilmente inflazionistica anche prima che cominciasse la guerra. La cifra della circolazione superava dunque sia il capitale numerario sia il valore dei beni messi in vendita. Quando si studia il deprezzamento dell’assegnato, bisogna sempre tenere presente che esso fu più forte nei dipartimenti di frontiera che a Parigi e in provincia, così variabile da un dipartimento ad un altro, che bisognerebbe redigere altrettanti grafici. D’altronde le loro cifre non hanno che il debole valore delle medie. Se non li si vuole conservare per pagare un bene nazionale, se si è obbligati ad utilizzarli come moneta, la loro grossezza costringe a cambiarli con il numerario. Questo però tende a mancare, perché è stato trasferito all’estero, esportato dagli emigrés, o perché viene utilizzato per il pagamento di interessi di prestiti contratti durante la guerra di indipendenza americana in Olanda, Svizzera, Germania. Ogni operazione di cambio suppone una commissione. Infine, l’assegnato non è che una promessa di pagamento in valore reale. Moneta nuova e rimborsabile in futuro, a cui si accorda più valore della moneta antica e internazionale, vale a dire del numerario già raro. Ecco dunque che pare normale, senza fare intervenire la pressione dei sentimenti controrivoluzionari, la sfiducia nei riguardi della Rivoluzione. L’agosto 1790 è il momento in cui entrano in circolazione assegnati di 300 e 200 lire, sarebbe a dire che essi escono dal mondo degli affari. Fino alla primavera del 1791, la svalutazione dell’assegnato si era prodotta in due stadi e con stabilità. A partire dal maggio 1791, questa sarà continua ma a scalare, con degli sbalzi di volta in volta più marcati. L’andatura del grafico prova che il valore dell’assegnato è diventato sempre più speculativo. Si è voluta spiegare questa svalutazione con delle cause politiche: l’ostilità del clero, in conflitto con la Costituzione Civile che viene condannata dal Papa, l’atmosfera di sfiducia, la paura della crisi sottolineata dalla fuga del re, etc. Questi argomenti erano familiari ai Clubs ed alle Assemblee. Ancora oggi trovano presso alcuni storici un favore francamente sorprendente. Una moneta di cui aumenta la quantità senza corrispondente aumento del numerario o dei prodotti con cui la si cambia, è condannata a deprezzarsi nella misura stessa degli aumenti, e molto di più se questi, in previsione, si ripeteranno. Questa svalutazione è in qualche modo meccanica, indipendente dal valore del pegno. È questo che i Costituenti non compresero mai, o non vollero comprendere. Pertanto, ergendosi dal 1789 contro la credenza sulla beneficenza della cartamoneta, Dupont de Nemours aveva loro chiaramente indicato la fatalità di questo deprezzamento.
Quali vicende ne segnarono il corso?
Non si insiste a sufficienza, a mio avviso, sul fatto che in aprile del 1791 appaiono in circolazione le banconote da 100 e 50 lire, in giugno quelle da 50 e da 5 Soldi. Da quel momento l’assegnato si tende e si offre a tutte le mani, si tende e si offre a degli occhi che non sanno leggere. A partire da aprile dunque, contro l’assegnato, va a giocare pienamente questo fatto che i legislatori ottimisti non avevano voluto considerare, cioè la diffidenza del produttore, del contadino, contro la cartamoneta, diffidenza che un secolo di sana gestione della Banca di Francia non è riuscita ad attenuare. Un saggio di circolazione fiduciaria non aveva chance di riuscita se non tentato a piccole dosi e nell’ordine più completo. Si converrà che la Costituzione Civile del clero non è fatta per aiutare. In uno stato calmo, placido, di quiete, le due considerazioni qui indicate sono sufficienti a spiegare il discredito dell’assegnato. In uno Stato che si sente alla deriva con i disordini che sono una delle cause stesse del discredito prima di esserne le conseguenze, disordini che aumenteranno nell’inverno tra il 1791 e il ’92, il ritmo delle svalutazioni non poteva che crescere, soprattutto quando il capitale del pegno venne superato, ed un decreto annunciava una nuova politica di emissioni. Da questo momento, il punto di equilibrio dell’assegnato era stato attaccato, il suo valore cominciava cioè ad essere pressoché unicamente speculativo. È precisamente in questo anno, nel 1792, che bisogna fare più spazio