
Nel suo canto d’ingresso, il coro, costituito da cittadini di Tebe, celebra la propria città, ormai libera dall’assillo della guerra; subito dopo, dalle reticenti parole di un messaggero (una guardia del drappello che era stata incaricata di vigilare sul corpo di Polinice) si può intuire che Antigone ha dato seguito al suo proposito: qualche pugno di terra è stato simbolicamente gettato sul cadavere (vv. 223-331). Il sovrano, infuriato, impone ai soldati di scoprire e arrestare il colpevole. Dopo un breve intervallo – durante il quale il coro intona il famoso stasimo che esalta l’intraprendenza e la versatilità dell’intelletto umano (vv. 332-383) – la stessa guardia ritorna, esultante, trascinando davanti al re la responsabile, colta in flagrante: si tratta appunto della figlia di Edipo, Antigone. In un appassionato confronto con Creonte (vv. 441-525), la giovane giustifica la propria infrazione, negando ogni validità a una legge che viola le sacre norme disposte dagli dèi. Ismene, chiamata anch’essa a rispondere di quanto è avvenuto, si dichiara complice, ma la sorella rifiuta sdegnosamente di condividere con lei la condanna, e viene condotta via.
Appresa la notizia dell’arresto di Antigone, sua promessa sposa, Emone, figlio di Creonte, cerca, senza successo, di convincere il padre ad annullare l’editto, paventandone, tra l’altro, le conseguenze politiche (vv. 635-765); costretto a cedere, si allontana in preda all’ira, mentre il sovrano ordina che Antigone venga rinchiusa in una grotta sotterranea, garantendole la quantità di cibo e bevande necessaria per stornare da sé la contaminazione (miasma) di un’uccisione diretta. Trascinata alla sua ultima dimora (vv. 806-943), Antigone cerca di coinvolgere in un patetico kommós il coro, che le risponde con formali parole di conforto.
Neanche l’arrivo di Tiresia, che descrive gli orrori di disfacimento e putredine – conseguenza della mancata sepoltura del cadavere di Polinice – che infestano ora Tebe, riesce apparentemente a scuotere la volontà di Creonte; ma quando, dopo la partenza dell’indovino, i cittadini di Tebe gli consigliano di rivedere le sue posizioni, il re improvvisamente cede, e si dirige alla prigione di Antigone per liberare la nipote. Nonostante il canto di gioia che esprime il sollievo dei coreuti (vv. 1115-1152), è ormai troppo tardi: un messaggero, entrando in scena, racconta alla moglie del re, Euridice, che la giovane si è impiccata con le proprie vesti, mentre Emone, che l’aveva raggiunta nel sepolcro sotterraneo, si è ucciso sul cadavere della promessa sposa sotto gli occhi del padre. Sconvolta, la regina rientra in casa per togliersi la vita; Creonte, che arriva ora con il corpo di Emone, schiacciato dal peso delle disgrazie provocate dalla sua decisione dissennata, accompagna il coro nell’esodo finale (vv. 1283-1353), intonando uno straziante lamento.
Riassunto
Polinice, figlio di Edipo, con un esercito di Argivi ha cercato di scalzare il fratello Eteocle dal trono di Tebe, accusandolo di non rispettare il patto di alternanza precedentemente concordato. La spedizione tuttavia non ha avuto successo: i due fratelli sono morti l’uno per mano dell’altro, e Creonte, che ora governa su Tebe, ha interdetto la sepoltura di Polinice, reo di essersi mosso in armi contro la sua stessa patria. Decisa a opporsi al decreto, invano Antigone cerca di convincere la sorella Ismene a collaborare con lei per dare la giusta sepoltura al loro comune fratello: Ismene, infatti, non vuole trasgredire la legge e, anzi, obietta che si tratta di un piano folle, che condurrà Antigone alla morte. Ma l’eroina, delusa e irata per la viltà della sorella, rimane ferma nel suo proposito. Appare Creonte, che ribadisce al coro dei vecchi Tebani le ragioni politiche del proprio decreto. Giunge, trafelata, una sentinella che era di guardia presso il corpo di Polinice, e informa che qualcuno, non visto, ha sparso simbolicamente della polvere sul cadavere e ha compiuto i riti funebri. Creonte, furioso, ordina di catturare il colpevole. Dopo l’intermezzo di un canto corale, la sentinella ricompare, trascinando con sé Antigone, tornata a portare a termine i sacri riti presso il cadavere e colta sul fatto. Creonte e Antigone si scontrano in un agone in cui alle ragioni della polis, sostenute dal sovrano, l’eroina contrappone le ragioni della philìa e le leggi “non scritte degli dèi”. Antigone viene condannata a morire rinchiusa in una grotta, nonostante prima Ismene e poi Emone, figlio di Creonte e fidanzato della fanciulla, tentino di intercedere in suo favore. Antigone si avvia, dolente, verso la grotta-prigione. Solo il sopravvenire di funesti presagi e l’intervento chiarificatore dell’indovino Tiresia, che rivela al re che gli dèi non approvano il suo decreto e si apprestano a riversare la propria ira sulla sua stessa famiglia, inducono Creonte a tornare sui propri passi. Il re acconsente ora a concedere gli onori funebri a Polinice e a liberare Antigone, ma è troppo tardi. Come racconta un messaggero, Antigone si è suicidata, ed Emone, scopertone il corpo, si è parimenti ucciso. Euridice, moglie di Creonte, appresa la nefanda notizia, entra ammutolita nella reggia e si impicca. Creonte disperato, comprende di essersi reso responsabile della morte della propria famiglia e rientra, prostrato, nella reggia.
tratto da Storia del teatro greco a cura di Massimo Di Marco, Carocci editore