“Archeologia della Siria antica” a cura di Davide Nadali e Frances Pinnock

Prof. Davide Nadali, Lei ha curato con Frances Pinnock l’edizione del libro Archeologia della Siria antica pubblicato da Carocci: quali vicende hanno segnato la storia dell’esplorazione archeologica in Siria?
Archeologia della Siria antica, Davide Nadali, Frances PinnockEffettivamente, potrei rispondere che proprio le vicende della storia dell’esplorazione archeologica in Siria ci ha spinto a voler pubblicare questo libro: l’esplorazione archeologica della Siria nasce già alla fine dell’800, di fatto in concomitanza con le prime grandi spedizioni nel vicino Iraq, in Mesopotamia, che portarono alla scoperta della civiltà assira (con lo scavo delle capitali assire di Nimrud, Ninive e Dur Sharrukin), della città di Babilonia (a opera dell’archeologo tedesco Robert Koldewey) e della civiltà sumerica (con gli scavi francesi nella città di Girsu nella Mesopotamia meridionale). In seguito a questa fase che potremmo definire pionieristica, le ricerche archeologiche proseguirono con un certo incremento nel periodo tra i due conflitti mondiali con, ad esempio, ricerche sul campo a opera di missioni archeologiche francesi a Ugarit (sulla costa) e a Mari (sull’Eufrate), centri urbani di primaria importanza non solo per il tipo di scoperte che avvennero, ma per la qualità e la novità dei dati storici, archeologici ed epigrafici che consentirono la ricostruzione della storia della Siria e dei contatti con le regioni circostanti e con l’Occidente (a Ugarit è stato ritrovato il più antico alfabeto scritto in caratteri cuneiformi). Indubbiamente, il vero momento di cambiamento che ha dato avvio a una sempre più crescente presenza di missioni archeologiche nazionali e internazionali è la proclamazione dell’indipendenza della Repubblica Araba Siriana con l’istituzione di un vero e proprio programma di promozione dell’archeologia del Paese, attraverso i musei ad esempio di Damasco e Aleppo e l’apertura a collaborazioni internazionali. È sulla scia di questa spinta promossa dai funzionari della Direzione Generale delle Antichità e dei Musei di Siria che venne istituita da Paolo Matthiae la Missione Archeologica Italiana in Siria nel 1964 nel sito di Tell Mardikh, identificato poi con l’antica Ebla nel 1968. La fase sicuramente più matura e decisamente produttiva, sia per numero di missioni archeologiche attive nel Paese sia per gli eccellenti dati delle scoperte, copre il ventennio dal 1990 al 2010, prima dell’inizio della grave crisi politica scoppiata nel marzo 2011: in quest’ultima fase, che inoltre visto la creazione e promozione di progetti di valorizzazione e restauri di importanti siti con aperture di parchi archeologi al grande pubblico, la grande disponibilità delle autorità archeologiche siriane ha permesso lo sviluppo e l’applicazione di metodologie e analisi sui contesti e i materiali archeologici che, ad esempio, hanno portato alla creazione di solide cronologie delle fasi storiche e all’interpretazione e studio della cultura materiale non solo sul piano formale, ma più significativamente su quello tecnico, tecnologico della produzione. Inoltre, accanto alla continuità degli scavi di grandi e medi centri urbani, l’attenzione allo studio del paesaggio e dell’ecosistema, con sistematiche ricognizioni sul campo, ha permesso non solo di ampliare la conoscenza di aree e regioni prima inesplorate o poco indagate, ma di colmare i “vuoti” tra un sito e l’altro, ricostruendo frequentazioni e traiettorie dell’antico paesaggio ed ecosistema.

Quali popolazioni hanno lasciato tracce di sé in Siria?
È complicato e forse anche sbagliato parlare in termini di popolazioni, anche perché non è sempre facile e possibile farlo oltre alla possibile confusione e sovrapposizione tra etnie e lingue scritte e parlate. Tuttavia, la Siria ha visto il passaggio e la presenza di numerose popolazioni e proprio per questa ragione è stata e ancora oggi viene descritta come terra di mezzo e punto di passaggio e collegamento tra Est e Ovest e Nord e Sud, con il vantaggio dell’affaccio sul mar Mediterraneo che apre tutto il Levante al mondo egeo, alla Grecia e quindi all’Occidente. In ogni caso, a voler identificare popolazioni che hanno segnato la storia e importanti passaggi culturali della Siria, ricorderei certamente i Hurriti che già nel III millennio a.C. occupavano la regione della Jezirah settentrionale, dando vita a significative e originali espressioni artistiche, da un lato, e testimonianze epigrafiche nella lingua hurrita, dall’altro; gli Amorrei che, soprattutto a partire dal II millennio a.C., hanno determinato e contribuito a un profondo cambiamento, anche nella morfologia degli insediamenti e nella gestione del territorio; gli Aramei che, nel I millennio a.C., con un sistema di regni e città-stato nel nord della Siria hanno tenuto testa all’espansione dell’impero assiro, introducendo inoltre la diffusione dell’aramaico come lingua franca. Dietro questi esempi, vi sono molteplici casi, non sempre identificabili e classificabili con il nome di una popolazione, che hanno profondamente segnato momenti storici e culturali: di nuovo, a titolo di esempio, è per me facile parlare del caso dell’antica città di Ebla che nel III millennio a.C. sappiamo essere stata un’importante sede di un regno che aveva un vasto controllo politico ed economico dell’area nord-occidentale, come testimoniato dai testi rinvenuto nel grande archivio del Palazzo Reale. In questo caso, si parla di eblaiti e di lingua eblaita, ma si tratta di definizione di comodo che serve appunto a identificare le specificità di Ebla in un contesto che certo vedeva protagonisti altri centri urbani (alleati o avversari di Ebla stessa), altre popolazioni e gruppi di semi-nomadi e nomadi, nella regione della steppa siriana.