alle cause politiche. L’assegnato è diventato un valore speculativo. L’accentuazione delle emissioni basta ad indirizzarlo nel senso del deprezzamento. Il suo valore è, malgrado tutto, legato a quello del pegno, quindi crollerà se una contro-rivoluzione avrà successo. A questa data i rivoluzionari ne hanno già fatto il simbolo della rivoluzione. Anzi si può sostenere che, molto probabilmente, a partire dall’estate del 1792, le variazioni del grafico sono il riflesso degli eventi politici. Tutto ciò che è sfavorevole si inscrive nel senso del ribasso, tutti gli avvenimenti favorevoli nel senso del rialzo. La Costituente e la Legislativa non hanno provato affatto a prendere delle misure contro il deprezzamento. La Legislativa si accontenterà poi di aumentare il pegno dell’assegnato alienando le foreste che lo Stato si dimostrava impotente a proteggere, decidendo la confisca dei beni degli emigrati, la messa in vendita dei palazzi episcopali, delle foreste ecclesiastiche e dei conventi. Sarà ingiusto rigettare ogni responsabilità sull’assegnato, poiché le cause prime sono anteriori alla sua emissione. L’insufficiente raccolto del 1788 aveva provocato una carestia che facilitò l’esplosione delle emozioni popolari di luglio ed ottobre 1789. I tumulti del luglio 1789, che continueranno sporadicamente e mal repressi in agosto e settembre, si accompagneranno agli attentati alla libertà del commercio delle granaglie. La responsabilità ricade ancora una volta sulla politica. E tutto ciò nel momento in cui, proprio in conseguenza delle insurrezioni di luglio, sanzionati il 4 agosto, i produttori rurali, liberati dalle servitù feudali e dall’obbligo fiscale, erano diventati padroni delle loro vendite, padroni dei loro prezzi. Senza fare intervenire l’assegnato, sin dal 1789, la sola libertà dei contadini e del commercio bastava ad orientare i prezzi al rialzo. L’assegnato ha solo portato questa tendenza al parossismo, comportando ad un ritmo rapidissimo conseguenze mortali per la pace pubblica. Sembra incontestabile che alla politica di emissioni continue, alla politica della cartamoneta, risalga la responsabilità dell’esito catastrofico preso, dalla primavera del 1791, dalle forme dell’attività economica.
In che modo i sette anni della travagliata esistenza dell’assegnato hanno sconvolto la Francia, al di là degli eventi politici e sociali che caratterizzano da allora la cultura occidentale?
C’era insufficienza di numerario. L’assegnato lo aveva fatto sparire in meno di due anni. La cattiva moneta scaccia la buona! È inutile attribuire sentimenti controrivoluzionari a quelli che preferiscono il numerario. Sarebbe come attribuire alla Nazione uno spirito reazionario che essa non ha nella maggioranza e che apparirà solo più tardi, e per colpa dell’assegnato. La comparsa degli assegnati nei primi mesi del 1790 aveva aumentato la domanda di numerario: i detentori di banconote di grosso taglio erano obbligati a cambiarle con il numerario di cui la domanda era cresciuta: era fatale che l’assegnato perdesse nel cambio. Perdita destinata ad aggravarsi, dall’agosto del 1790, per il timore di nuove emissioni e con l’apparizione di banconote di taglio inferiore. Il commerciante si rifiutava di rendere, senza commissione, la moneta metallica su un assegnato di 50 Lire; il popolo si irritava, si verificavano incidenti. I cambiatori, resi responsabili del deprezzamento, furono ingiuriati, molestati, derubati. Le loro pretese aumentarono come il prezzo della loro sicurezza, del loro rischio. Il popolo si rifiutava di subire perdite al cambio, e vedeva in ogni commerciante un aggiotatore. Si moltiplicarono così gli incidenti e gli attentati alla libertà del commercio. La sparizione dei soldi fu la causa del rialzo dei prezzi: nell’impossibilità di chiedere 12 per quello che costava 10, i commercianti chiedevano 15; i boulangers, i bouchers, gli aubergistes, quelli cioè che davano da mangiare, li rifiutavano. La comparsa di banconote di volta in volta più piccole, gli incidenti che accompagnavano i cambi o i pagamenti in carta, la loro quantità crescente, la domanda crescente di moneta, tutto ciò basta a spiegare il ritiro del numerario, la sua fuga all’estero, i rifiuti nel commercio e, infine, lo stabilirsi di questa