“Apprendere una lingua tra uso e canone letterario” a cura di Anna Polo e Ester Pietrobon

Apprendere una lingua tra uso e canone letterario, Anna Polo, Ester PietrobonApprendere una lingua tra uso e canone letterario. Gli esempi nella riflessione linguistica in Europa (secoli XVI-XVIII)
a cura di Anna Polo e Ester Pietrobon
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«Il presente volume propone una riflessione sui modelli linguistici e letterari dell’italiano e dello spagnolo che a partire dal XVI secolo, momento fondamentale della codificazione delle lingue volgari, contribuiscono alla creazione di paradigmi metodologici ed epistemologici essenziali nei processi di insegnamento e apprendimento di una lingua.

Partendo da un’analisi testuale che integri la prospettiva storiografica con quella filologico-letteraria, il volume indaga la relazione tra norma, uso e auctoritates nei testi di riflessione teorica di ambito colto e nelle opere rivolte alla pratica didattica, sprovviste di un impianto teorico innovativo, ma fondamentali veicoli di circolazione e di mediazione grezza della riflessione metalinguistica elaborata nelle opere erudite. La selezione a priori di modelli letterari consacrati caratterizza, infatti, le grammatiche italiane a partire dalle Regole di Fortunio (1516), ma non rappresenta una metodologia sistematica in altre tradizioni, nelle quali il sistema di esempi è tratto, generalmente, dalla lingua viva. In italiano l’accettazione di una norma letteraria fu, per i primi grammatici, unanime e anche successivamente il fondamento letterario della norma linguistica non fu mai intaccato1. La stessa lezione delle Prose bembiane è, del resto, quella di una «grammatica d’una letteratura “capace di vincere la corrosione del tempo” attraverso la mediazione di offerte esemplari, “legittimate dalla storia e confortate dall’autorità”, da cui deriva il primato della scrittura sull’oralità». Nella definizione della norma, la dialettica tra toscanità e non toscanità, tra fiorentinità e non fiorentinità è centrale e genera una accesa discussione tra bembisti e fiorentinisti nei circoli accademici fiorentini. La norma bembiana, sottoposta a forte critica, si scontra con una nozione di lingua che privilegia l’uso vernacolare dei nativi fiorentini e sostiene la validità di Dante come modello alternativo o complementare a Petrarca. Inoltre, la contrapposizione geolinguistica tra toscani e italiani settentrionali (i “lombardi”) si traduce in un’opposizione di modelli, di autorità e quindi di esempi per eccellenza letterari (in primis le Tre Corone, insieme ai classici antichi e moderni), accanto ai quali non manca la discussione su esempi d’uso e proverbi, mediata da figure operanti a cavallo dei due mondi come Benedetto Varchi, che nel sostenere la validità del modello dantesco e della buona lingua orale dei toscani non indotti, i quali hanno appreso mediante lo studio le regole del proprio idioma, introduce un principio di canonizzazione utile a conciliare in una prospettiva attenta al fattore pedagogico una matrice metodologica di ascendenza bembiana, radicata nella tradizione didattica umanistica, con la legittimazione in chiave alta del modello fiorentinista. La tradizione italiana offre agli autori stranieri una pluralità di repertori e di generi dedicati alla riflessione linguistica come i dialoghi, le grammatiche, i rimari, i commenti e le lezioni accademiche, che propongono una vasta gamma di strumenti per la discussione, la codificazione e l’apprendimento della buona lingua, con attenzione quasi esclusiva all’ambito del volgare scritto e letterario.

Nell’ambito della tradizione grammaticale dello spagnolo, invece, nei secoli XVI e XVII non si esemplifica a partire da un corpus di testi letterari scelti a priori e i grammatici non giustificano con citazioni letterarie la dottrina che espongono. L’uso di un corpus precedentemente formato da cui attingere esempi costituisce una metodologia che si svilupperà molto lentamente poiché il concetto di autorità e l’esemplificazione a partire da un corpus letterario cominciano a consolidarsi a partire dal XVIII secolo e solo nel XX secolo raggiungono la massima sistematicità.

L’esemplificazione, intesa come repertorio di luoghi imitabili e come elemento costitutivo della prassi grammaticale dedicata sia all’apprendimento linguistico, sia all’individuazione di una norma colta, diviene quindi un fattore essenziale per comprendere il modello linguistico e culturale nel quale si muove il grammatico.

Il volume presenta due sezioni principali, la prima dedicata alla riflessione sul canone e sugli usi della lingua, rivolta prevalentemente a un pubblico di nativi, la seconda dedicata agli strumenti e metodi per l’apprendimento linguistico da parte di stranieri.

