
Come si sviluppò il rapporto con Alcide De Gasperi?
Il rapporto tra Andreotti e De Gasperi si sviluppò nel corso della seconda guerra mondiale. Abbiamo da parte di Andreotti diverse rievocazioni di questo incontro: la più nota è l’incontro nella Biblioteca Vaticana nel corso di ricerche sulla marina pontificia da parte del giovane studente Andreotti a cui un austero bibliotecario, lo stesso De Gasperi, avrebbe risposto di occuparsi di cose più serie. Al di là della memorialistica, è indubbio che la Fuci, pur non essendo antifascista e contraria al regime, avesse molto di più altre organizzazioni cercato di mantenere una propria autonomia culturale, già sotto la presidenza di Aldo Moro, ed aveva molto insistito sulla centralità della questione sociale come punto cruciale anche della personale adesione al cristianesimo. Andreotti da direttore di Azione fucina aveva molto lavorato su queste tematiche, tanto da attirare le attenzioni di ex popolari come Giuseppe Spataro e Guido Gonella, a cui si attribuisce l’indicazione a De Gasperi di coinvolgerlo nella Dc. Certo è che l’ambiente culturale di Andreotti, cioè quello della Fuci e di Sergio Paronetto, fu quello con cui De Gasperi si rapportò maggiormente, a parte ovviamente i vecchi popolari che avevano con lui condiviso già l’esperienza del PPI. In questo modo Andreotti fu tra i primissimi ad aderire alla Dc già nel periodo clandestino, contrariamente a tutto il resto di quello che sarebbe stata la futura dirigenza democristiana, da Moro a Fanfani. Andreotti infatti si impegnò sia nella redazione del Popolo, firmando nel dicembre del ‘43 un importante articolo sotto lo pseudonimo Uno del 19, in cui invitava a lottare in armi contro fascisti e nazisti, che nel Comitato di liberazione nazionale, alle cui riunioni accompagnò varie volte lo stesso De Gasperi. Nacque così tra i due un rapporto di fiducia, che spinse il leader trentino a volerlo al giornale della Dc alla fine della guerra ma anche alla guida dei gruppi giovanili dello scudo crociato. Questi impegni spinsero Andreotti a lasciare la Fuci e l’Azione cattolica in cui si era formato in stretto rapporti con Giovan Battista Montini, che sostenne la sua scelta di aderire alla Dc.
Quali incarichi di governo segnarono maggiormente la carriera politica di Giulio Andreotti?
Gli incarichi di governo di Giulio Andreotti sono stati innumerevoli. Il suo cursus honorum è amplissimo, e culmina nei suoi sette governi, gli ultimi dei quali coincidono di fatto con fine di quella che Pietro Scoppola, grande storico cattolico, ha chiamato la “Repubblica dei partiti”. Dal 1947 al 1992 Andreotti ha dunque svolto molti e diversi incarichi ministeriali. A parte la presidenza del consiglio tenuta con diverse formule politiche non sempre coincidenti, dal ritorno al centro-destra nel 1972 con l’accordo Dc e Pli, alla solidarietà nazionale dei governi della non sfiducia, che coinvolgevano il Pci, arrivando sino agli ultimi esecutivi del pentapartito, cioè all’alleanza tra Dc-Psi-Pdsi-Pli e (sino ad un certo momento) Pri, vanno ricordate soprattutto la lunga esperienza al ministero della Difesa tra gli anni Cinquanta e Sassanta e poi negli anni Ottanta a quello degli Affari Esteri. Rispetto agli anni affrontati nel volume tuttavia l’esperienza centrale fu sicuramente quella di sottosegretario alla presidenza del consiglio, che tenne dal IV governo De Gasperi a quello di Giuseppe Pella. In quella veste ricoprì un gran numero di mansioni e ruoli, dallo spettacolo e il cinema ai rapporti con i partiti della maggioranza e con il parlamento, a quelli con il Vaticano, navigando tra le diverse correnti Dc e scontrandosi con loro quando gli pareva necessario. La sensazione è che questo fu un momento importante per la sua conoscenza della macchina statale, delle strutture amministrative dello stato italiano e della loro relazione con la politica.
Quali posizioni incarnava Andreotti all’interno della Democrazia cristiana?