dualità di prezzo che moltiplicava, con un coefficiente formidabile, la tendenza al rialzo. Tutto questo insieme di fatti non era necessariamente legato a motivi religiosi e/o politici. Era indipendente cioè dalla sfiducia nella Rivoluzione. Questa moneta che si deprezzava, che variava, era cattiva: non bisognava conservarla, ma spenderla. Cresceva dunque l’offerta di cartamoneta, e cresceva anche l’attività industriale o, meglio, manifatturiera nel 1791, ma si trattava di un’attività fittizia, artificiale. Questa attività artificiale dell’industria nel 1791 ha coinciso pertanto con una recrudescenza della miseria operaia che spiega, più di ogni altra cosa, il secondo eccesso rivoluzionario del 1792, conseguenza dell’esito preso dall’angosciante problema del sostentamento. Nuovo misfatto dell’assegnato: alla rapida scomparsa del numerario corrispondeva l’astensione dei produttori agricoli dai mercati cittadini, pur di non essere pagati in cartamoneta. Il loro rifiuto implicava un serio pericolo per la loro stessa vita. Una moneta che si svaluta spinge ad acquistare, ma incita i produttori ad attendere. La rarefazione delle quantità offerte causa un rincaro in numerario. Questa diminuzione dell’offerta, questo rialzo dei prezzi, faceva temere la fame, in un paese in cui il raccolto del 1792 era stato sostanzialmente buono. Aumentarono quindi anche le accuse di speculazione insieme agli attentati alla libera circolazione. Si giunse al punto di acquistare granaglie all’estero, provocando una nuova fuga del numerario, sola moneta accettata negli scambi internazionali. Per contro, c’erano dei paesi di frontiera che all’estero beneficiavano di un ribasso del prezzo in numerario, perché vi affluivano derrate francesi. La lettura dei rapporti di Roland è ricca di aneddoti sui saccheggi, gli incendi, le tassazioni, le contribuzioni riscosse dai privati, tutte cose rivelatrici di questa spinta terrorista che portava la popolazione affamata sulla strada della guerra civile, verso la dittatura della ghigliottina. Il «liberalismo politico» vi troverà la morte. E, parallelamente, si moltiplicavano le maledizioni contro la Rivoluzione, come per smentire quelli che vedevano nella diffusione dell’assegnato un mezzo per trovare nuovi partigiani. L’assegnato provocava la rovina delle Finanze Pubbliche. Necker l’aveva previsto con precisione, dall’ottobre del 1790, in termini che lo storico non ha bisogno di ritoccare: «C’est un bon temps pour l’Administration que celui où, à l’aide d’une somme illimitée de papier-monnaie. L’institution d’une monnaie fictive, permit aux législateurs de s’abandonner avec plus de confiance à leurs abstractions, et les besoins d’argent, ces grossiers embarras, ne vinrent point les détourner de leurs hautes pensées ». Anche la Costituente si mostrava sempre più indifferente allo sciopero del contribuente. Si accontentava di fare appello al suo civismo. Sarà sincera fino alla fine. Il contribuente del 1790 aveva delle scuse. L’annuncio di un nuovo sistema fiscale non era fatto per facilitare il rientro delle imposte condannate, tanto più che l’Assemblea lasciava maltrattare i vecchi agenti del fisco. Essa soppresse per ragioni politiche tutta una serie di riscossioni ben accertate, le imposte indirette, il monopolio dei tabacchi, le gabelle, lasciò devastare le foreste. Il nuovo modello impositivo era veramente più equo, ma estremamente complicato. Commercianti, industriali e grandi borghesi della Costituente avevano «fisiocraticamente» sovraccaricato i rurali. Una lunga messa a punto, in un’atmosfera tranquilla e con personale specializzato, sarebbe stata insomma necessaria. Lo Stato inflazionista non sapeva più contare. L’aumento delle spese era diventata una tattica. L’inflazione ha dunque permesso allo Stato di vivere senza imposte, ma lo ha incitato a spendere, a prosciugare le sue risorse ordinarie e, quindi, ad aumentare le difficoltà. Ciò impedì allo Stato di stabilire delle previsioni di budget. Il punto non era più di sapere se lo Stato aveva 774 milioni da spendere, ma la somma x di cui aveva bisogno per ottenere 774 milioni di numerario o di valori reali corrispondenti. Pertanto, al fine di «risparmiare» l’assegnato in vista della guerra, si limitarono i rimborsi del debito ai