Il rapporto tra codificazione della lingua e culto degli autori è esaminato da Alessio Cotugno a partire dal noto assunto di Carlo Dionisotti secondo il quale la grammatica del volgare nacque come grammatica «di una lingua originariamente straniera», opera di autori non toscani che, come tali, avevano dovuto per primi apprendere il tosco-fiorentino «con sforzo». Il saggio, da un lato, indaga il fenomeno dell’esemplificazione a partire da un insieme di repertori (lessicografici e specialmente grammaticali) allestiti nell’Italia settentrionale durante la prima metà del XVI secolo e, dall’altro, si concentra su alcune testimonianze del dibattito relativo alla “questione della lingua” a partire dal Dialogo della volgar lingua del bellunese Pierio Valeriano, nel quale emergono alcune dinamiche caratteristiche dell’apprendimento delle lingue straniere.

Il contributo di Lorenzo Sacchini intende valorizzare uno scritto inedito e sinora ignorato dagli studiosi: il dialogo del perugino Gregorio Anastagi sul proemio del Canzoniere di Francesco Petrarca conservato a Trieste nel ms. autografo i 55 della Biblioteca Attilio Hortis. Composto presumibilmente nei primi anni Ottanta del Cinquecento, il dialogo dimostra una forte intenzione didascalica, sottoponendo il testo petrarchesco a un’indagine grammaticale minuta e puntuale. […]

Il saggio di Ester Pietrobon si occupa della riflessione metalinguistica di Benedetto Varchi con particolare attenzione all’Hercolano, in cui la discussione sul fiorentino è inserita nel panorama delle lingue di cultura antiche (latino, greco, provenzale, ebraico) e moderne (francese, spagnolo). […]

Sara Giovine dedica uno studio ai Commentarii della lingua italiana di Girolamo Ruscelli (pubblicati postumi nel 1581), distinti dalle opere grammaticali coeve per la maggiore attenzione riservata alla funzione didattico-pedagogica, in particolare verso gli stranieri e gli indotti. Ruscelli allarga il canone degli autori trecenteschi ad alcuni contemporanei come Ariosto e Sannazaro. […]

A partire dal modello proposto da Boughaba (2020) in relazione agli strumenti lessicografici, Francisco Escudero Paniagua indaga la funzione di contestualizzazione (o pragmatica) degli esempi a partire da un corpus di opere grammaticali spagnole dedicate a un pubblico nativo. I testi sono editi in Spagna tra il 1743 e il 1796, periodo storico di grande transizione che determinerà profondi cambiamenti nel panorama teorico e metodologico dell’insegnamento dello spagnolo e del latino in Spagna. […]

Paolo Silvestri indaga il riflesso della tradizione letteraria e della definizione della lingua di cultura italiane nel modello di lingua proposto nei testi destinati allo studio e all’insegnamento dell’italiano in Spagna fra Cinque e Seicento. La netta preminenza della lingua letteraria dell’aureo Trecento calza con il prestigio eccezionale dei modelli letterari italiani nella cultura spagnola, dove la corrente petrarchista costituisce la linea maestra nella definizione del canone poetico. Attraverso l’analisi di dichiarazioni programmatiche, strutture grammaticali ed esemplificazione proposta agli apprendenti ispanofoni, lo studio sonda il riflesso della cosiddetta “questione della lingua” e del consolidarsi della proposta arcaizzante, classicistica e puristica avanzata da Bembo.

Lo studio di Anna Polo propone un’analisi dell’apparato esemplificativo in un corpus di grammatiche dedicate all’apprendimento dello spagnolo per italiani (GEI) pubblicate in Italia tra la seconda metà del XVII secolo e la fine del XVIII secolo. Si propone una riflessione sul canone storico implicito ed esplicito, riconoscibile in questi testi didattici, con l’obiettivo di analizzarne i processi testuali che esplicitino il riferimento alle autorità (grammaticali, letterarie e lessicografiche). […]

Giulia Nalesso analizza l’apparato esemplare nella Gramatica spagnuola e italiana di M. Chirchmair (Firenze, 1709), opera poco trattata nell’ambito degli studi dell’insegnamento dello spagnolo in Italia. […]

Il contributo di Francesca Cialdini esamina alcuni strumenti per l’insegnamento della lingua presso la cattedra di “Toscana favella” di Siena nella prima metà del Seicento, concentrandosi sui Primi Principi della Grammatica Toscana del collaboratore di cattedra Girolamo Buoninsegni, pubblicati nel 1618 e destinati agli studenti stranieri. […]

Lo studio di Andrea Seilheimer affronta il caso della Nouvelle grammaire italienne et espagnole di Jean Saulnier (1624), basata sulle grammatiche di Donato, Nebrija, Meigret, Miranda, Oudin e sulla grammatica dello stesso Saulnier Introduction en la langue espagnolle (1608).»

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