Quali esempi di architettura difensiva si rinvengono in Siria?
Il sistema difensivo più caratteristico dell’area levantina è forse il terrapieno, un anello (spesso con un perimetro di forma regolare circolare o quadrata) che protegge e racchiude l’insediamento. Si tratta di opere davvero imponenti: a Ebla, ad esempio, il terrapieno che disegna un perimetro ellittico raggiunge un’altezza di 22/25 m sul piano di campagna circostante e uno spessore alla base tra i 45 e 50 m. Questi massicci cumuli di terreno garantivano un’adeguata difesa della città, attraverso la costruzione di porte urbiche per l’accesso e la predisposizione di forti e fortezze lungo il perimetro per il constante controllo dell’esterno e dell’area circostante. Queste costruzioni sono ancora più caratterizzanti perché permettono, ancora oggi, di riconoscere sia sul terreno sia da foto aeree la morfologia di un antico centro urbano, con il tipico anello di difesa che delimita la antiche città: lo scavo dei sistemi di fortificazione e delle porte urbiche delle città ha permesso di acquisire notevoli risultati non solo sui sistemi di difesa in sé, ma anche sui progressivi sviluppi di ampliamento dei centri urbani con differenti scelte strategiche e impiego di materiali che riflettono non solo la cronologia delle fasi di costruzione, ma anche le peculiarità dei luoghi e dei materiali impiegati.

Come si sono evolute l’architettura palatina e domestica?
Palazzi e strutture domestiche sono i cardini per comprendere non solo l’evoluzione dell’architettura e la tessitura di un centro urbano, ma anche per analizzare gli aspetti e le implicazioni socio-economiche di una città. Sebbene diversi, anche semplicemente per estensione e complessità di organizzazione degli spazi, palazzi e case riflettono appunto il sistema politico ed economico di una città: è in tal senso interessante osservare come, ad esempio, i singoli settori del Palazzo Reale della Ebla del III millennio a.C. fossero denominati con il termine casa (“casa della lana”, ad esempio), ad indicare i singoli corpi di fabbrica dell’edificio e i compiti che dovevano assolvere nella gestione delle risorse e del personale impiegato. Le singole strutture domestiche avevano di fatto, in scale minore ovviamente, le stesse prerogative: essere da un lato dimore per la popolazione, ma ospitare dall’altro anche attività di lavorazione e trasformazione di materie prime con ambienti e spazi dedicati a vere e proprio aree di lavorazione e officine. La ricerca archeologica in Siria, diversamente ad esempio da quanto è avvenuto in Mesopotamia, ha dato ampio spazio non solo all’indagine dei complessi sistemi palaziali (basti pensare ai palazzi di Ebla, Mari, Qatna, Mozan e Ugarit – solo per citarne alcuni), ma anche allo studio dei settori di abitazioni private con l’identificazione di veri e propri settori o, potremmo dire, quartieri residenziali organizzati in blocchi di case attorno ad assi viari e spazi aperti (piazze). Mentre le case hanno, abbastanza frequentemente, una struttura planimetrica simile con uno spazio aperto centrale e l’organizzazione di ambienti tutt’attorno (ancora dibattuta è l’esistenza di un primo piano mentre è più verosimile che il tetto piatto fosse adibito a luogo di lavorazione o immagazzinamento temporaneo), le struttura palatine differiscono non solo nel tempo, ma da regione a regione: singolare, in tal senso, sono i palazzi del II millennio a.C. di Mari e Qatna, il cui impianto architettonico, seppur con riformulazioni e riadattamenti locali, risente molto del modello palatino mesopotamico; diversamente, il Palazzo Reale della Ebla del III millennio a.C. presenta una struttura molto particolare, con una costruzione di corpi di fabbrica agglutinanti che assolvono ciascuno a una specifica funzione e un’ampia corte aperta porticata che doveva svolgere da luogo per assemblee e ricevimento essendo provvista di un podio dove, verosimilmente, era collocato il trono ligneo del sovrano.