pagamenti inferiori alle 10.000 Lire. Era evidentemente necessario, ma sommamente ingiusto. L’esperienza del 1791 sembrava già molto significativa. Ma questa esperienza non riuscì a scalfire, nei deputati della Legislativa, un ottimismo che sconfinava nell’illuminismo o nella malafede. È, dunque, con una politica inflazionistica, con una cartamoneta già deprezzata del 40%, che la Rivoluzione andrà a cercare in guerra, ed a cuor leggero, la soluzione di una situazione che l’assegnato non aveva contribuito per poco a rendere inestricabile. L’Assemblea Costituente e la Legislativa erano riuscite, in un clima di pace quasi totale, se teniamo conto che era in corso una rivoluzione politica e sociale, a pagare le loro spese solo con la cartamoneta. La Francia invasa, quattordici armate da equipaggiare, i tumulti divenuti insurrezioni che si sarebbero sviluppati in tutto o in parte del territorio dei dipartimenti, tale era la situazione veramente disperata che la Convenzione riuscì a sbrogliare senza che lo Stato francese si dissolvesse. È il vero grande merito dei montagnardi: non aver perso il coraggio. La loro storia è una esemplare lezione di volontà. Sarebbe ridicolo rimproverare alla Convezione di non aver stabilito un sistema impositivo che le permettesse di fare a meno degli assegnati. La Convenzione, parafrasando l’abate Maury, è come il naufrago che getta i suoi abiti senza preoccuparsi dello sfinimento o della polmonite che lo minaccia una volta raggiunta la riva. Le emissioni non furono più così frequenti, ma molto più consistenti. Ora, ad una circolazione triplicata corrispondeva un deprezzamento cresciuto solamente della metà. Nessun legame sembra esservi tra di essi, mentre è possibile raffrontare gli avvenimenti della politica interna e di quella finanziaria. È quello che abbiamo già visto a proposito del 1792 e che sembra diventare più vero con l’aggravarsi della crisi. Le violente divisioni della Convenzione, manifestatesi intorno al processo del Re, che testimoniano un indebolimento della Rivoluzione nei confronti dei suoi nemici interni ed esterni, coincisero, da dicembre a gennaio, con un livello di caduta del 21%, il più rapido di tutto il grafico. Poi, e come se fosse insensibile tanto alla vittoria dell’anno II che alle emissioni ed alla attività senza tregua della ghigliottina, lo vediamo decrescere con una lentezza la cui regolarità ha qualcosa di meccanico, come di una febbre indifferente tanto ai rimedi quanto alle imprudenze. Succede, infatti, che tra la Convenzione e le Assemblee che l’avevano preceduta la pratica di governo era cambiata: l’appello al civismo si accompagna ora alle sanzioni. Essa tentò di difenderla, andò fino all’estremo delle conseguenze che comporta la logica di una politica inflazionistica. Essa difese l’assegnato provando a riestenderne la circolazione, a difendere e ad accrescere i pegni che le servivano come garanzia. Soprattutto, essa rinforzò direttamente il suo valore facendo degli attentati al suo credito un crimine punibile e perseguibile, e dando all’assegnato il carattere di unica moneta legale, stabilendo il suo potere d’acquisto attraverso l’istituzione di un controllo dei prezzi. La grande virtù degli assegnati consisteva nel fatto che essi offrivano, a chi li deteneva, la possibilità di cambiarli con dei valori reali, delle terre libere da ogni carico pendente. Il pegno dato non poteva impedire il loro deprezzamento, ma conferiva loro un valore. Svanito il pegno, l’assegnato non valeva niente. Si può ricollegare a questo stato d’animo la moderazione della Costituzione Montagnarda, in cui vi sono numerose dichiarazioni rassicuranti sulla proprietà e sull’obbligo di tutti di pagare le tasse, in un tempo in cui si parlava facilmente di prendere «l’argent où il est!» La Convenzione cercò di agire direttamente sul valore dell’assegnato con una serie di misure che presentavano il carattere comune di misure coercitive. L’assegnato era la moneta nazionale; ogni manovra che la deprezzava era un crimine contro la patria. Imporre con la forza una moneta è nella logica di un sistema terroristico. La concorrenza legale del numerario deprezzava l’assegnato, e così la dualità dei prezzi. La Convenzione, volendo difendere il valore nominale dell’assegnato, obbligava