Andreotti fu essenzialmente un degasperiano di ferro. Da De Gasperi ereditò una certa idea della preminenza dello stato sul partito e anche sul partito restò a lungo legato alla idea che la Democrazia cristiana dovesse si essere un partito di massa ma anche di “personalità”. L’ostilità di Andreotti verso le correnti, ed in particolare i sostenitori di Giuseppe Dossetti e di Giovanni Gronchi, era figlia di questa impostazione, che vedeva nella Dc certamente la forza che doveva rappresentare il cattolicesimo in politica declinandola in senso democratico ma anche i settori moderati della società italiana. Se l’anticomunismo era centrale in questa visione, non va dimenticato che all’inizio la collaborazione tra le grandi forze politiche popolari fu considerata indispensabile dallo stesso De Gasperi, che affidò proprio ad Andreotti la difesa di questa posizione come suo portavoce ufficiosa sul Popolo. Non a caso fu Andreotti ad anticipare la famosa definizione della Dc come “partito di centro che guarda a sinistra”, che in un certo senso De Gasperi non abbandonò neppure dopo la rottura con le sinistre, spingendo affinché l’area laica e riformista, cioè repubblicani e socialdemocratici, accettasse di entrare nella compagine governativa. L’anticomunismo, che nasceva anche da motivi religiosi, fu infatti significativamente sempre declinato da Andreotti in termini positivi: in altre parole non ci fu mai una apertura all’idea di creare un unico fronte anticomunista che includesse conservatori e reazionari in quanto forze organizzate, insistendo invece sulla necessità di riforme graduali ma indispensabili per risollevare il paese. La vocazione sociale della Dc fu dunque sempre richiamata da Andreotti sia pure insistendo sul rilancio della produzione e la difesa del “quarto partito”, inteso come il mondo imprenditoriale e della produzione. Al momento dell’affermazione della corrente di Iniziativa democratica, che divenne progressivamente il gruppo interno più importante dentro la Dc con il passaggio da De Gasperi a Fanfani, Andreotti decise di presentare una propria lista congressuale, denominata “Primavera”. In questo modo cercava di dare forza e voce, ma anche di mantenerli legati alla Dc, a quanti guardavano con preoccupazione all’affermazione di Id, considerata per certi versi una corrente troppo “ideologica”, mortificatrice delle singole personalità, e propensa a guardare a sinistra dopo la sconfitta Dc alle politiche del 1953, mentre Andreotti guardava ai monarchici, soprattutto con l’idea di evitare che la Dc, per pregiudizi “ideologici”, si legasse ad una sola formula politica, venendone condizionata.
Che rapporto ebbe con il Vaticano il politico democristiano?
Il rapporto con il Vaticano di Andreotti fu molto stretto. Nella sua formazione la vicinanza ad una figura come Montini, futuro Paolo VI, fu molto importante ma in generale possiamo dire che la profonda conoscenza delle gerarchie ecclesiastiche, specie romane, fu molto utile nel momento in cui De Gasperi si trovò ad affrontare una sorta di ostilità latente da alcuni settori di quell’ambiente, che finirono per considerava lo statista trentino troppo “liberale” e poco attento alle ragioni del mondo cattolico. Tra i criticati finì lo stesso Andreotti, che utilizzò le sue ampie relazioni per smussare gli angoli e sostenere la posizione di De Gasperi, come dimostra il suo atteggiamento nei confronti della lista Sturzo per le amministrative romane del 1952. Al contempo non va sottovalutata la sua autonomia: lo si vide chiaramente al momento dell’elezione a presidente della Repubblica di Giovanni Gronchi, vista con preoccupazione al di là del Tevere, e che invece Andreotti perseguì fortemente, ritenendola necessaria per ridimensionare da un lato il potere di Fanfani dentro la Dc.
Qual era la visione internazionale di Andreotti?
La visione internazionale di Andreotti mutò nel corso del tempo: non va sottovalutato il legame del mondo cattolico con le altre nazioni “latine”, mentre verso gli Stati Uniti e il mondo anglo-sassone e protestante vi erano molti pregiudizi. Anche Andreotti espresse timore per una eccessiva subordinazione dei piccoli stati alla logica dei grandi schieramenti intorno alla superpotenza americana, che pareva riproporre un certo atteggiamento imperiale. Erano, come detto, sentimenti diffusi in ambito cattolico e che spingevano per una posizione “terza” dell’Italia legandola ad una collocazione neutrale.
Anche qui contò molto De Gasperi e la sua consapevolezza che andando verso il mondo bipolare con alleanze strette intorno agli Usa e all’Urss, l’Italia non potesse che collocarsi nell’alleanza politico e miliare della Nato, e quindi accanto agli Stati Uniti. E che fosse bene accompagnare tale passaggio con la costruzione di un nuovo processo di cooperazione europea tra i principali stati dell’Europa non comunista, quindi Francia, Germania, e la stessa Italia. Fu quindi De Gasperi, come riconosciuto più volte dallo stesso Andreotti nei suoi diversi scritti sullo statista trentino, ad “illuminare” il giovane Andreotti sull’importanza della collocazione internazionale dell’Italia, che non poteva non essere che atlantica ed europea. Appresa la lezione, Andreotti fu certamente un buon allievo, anche se fu sempre attento a declinare in termini comprensibili questo schieramento internazionale. In occasione della guerra di Corea, insistette sulla necessità di spiegare in termini chiari agli italiani il momento difficile, anche richiamando concetti come la difesa della patria e della sua integrità a tutti immediatamente intellegibili. Al contempo fu però sempre molto pragmatico nella interpretazione di questa collocazione, come dimostrano i suoi consigli a Pella di tener conto della sconfitta subita dall’Italia nell’affrontare la questione triestina. Sicuramente però la difesa della collocazione atlantica fu una costante preoccupazione, ed uno dei motivi non secondari della sua contrarietà all’apertura socialisti, considerati a rischio proprio rispetto a tale versante. Benché fosse guardato con qualche sospetto al tempo dell’amministrazione Kennedy, fu sicuramente tra i più fermi nel difendere il legame con gli Usa, che sostenne anche per l’intervento in Vietnam, sperando di poter stringere anche in termini bilaterali la collaborazione militare. Significativa anche la posizione su Israele durante la guerra dei sei giorni, convinto che l’eredità dell’Olocausto aveva resa necessaria la creazione di uno stato ebraico che la comunità internazionale doveva tutelare.
Tommaso Baris insegna Storia contemporanea all’Università di Palermo. Tra le sue pubblicazioni: C’era una volta la Dc. Intervento pubblico e costruzione del consenso nella Ciociaria andreottiana (1943-1979) (Laterza, 2011)