
di Adriana Destro e Mauro Pesce
Laterza
«Per un’antropologia delle origini cristiane, se si eccettua la documentazione archeologica, le fonti sono soltanto testi scritti. D’altronde, l’antropologia nel suo normale lavoro usa in continuazione una molteplicità di testi, generalmente orali, che vanno dalle interviste alle storie di vita, dai discorsi formali alle narrazioni mitologiche. Le stesse note di campo, in cui l’antropologo trascrive e traduce le proprie esperienze e i rilevamenti empirici, sono per unanime consenso forme iniziali e insostituibili di scrittura. Anche le notizie che riceve verbalmente, e a volte in modo casuale, hanno di norma valore di testo. Cosicché il testo è sempre strumento necessario nella ricerca antropologica. Si potrebbe addirittura dire che una teoria antropologica dei testi è un contributo teorico essenziale all’antropologia nella sua totalità.
In questo primo tentativo di elaborare una teoria dell’analisi antropologica dei testi protocristiani teniamo presente le teorie attuali del testo letterario. Esse, tuttavia, sono applicabili solo parzialmente al nostro oggetto, sia per la diversa prospettiva disciplinare sia per la diversa natura dei testi. La nostra prospettiva metodologica è quella di un’antropologia che si preoccupa dei significati che i testi ricevevano nella cultura in cui furono prodotti. Senza cadere nel mito di una lettura «oggettiva», il nostro obiettivo è inizialmente di ricostruire una cultura religiosa antica nella sua diversità rispetto alla cultura del leggente attuale. […]
L’analisi deve perciò partire dal processo socio-culturale in cui si inseriscono i rapporti tra autore e destinatario che presiedono alla produzione del testo. Anzitutto, l’aspetto basilare è che il testo è il prodotto di un’attività umana alla pari di tutte le altre manifestazioni che caratterizzano un assetto culturale. Come altre attività dell’uomo producono oggetti, anche l’operazione della scrittura produce un oggetto particolare. Nella sua materialità, il testo è la trascrizione grafica di pensieri, enunciati, concetti espressi in una lingua determinata. In modo del tutto evidente, esso è un prodotto culturalmente configurato come lo è un tappeto, un abito, un aratro. Della natura del testo, peraltro, fa parte il supporto materiale stesso sul quale viene impressa la scrittura. […] A differenti supporti, corrispondono differenti tipi di testo, differenti oggetti o prodotti scritti. Anzi, la scelta dei materiali di supporto e le modalità del loro uso caratterizzano il prodotto finale.
In secondo luogo, il testo è un oggetto creato per una funzione particolare. W. Iser, che può essere assunto come rappresentante di una precisa ottica letteraria, ha concentrato l’attenzione sull’atto della lettura: «i testi ricevono la loro realtà dal fatto di essere letti». In realtà, come notava M. Bachtin, la realizzazione del testo non avviene solo mediante la lettura, ma anche nell’ascolto e nella rappresentazione. Solo attraverso la lettura o l’ascolto o la rappresentazione il testo si trasforma e assume totalmente il valore di fatto culturale perché consente una comprensione e induce a un’azione. Quest’ultimo punto è decisivo: la lettura opera non solo la creazione di un significato, come si limita a sottolineare prevalentemente Iser, ma provoca azioni e modificazioni, come afferma anche D. Boyarin per la lettura della Bibbia. […]
W. Iser ha criticato la teoria del «lettore supposto» di E. Wolff (cioè «l’idea di lettore che l’autore ha in mente») perché non renderebbe conto del fatto che un testo può continuare a essere correttamente letto anche da lettori non supposti dall’autore e non contemporanei a lui. Il nostro interesse antropologico ci spinge però a ricercare proprio il lettore «supposto». La scrittura dei testi protocristiani è dominata dalle situazioni dei destinatari immaginati dall’autore. Quegli scritti, di norma, suppongono dei lettori, o meglio delle comunità di lettori. Il singolo lettore dell’epoca protocristiana è immerso in una situazione condizionata da un reticolo istituzionale che è ben presente a chi scrive. Attraverso il testo, egli può esaminare e mettere in discussione i principi ordinatori del proprio mondo. Il testo è così uno strumento di comunicazione con destinatari/lettori storicamente e culturalmente determinati.
Questa comunicazione consiste dunque nella creazione di uno spazio simbolico per l’incontro tra l’autore e i suoi destinatari supposti. Nel momento stesso in cui è strumento di comunicazione, il testo è tuttavia anche il tentativo di proporre un modello per la costruzione della realtà sociale dei destinatari. […]
Risulta così evidente che un approccio antropologico al testo integra non solo la teoria letteraria del destinatario/lettore, ma anche quella dell’autore. La progettualità trasformatrice insita nei testi implica che essi, quanto meno in una prospettiva antropologica, non vanno considerati in primo luogo come fonte della storicità degli eventi narrati, ma come testimonianza delle concezioni di chi li ha scritti. Gran parte dei testi protocristiani narra eventi avvenuti decenni prima in aree geografiche e culturali diverse da quelle dei redattori. Ciò impone una distinzione tra mondo sociale del redattore e mondo sociale narrato, qualsiasi sia la prospettiva metodologica. […]
Tuttavia, se i testi protocristiani non possono essere utilizzati oggi senza un rigoroso vaglio critico per ricostruire la storia narrata, hanno comunque una valenza storico-culturale. Come qualsiasi testo, e in modo particolare quelli religiosi, sono infatti risultato di una pratica culturale. Essi, perciò, ci mettono a contatto non solo con le concezioni e le intenzioni del redattore, ma, in certa misura, anche con la cultura vissuta e incarnata nel suo tempo (e non nel tempo in cui si svolsero i fatti narrati). […]
In conclusione, il contributo dell’antropologia a una teoria dell’autore sta nel considerare quest’ultimo come produttore di una sintesi del sistema culturale e di tutte le sue dinamiche, la quale si condensa in un oggetto che è il testo. Ciò equivale a dire che esso non è prodotto dalla pura intenzionalità dell’autore, ma anche dagli elementi culturali di cui egli, di fatto e per lo più inconsapevolmente, vive e che perciò trasmette.»