coercitivamente il valore reale a corrispondere al valore nominale. L’assegnato divenne dunque la sola moneta ufficiale. La moneta cosmopolita, la moneta dei tiranni, quella che la saggezza dell’Essere Supremo aveva nascosto nelle viscere della terra, continuava a ritenersi migliore. Le preferenze accordate dall’opinione pubblica al numerario, al metallo prezioso, irritavano i rivoluzionari. Il risultato fu la scomparsa definitiva del numerario. Questo si rintanava, si nascondeva. Se la fraseologia rivoluzionaria era piena di affermazioni disprezzanti o odiose nei confronti dell’oro, nella pratica era il contrario. È una vera caccia all’oro quella che inaugurano le ordinanze dei rappresentanti in missione. Di questa caccia all’oro, la decristianizzazione fu contemporaneamente un pretesto, una conseguenza e l’episodio saliente. I ricchi, che si consideravano esposti per questo, cambiavano l’oro con assegnati, al fine di ottenere un certificato di civismo, di evitare requisizioni, ispezioni, arresti, ammende, tasse, etc., di cui gli amici della libertà avevano l’abitudine, e non sempre a vantaggio del Tesoro pubblico, di ricoprirli. Alla Convenzione si affermò, senza alcuna ironia, che l’assegnato era preferito all’oro. La politica economica della Convenzione era tesa a rinforzare il valore dell’assegnato, perché voleva istituire un controllo statale dei prezzi. La legge faceva dunque corrispondere al valore nominale il valore reale delle merci. Per gli affari della finanza pubblica, come per gli altri, la Convenzione credeva nell’onnipotenza della legge. Essa fu, senza mezze misure, nazionalista, statalista e dispotica. Ma la politica della Convenzione fu efficace? Forse temporaneamente. Il persistente e continuo deprezzamento che l’assegnato subì e che niente arrestò, né la recrudescenza del terrorismo, né le nuove vittorie, basta a spiegare il contrario. Si paga il prezzo in assegnati, ma lo si calcola in moneta. I contadini preferivano dare frutta e legumi al bestiame piuttosto che ai soldati in cambio di assegnati. Questo perché la forza, senza il quale niente si crea, non è che un parossismo, un momento, l’introduzione di un sistema, e non basta da sola a sostenerlo durevolmente, se l’idea della cosa imposta non si insinua nella maggior parte delle menti. Ma servono tempo e servizi riconosciuti. Temporaneamente, ed attraverso il terrore, la Convenzione ha potuto risollevare l’assegnato nella sola misura in cui le è stato possibile. Essa ha potuto, con la forza, per mezzo del timore della ghigliottina, obbligare a cambiare al valore nominale numerario con assegnati. Ma non poteva, sempre con l’aiuto della ghigliottina, fare in modo che la fiducia sostenesse una carta che aumentava senza sosta senza il corrispondente aumento del numerario e, soprattutto, dei beni di consumo. Essere obbligati a ghigliottinare per far preferire una carta al metallo prezioso significa rinforzare l’amore per il metallo, dare cioè a questo un valore incalcolabile. Difatti, l’estensione del pegno necessario all’assegnato avviene tramite confische ed attentati inenarrabili contro la sicurezza delle persone e dei beni. Le vendette private si moltiplicano, così come la cupidigia. La confisca, da mezzo, diviene un fine. L’assegnato restava dunque la sola risorsa, ma aggravava le difficoltà. Il freno al suo deprezzamento non sarebbe stato possibile che con il freno all’inflazione e la messa in sicurezza dei beni. Il Terrore esclude la fiducia. La vittoria nell’anno II degli eserciti repubblicani, la loro entrata nel Palatinato ed in Belgio diedero qualche sollievo al Tesoro. Questi due paesi in effetti furono sottoposti ad un saccheggio sistematico. La filantropia ed il progetto di liberare tutti i popoli d’Europa vennero dimenticati. Al momento si trattava di far man bassa non soltanto degli approvvigionamenti che si potevano trovare nel paese conquistato, ma su tutto ciò che possedeva un qualsiasi valore. I successi militari non avevano comunque impedito il Terrore ed il deprezzamento dell’assegnato, ma avevano salvato la moneta rivoluzionaria da un disastro immediato, apportando nuove risorse. Il Comitato di Salute Pubblica non si faceva illusioni. L’abbandono delle pratiche del Terrore, però, faceva dell’assegnato, più