Cosa rivela lo studio dell’archeologia funeraria siriana antica?
L’archeologia funeraria della Siria, oltre alla scoperta di magnificenti contesti (come ad esempio le tombe reali di Qatna e Ebla), ha permesso di studiare e comprendere da un lato le modalità di trattamento e inumazione dei defunti e di analizzare più specificatamente i riti di deposizione culto dei defunti, dall’altro. Tra i riti sicuramente più interessanti si può enumerare il kispum, un banchetto rituale che era non solo organizzato al momento dell’interramento e della deposizione, ma era poi successivamente organizzato a cadenze regolari presso la tomba: questo aspetto sottolinea una cura particolare dedicata alla morte e alla preservazione della memoria dei defunti attraverso specifici riti che dovevano essere parte integrante della società e del sistema gestionale del potere: in tal senso, un testo dagli Achivi di Stato di Ebla ricorda come il sovrano e la regina compissero regolarmente un pellegrinaggio annuale al mausoleo degli antenati che sorgeva nella città di Nenash, verosimilmente poco lontano da Ebla, a nord. Il viaggio rituale presso il mausoleo degli antenati del re e della regina di Ebla anticipa nel III millennio a.C. una pratica che si consoliderà in seguito nel II millennio a.C. con il riconoscimento dello status di rapi’uma agli antenati regali divinizzati che assumevano quindi il ruolo di numi tutelari. Il complesso funerario del III millennio a.C. di Tell Banat è ugualmente molto significativo: si tratta di un tumulo funerario di numerosi corpi di per lo più adulti di sesso maschile che, proprio di recente, è stato interpretato come un memoriale di una battaglia che ha dato sepoltura ai caduti, di fatto trasformando il paesaggio circostante in un luogo carico di memoria, essendo il monumento ben visibile certo a coloro che vi abitavano vicino, ma anche a coloro che vivevano a una certa distanza nella valle del fiume Eufrate e nella steppa. Questi particolari contesti, assieme ad altri esempi di quella che viene definita l’archeologia della morte, mostrano che l’attenzione rivolta sia alla sepoltura, prima, sia alla venerazione dei defunti, in seguito, era una forte prerogativa che mirava alla conservazione della memoria nel tempo e nello spazio.

Quali sono i più significativi esempi di arte e cultura materiale siriane antiche giunti sino a noi?
Non è certo semplice fare una selezione di opere significative perché ciascuna, nel suo contesto, contribuisce, come un piccolo tassello di un più grande mosaico, a scrivere una parte decisiva e importante del pensiero delle antiche società che hanno vissuto in Siria, creando motivi, iconografie e messaggi che hanno avuto lunghissime tradizioni e che ritroviamo fino all’età classica. Voglio però ricordare tre esempi che credo esprimano bene quanto la Siria abbia contribuito a cambiare la conoscenza del passato e a riconsiderare quanto dobbiamo alle culture preclassiche del Levante nella nostra prospettiva spesso troppo occidentalocentrica. Il ricco archivio di testi scoperto a Ebla ha permesso di studiare non solo un’antica lingua semitica, ma di ottenere informazioni sulla gestione politica e amministrativa di un grande centro urbano, culti e riti della religione e della commemorazione dei defunti nonché i numeri dei capitoli di spese e delle entrate del palazzo. Gli affreschi scoperti nel Palazzo Reale del II millennio di Qatna esemplificano il gusto, la tecnica e la diffusione di un linguaggio e di iconografie raffinate che ritroviamo nel mondo egeo e in Egitto, permettendo di riconsiderare quindi origine e imprestiti culturali che hanno seguito spesso una direttrice da Ovest verso Est mentre è interessante poter osservare altre direzioni e fenomeni di originalità del tutto locali. Infine, la diffusione, soprattutto nel I millennio a.C., di cicli scultorei in spazi aperti e pubblici (presso le porte urbiche, lungo vie processionali) che toccano diversi temi, dalla religione (processioni in occasioni di feste religiose) all’espressione del potere politico (immagini di caccia, raffigurazioni delle imprese militari dei sovrani) che hanno ispirato le successive formulazioni del rilievo storico di Assiria in Iraq settentrionale: l’uso delle superfici a ortostati per la raffigurazione e presentazione di fatti e persone introduce un aspetto di grande novità rispetto alla presenza di immagini che erano principalmente destinate a luoghi chiusi (palazzi e templi) e quindi a un ristretto numero di persone, con un decisivo impatto sulla forma e fruizione degli antichi spazi da parte delle società antiche.

Davide Nadali è professore associato di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente antico alla Sapienza Università di Roma. Codirige lo scavo di Tell Zurghul, l’antica Nigin, in Iraq ed è vicedirettore dello scavo di Tell Mardikh/Ebla, in Siria.

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