“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters

Antologia di Spoon River, Edgar Lee MastersAntologia di Spoon River
di Edgar Lee Masters
Introduzione, traduzione e commento di Alberto Cristofori
La nave di Teseo editore

Consacrata con la sua musica da Fabrizio De André, vede ora la luce in una nuova edizione integrale commentata con testo originale a fronte, per i tipi de La nave di Teseo, l’Antologia di Spoon River. Come scrive nella sua introduzione Alberto Cristofori, che ne ha curato la traduzione e il commento, «sorta nella mente di Edgar Lee Masters, un avvocato di Chicago con ambizioni poetiche fino a quel momento decisamente malriposte, […] ha acquisito realtà e concretezza nella immaginazione di milioni di lettori in tutto il mondo.» E così le storie del suonatore Jones, di Dippold, l’ottico, di Trainor, il farmacista di Spoon River o di Selah Lively, il giudice dell’omonima canzone di De André, tornano a far sentire le loro voci.

«L’Antologia di Spoon River è, nella sua versione definitiva, una raccolta di 246 poesie. La prima, intitolata La collina, ha carattere introduttivo: il poeta passeggia in un cimitero, collocato su un’altura ai margini di una cittadina immaginaria, Spoon River (il nome deriva da quello di un fiume, lo Spoon, affluente dell’Illinois, nello Stato omonimo). Aggirandosi fra le tombe, il poeta si chiede dove siano finiti vari personaggi, uomini e donne, di cui evidentemente legge i nomi sulle lapidi e le cui esistenze sono state segnate da fallimenti e tragedie. Solo lo spensierato violinista Jones, fra tanti, sembra aver goduto di una vita felice.

Le 243 poesie successive sono intitolate ai morti sepolti nel cimitero, ciascuno dei quali racconta al passante la propria vicenda. Lo schema è turbato da poche eccezioni: in qualche caso la voce che parla è collettiva anziché individuale, in qualche caso il morto dialoga con un interlocutore immaginario, in qualche caso non racconta la propria vita, ma ascolta il racconto fatto da altri, in qualche caso invece di raccontare teorizza, filosofeggia, propone massime, favole morali e così via. In generale, comunque, le poesie sono delle brevi autobiografie, che i critici amano definire “epitaffi” […].

Molte poesie sono fra loro collegate: le voci dei personaggi si rimandano a distanza, evocando i medesimi avvenimenti da punti di vista diversi, affrontando gli stessi temi in modi spesso opposti, polemizzando, contraddicendosi. Dal fitto brusio delle loro parole emerge la storia collettiva del paese, dalla metà dell’Ottocento circa all’inizio del Novecento. Poiché ogni poesia è caratterizzata da una voce diversa, l’Antologia presenta una straordinaria varietà di toni e di stili: troviamo l’asciuttezza sentenziosa e l’abbandono lirico, la satira rancorosa e la malinconia più struggente, il linguaggio semplice e colloquiale accanto alle soluzioni più letterariamente impostate. Ciascuno dei personaggi esprime la sua visione del mondo, la sua riflessione sulla vita, sulla società, a volte sull’umanità intera, con la sincerità garantita dal fatto di parlare dopo la morte: ma la sincerità non è affatto garanzia di verità, o di attendibilità, sia perché alcuni personaggi, se non addirittura la maggior parte, sono prigionieri dei loro pregiudizi e incapaci di un’analisi approfondita di sé e delle cose, sia perché ogni punto di vista, anche quello più illuminato, si rivela in qualche misura parziale e tendenzioso. In altri termini, nessuno dei personaggi si può considerare espressione dell’autore, che si tiene ai margini della sua opera, invitando il lettore a prendere parte alle emozioni e ai sentimenti delle varie voci narranti senza identificarsi con nessuna di esse. Solo nell’ultimo epitaffio, cioè nella poesia n. 244, Masters si presenta direttamente in scena, con lo pseudonimo usato per firmare una parte della sua opera, Webster Ford, e svolge una riflessione sulla poesia, richiamando il mito classico di Apollo e Dafne.

Dopo l’ultimo epitaffio, il libro ha una doppia conclusione, che i traduttori e gli editori italiani hanno a lungo trascurato. La poesia n. 245, intitolata La Spooniade, è il frammento di un poema eroicomico attribuito a uno dei personaggi dell’Antologia, Jonathan Swift Somers; in essa si racconta lo scontro fra le due fazioni politiche contrapposte di Spoon River, quella dei conservatori e quella dei liberali – scontro legato all’elezione del sindaco, ma provocato dal comportamento “troppo disinibito” di una ragazza del paese. L’ultimo testo della raccolta ha carattere teatrale, come la celebre scena della Notte di Valpurga del Faust di Goethe, che ne costituisce il modello: nel cimitero di Spoon River (lo stesso luogo da cui la raccolta ha preso le mosse) dialogano vari personaggi, tra cui Dio, Belzebù, alcuni esseri umani, alcune entità astratte. L’autore sintetizza attraverso le loro parole i fondamenti filosofici del suo libro, che rimandano alla filosofia di Schopenhauer (1788-1860) e alle correnti spiritualistiche del primo Novecento.».

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