che in passato, la sola risorsa dello Stato. Le emissioni si susseguono senza freni, la fabbricazione è praticamente ininterrotta. Il Direttorio impiegherà solo quattro mesi a raddoppiare la circolazione. Quando i cliché degli assegnati saranno distrutti, il 30 pluvioso anno IV, erano stati emessi, senza contare i falsi assegnati, 45.581.411.68. Nel 1793, il deprezzamento non corrispondeva all’aumento della circolazione. Ora, invece, ma questa volta in senso inverso, questo diverrà così precipitoso, cosi incredibile che, per evitare il calcolo dei decimali, bisogna calcolare il deprezzamento con il numero di assegnati che si ottengono con il Luigi d’oro di 24 Lire. Mentre, il 9 termidoro, il Luigi valeva 70 Lire in assegnati a Parigi, cifra che corrisponde alla svalutazione del Franco Francese nel 1921. Il deprezzamento era in quel momento del 95%. Il suo deprezzamento era allora quello che ha conosciuto il Marco tedesco all’inizio del 1922, nel momento in cui gli stranieri lo cercavano, sperando in una risalita di cui approfittare. Il giorno dell’ultima seduta della Convenzione, il 4 brumaio, il Luigi valeva 2.000 assegnati. La sua svalutazione era il doppio di quella della Corona ungherese all’inizio del 1922 ed equivaleva ad un quinto di quella del Marco polacco alla stessa data ed a un decimo di quella della Corona austriaca. Quando il cliché fu distrutto, il Luigi valeva 7.000 Lire assegnati. Il flagello della svalutazione è aggravato dall’instabilità: di giorno in giorno, a seconda delle notizie che lanciavano gli speculatori al ribasso, i tesaurizzatori di assegnati. A seconda dei progetti miranti a modificare il suo potere liberatorio, gli sbalzi speculativi gli facevano compiere dei salti analoghi a quelli del Marco tedesco nell’estate del 1922. La svalutazione doveva essere talmente più forte che lo Stato non poteva vivere che con emissioni che accrescevano le difficoltà stesse cui provava a rimediare. L’assegnato era da quel momento una carta condannata, tanto che lo Stato non riuscirà a bloccare le emissioni.
Come va dunque letta l’esperienza monetaria della rivoluzione francese?
È venuto il momento di vedere ciò che questo «germe de vie», moltiplicato a profusione, ha apportato di stimolante, di prosperità per i consumatori, per i proprietari e per lo Stato. Alcuni storici non possono che assai difficilmente immaginare le cose dell’anno III e dell’anno IV della Repubblica. Si è fatalmente portati a trovare esagerate e drammatizzate le descrizioni dei contemporanei. L’epidemia inflattiva che la sconfitta e la Rivoluzione hanno procurato alla Germania, all’Austria, e soprattutto alla Russia negli anni Venti del XX secolo, gli hanno offerto punti di comparazione insieme preziosi e misericordiosi. La salita dei prezzi aveva finito per superare la svalutazione. I costi di produzione erano enormemente aumentati. La mano d’opera rurale, diminuita a causa della guerra, e forse ancora di più per l’attrazione delle città, con allocazioni in denaro o in natura per i patrioti, aveva aumentato le proprie pretese. Si videro dei mietitori esigere quanto avrebbe rappresentato la vendita se il produttore l’avesse fatta al prezzo della tassa. Le tavole pubblicate da Caron ci mostrano che, tra il 1790 ed il marzo-aprile 1795, i prezzi, mediamente, si sestuplicarono o, addirittura, si settuplicarono. Più che lo stesso rialzo dei prezzi, era l’instabilità ad essere catastrofica. Il valzer delle etichette che noi osservammo nella Germania del 1922 fu largamente praticato ed intrattenne certamente la folla nell’illusione che la causa di ogni male era nell’aggiotaggio e nella cupidigia dei commercianti. Si deve supporre che, ad eccezione dei produttori agricoli e del piccolo numero di quelli che detenevano gli assegnati in numero tale da pagare senza battere ciglio 600 Franchi una corsa in fiacre, la carestia e qualche volta la morte per inerzia era la sorte comune di tutti quelli le cui risorse erano fissate e della popolazione operaia. Quella di Parigi, più turbolenta, conobbe questa miseria ad un grado minore di quello delle piccole città di provincia, dove non c’era alcuna ragione di tipo politico per istituire delle distribuzioni pubbliche. È la fame che provoca i tumulti e le sommosse. Aumentava