
di Nicola Laneri
Carocci editore
«La sepoltura del corpo di un defunto e la pratica di cerimonie funebri ad essa associate sono elementi imprescindibili nella distinzione tra esseri umani e animali e caratterizzano l’evoluzione culturale e sociale dell’umanità sin dai primi esempi di deposizione funeraria volontaria, come la famosa “tomba con fiori” neandertaliana ritrovata all’interno di una grotta presso il sito di Shanidar, in Iraq settentrionale, e databile a circa 60.000 anni or sono. Anche se altre scoperte fanno ipotizzare che le prime sepolture formali di esseri umani risalgano addirittura al Pleistocene Medio (circa 350.000 anni fa), è l’esempio di Shanidar che meglio testimonia l’importanza della definizione della valenza spirituale della morte nella fase fondante del processo di evoluzione dell’essere umano. La morte è infatti un momento drammatico, che non comporta solo il termine della vita biologica di un individuo e il dolore della comunità dei vivi per la perdita di un suo membro, ma soprattutto definisce le regole di socializzazione tra le persone che fanno parte di un determinato gruppo e modifica i sistemi di organizzazione sociale di un’intera comunità. La morte, il dolore per l’avvenimento, la perdita di un membro della società devono essere quindi gestiti dai vivi con la trasformazione di un evento naturale in un fenomeno culturale, che deve essere esteriorizzato tramite la creazione di regole sociali, ideologiche ed economiche attuabili attraverso la pratica di riti funebri che si succedono immediatamente dopo il decesso. […]
Il superamento della morte di un individuo da parte del gruppo sociale di appartenenza deve quindi avvenire attraverso un costrutto culturale che separi il biologico dal sociale e che perciò imprima continuità alla morte biologica degli esseri umani grazie all’immortalità della memoria del defunto tra i vivi. Nel fare ciò, al corpo, essenza biologica dell’individuo, viene associata un’anima, elemento culturale e sociale che ha le potenzialità di risolvere idealmente la fine fisica della vita umana. È attraverso l’attuazione di riti funebri che questa dicotomia viene espressa e superata grazie all’esaltazione dell’aspetto non corporeo del morto. La pratica di un rito funebre da parte del gruppo di riferimento (la famiglia, il clan, i cittadini), che esalti le gesta del defunto e renda pubblico il dolore dei cari riuniti attorno alla sua tomba, è un punto di partenza imprescindibile per il superamento dell’assenza fisica del deceduto e l’esaltazione dell’immortalità della sua anima tra i membri della comunità dei vivi. In altre parole, la morte viene concepita e superata dalla società combinando la dimensione immaginaria (attraverso la creazione di storie mitico-religiose) con quella pratica (con la performance di riti).
Questo elemento emerge chiaramente nelle narrazioni mitologiche delle popolazioni antiche che, sin dalla stesura della saga di Gilgamesh in Mesopotamia circa 5.000 anni fa (una serie di testi che raccontano le avventure epiche del primo eroe della storia mondiale, tentano disperatamente di trovare una chiave mentale per superare la mortalità degli esseri umani.
È da questo punto di partenza che archeologi, antropologi e storici devono accingersi all’arduo compito di far convergere entro un unico punto analitico la dimensione biologica/naturale (rappresentata dai resti ossei del defunto reperiti dentro la tomba) e quella sociale/culturale (racchiusa invece nella cultura materiale visibile all’interno del contesto archeologico oppure nei testi dedicati alla descrizione dei riti funebri) della morte degli individui nelle società antiche. Il tentativo di coniugare questi due aspetti appare ben evidente nella storia degli studi sui riti funebri, sia tra le società antiche che tra quelle contemporanee (cfr. CAP, 1).
In particolare, l’obiettivo dello studio dei riti funebri antichi deve essere quello di individuare un sottile filo comune che connetta le analisi dedicate alle modalità di trattamento del corpo del defunto (inumazione, cremazione, mummificazione ecc.; cfr. CAP. 2), gli studi sulla localizzazione e sulla tipologia delle deposizioni funerarie e, infine, le ricerche dirette all’interpretazione dei corredi funerari e delle offerte poste sia all’interno che all’esterno delle tombe (CAP. 3).
Nel far ciò, bisogna prestare molta attenzione all’interpretazione ideologica e simbolica delle cerimonie funebri, con particolare enfasi sulla presenza fisica e spirituale della memoria dei defunti nella comunità dei vivi (CAP. 4). All’interno di questa visione del rito funebre, occorre evidenziare fortemente il rapporto metaforico che si instaura tra morte, fertilità e rinascita e come questo elemento sia rintracciabile tra le evidenze iconografiche e testuali delle comunità antiche (CAP. 5).
Questo volume vuole quindi essere una guida basilare per studenti e studiosi interessati ad affrontare i significati sociali e culturali dei costumi funerari delle società antiche. Il suo obiettivo è nel contempo quello di evidenziare la dinamicità del dato storico e archeologico, che deve essere sempre osservato e interpretato dallo studioso quale espressione materiale della pratica di riti e cerimonie da parte dei membri della comunità dei vivi.»