così ancora di più la diserzione dei produttori dai mercati, che non volevano essere pagati in assegnati, né ad un prezzo che li spogliasse. Questa tendenza era rinforzata dalle notizie sulla demonetizzazione che propagavano quelli che acquistavano al ribasso gli assegnati, per poi scambiarli con i beni in vendita. Ripetiamo, l’assegnato non ha creato il carovita, ma per l’ostacolo che costituiva negli scambi, è responsabile della carestia e della fame. E pare superfluo cercare altre cause all’esplosione dei sentimenti controrivoluzionari, addirittura agli stessi rimpianti nei confronti dell’Ancien Régime, che i rapporti della polizia segnalano con continuità a partire dall’anno III. E pensare che l’assegnato doveva legare il popolo alla Rivoluzione. Se l’assegnato ha fatto digiunare allo stesso modo la maggioranza dei cittadini, ha permesso però a qualcuno di arricchirsi indecentemente. Quando la legge impone un valore nominale che non corrisponde affatto al valore reale, rende i contratti ingiusti e fraudolenti, è uno strumento di corruzione, fa della malafede un obbligo. Il mezzadro che aveva ricevuto entrando nel fondo 100 bestie “a corna” del prezzo di 240 Franchi, per un totale cioè di 24.000 Franchi, lasciava partendo 20 bestie stimate a questo valore, vendeva le altre 80 a 1.200 Franchi per una e, con il suo profitto di 96.000 Franchi, acquistava tre “case nazionali” che, nel 1790, valevano 150.000 Franchi. L’assegnato doveva dare ragione a Panurge, il quale sosteneva che era preferibile essere debitori e prestatori che creditori e risparmiatori Si videro dei mariti lasciare le proprie mogli rimborsando i loro apporti dotali in assegnati deprezzati del 95%. Si comprende così l’impossibilità delle transazioni e di ogni commercio, escluso il sommerso, e la follia dello spreco, del lusso, che si impossessava dei nuovi ricchi. La comparsa sulla scena politica delle idee proto-comuniste, di cui la cospirazione di Babeuf, la cosiddetta «Congiura degli Uguali», sarà la manifestazione più evidente, anche se non l’unica, a questo punto sembra alquanto normale. Conseguenza dello scandalo permanente che costituivano tutte queste proprietà acquisite rivoluzionariamente così come l’astensione dei produttori rurali. I pagamenti in assegnati, a causa della loro svalutazione e delle difficoltà crescenti a procurarsi il numerario, comportavano per lo Stato difficoltà finanziarie che andavano ad aumentare. Nel 1794 e nel 1795, furono tali che l’assegnato era diventato un ostacolo al funzionamento dei servizi pubblici. Nell’Armata d’Italia, i soldati con le scarpe facevano doppio servizio per rimpiazzare quelli che erano scalzi. Un giorno, Kellermann e gli ufficiali del suo Stato-Maggiore dovettero impegnare i loro orologi per pagare le spese di un trasporto di viveri. Il funzionamento della giustizia non era meno compromesso a causa della nullità delle ammende. Il 1° termidoro anno III, un condannato alla galera gridava: «Vive la République qui m’assure du pain!» I funzionari restavano in soprannumero, ma, mal pagati, facevano male il loro lavoro, mentre gli operai necessari ai servizi pubblici erano introvabili. Analogamente, si è potuto osservare negli anni Venti del XX secolo le Corone austriache servire da etichetta alle bottiglie. È solamente l’impossibilità di utilizzare la cartamoneta che ha spinto il Direttorio a disfarsene. Lo Stato Rivoluzionario ha abbandonato la sua carta moneta, il suo germe di vita, il collante tra gli interessi privati e l’interesse generale della Nazione perché, malgrado le promesse prima e le minacce dopo, non poteva più servirsene. Non bisogna stupirsi della lentezza con cui si è riconosciuto il deprezzamento, in proporzione alla svalutazione. Durante tutta la Rivoluzione, le considerazioni politiche hanno sempre avuto la meglio sui consigli che i tecnici non mancarono di dare sin dall’inizio. Ora, si era fatto dell’assegnato il simbolo stesso della Rivoluzione. E non senza motivo. Così tutti i provvedimenti che costituivano la confessione ufficiale della sua debolezza non arrivarono che molto lentamente. Se è facile creare una cartamoneta, è terribilmente difficile sbarazzarsene. La deflazione ha i pericoli della convalescenza. L’inflazione porta lontano. I tentativi di ritirare la cartamoneta erano votati al fallimento, in quanto la Tesoreria era costretta, data la situazione, ad immettere in circolazione quantità sempre crescenti della stessa. Le titubanze della Convenzione, la sua impotenza a bloccare il deprezzamento o ad indurre al ritiro, mettevano lo Stato nell’impossibilità di assicurare i suoi servizi, se non confessando la bancarotta, abbandonando quindi la finzione dell’assegnato considerato al suo valore nominale. Prendere l’assegnato al suo valore nominale quando vale solo il 5%, significa dare per 3.750 Franchi, in valore reale, un bene valutato 1.000 Lire nel 1790. Si videro fino a cinquecento possibili acquirenti lanciarsi sullo stesso pezzo di terra. Spesso i beni furono portati via in un giorno: a volte i registri delle vendite vennero chiusi ancora prima della loro apertura ufficiale. I committenti non ci rimisero nulla. Quando non servivano i prestanome, quando non si facevano dei giri di favori, si iscrivevano per primi. Lo Stato spinse il disprezzo della sua carta fino a fissare in derrate i trattamenti salariali dei Direttori e dei membri del Corpo Legislativo, nel Titolo XI della Costituzione dell’anno III. Quando il Direttorio prese il potere, la svalutazione dell’assegnato era tale che i bisogni giornalieri dello Stato superavano le possibilità di fabbricazione. La cartamoneta fu abbandonata dalla Repubblica francese, come lo sarà dalla Germania del 1924, perché aveva smesso di essere utilizzabile. Amministrazioni deserte, incapaci a procurarsi il materiale necessario, città oscurate, strade abbandonate, polizia introvabile, servizio postale ad intermittenza. Non si finirebbe mai di raccontare. Gli aumenti salariali in assegnati erano naturalmente inutili. Il 30 pluvioso (19 febbraio 1796), cliché ed accessori di fabbricazione furono bruciati o distrutti in Place Vendôme, in presenza di un pubblico considerevole. Ramel, ministro delle finanze, fece una sorta di elogio funebre, che si può riassumere così: l’assegnato ci ha fatto diventare ciò che siamo, ed ancora non comprendiamo tutto quello che gli dobbiamo ma, adesso, rovina le finanze pubbliche. Il Direttorio non aveva come risorsa che qualche altro bene da vendere. E, a dispetto dell’esperienza esemplare degli assegnati, provò ancora un nuovo tentativo di circolazione fiduciaria. Si ha qualche difficoltà a comprendere come, dopo un’esperienza così significativa e, aggiungo, così tormentata, il Governo Direttoriale non trovò altro mezzo, per utilizzare gli ultimi beni nazionali, che l’emissione di una nuova “cartamoneta”. È ancora alla Politica e non all’Economica che bisogna chiederne il segreto ed il significato arcano. I Mandati Territoriali hanno impiegato sei mesi a percorrere la strada che l’assegnato ha percorso in più di cinque anni. Le stesse illusioni hanno presieduto la loro nascita, le stesse misure coercitive sono state tentate, e sin dall’inizio, per sostenere finanziariamente delle carte che nacquero già deboli. Il deprezzamento non fu che più rapido, intenso e profondo. Il Demanio dello Stato ancora meglio dilapidato. E tutto ciò si verificò, in proporzione, con le stesse esitazioni e gli stessi ritardi che portarono prima alla svalutazione, e poi alla demonetizzazione.
Vincenzo Foti è nato a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) nel 1973. Laureatosi in Scienze Politiche con una dissertazione dal titolo “L’età degli Imperi. Geopolitica e relazioni internazionali nell’epoca della globalizzazione”, è Dottore di ricerca in Storia e Comparazione delle Istituzioni Giuridiche e Politiche Europee e Mediterranee. È autore di numerosi articoli con i quali ha contribuito a diffondere la conoscenza dell’argomento «cartamoneta ed inflazione» in modo particolare al passaggio dall’Ancien Régime al Nuovo mondo, affascinante viaggio nelle dinamiche del potere che sottendono alla leva economica ed agli effetti redistributivi e, con ciò, politici. Tra le sue pubblicazioni: Assignats: il governo dell’economia nella dinamica rivoluzionaria francese (2008) in Arhiva Somesana, Cluj-Napoca (Romania), MEGA, vol. VII; È mai esistita l’Italia? (2009) in Limes Rivista Italiana di Geopolitica. Attualmente ricopre la carica di dirigente presso un Ente della Pubblica Amministrazione.