“Anatema! I copisti medievali e la storia delle maledizioni nei libri” di Marc Drogin

Anatema! I copisti medievali e la storia delle maledizioni nei libri, Marc DroginAnatema! I copisti medievali e la storia delle maledizioni nei libri
di Marc Drogin
a cura di Simona Inserra
Ledizioni

«Nel 1983 Marc Drogin pubblicava negli Stati Uniti, per l’editore Allanheld & Schram, Anathema! Medieval Scribes and the History of Book Curses, un testo di carattere divulgativo nel quale riuniva molte maledizioni presenti nei libri, ideate per evitarne il furto, tratte prevalentemente da manoscritti medievali oggi conservati in numerose biblioteche pubbliche, soprattutto nel continente europeo. Alla trascrizione e, in molti casi, alla traduzione in lingua inglese degli anatemi, l’autore aggiungeva alcune succinte notizie relative alla loro nascita, diffusione e affermazione nel mondo occidentale.

Tre anni prima, nel 1980, Drogin aveva pubblicato Medieval Calligraphy: Its History and Technique, libro con il quale aveva iniziato a divulgare i temi legati al codice medievale e alla sua manifattura.

Nonostante l’interesse che l’argomento delle maledizioni contro i ladri o i guastatori di libri ha riscosso nel tempo e continua a suscitare tra studiosi e appassionati di libri medievali, ad oggi non mi pare esista un censimento completo degli anatemi contenuti nei manoscritti medievali e nei primi libri a stampa, né che sia stata pubblicata una raccolta significativamente più ricca di quella messa insieme da Marc Drogin.

Ma che cosa sono queste maledizioni o minacce presenti nei libri medievali, a chi sono rivolte, quando, da chi e in quali luoghi dei manufatti sono state vergate? In linea di massima si tratta di formule semplici, di poche righe (ma non mancano quelle più lunghe e ricche di dettagli impressionanti), che si trovano sulle prime carte di un codice, le carte di guardia o le prime carte del testo, nei pressi dell’incipit oppure alla fine, nell’explicit o colophon, insieme ad alcune indicazioni rese dal copista in merito al completamento del suo lavoro; in molti casi le si potrebbe considerare al pari di formule rituali che accompagnano il compimento del lavoro dell’amanuense.

Com’è noto, raramente i copisti medievali lasciavano traccia di sé all’interno dei libri e quando lo facevano, solitamente questo avveniva nello spazio deputato a questo scopo, cioè il colophon. Le informazioni croniche, topiche e onomastiche, ossia relative alla data di confezione del codice, al luogo della copia, al nome del copista o, in certi casi ancora più sporadici, a quello del miniatore, sono assai rare da trovare e le operazioni di descrizione catalografica sono fondamentali per individuare queste notizie e renderle disponibili alla comunità scientifica.

Anatemi o maledizioni sono presenti, come mette in luce Marc Drogin alla fine del suo lavoro, anche nei primi libri a stampa, gli incunaboli, ma lentamente la pratica della scrittura dell’anatema sparisce e viene sostituita da formule di rito con le quali non più il singolo possessore ma le istituzioni, soprattutto quelle religiose, minacciavano di scomunica quanti si fossero macchiati della colpa del furto o del danneggiamento di un libro: è molto nota, ad esempio, la minaccia di scomunica rivolta agli utenti della Biblioteca dell’Università di Salamanca: «Hai excomunion reservada a Su Santidad contra qualesquiera personas que quitaren, distraxeren, o de otro qualquier modo enagenaren algun libro, pergamino, o papel de esta Bibliotheca, sin que puedan ser absueltas hasta que esta esté perfectamente reintegrada».

Gli anatemi hanno lo scopo di impressionare, minacciare e impaurire, attraverso formule rituali con alcune variazioni, a volte ricche di dettagli, a volte laconiche, quanti si fossero resi responsabili di un delitto relativo al libro nel quale esse erano trascritte, generalmente l’asportazione o il danneggiamento di alcune carte o, nel peggiore dei casi, il furto del volume.

In molti casi nell’anatema si indicavano i tormenti che avrebbero colpito il ladro o il danneggiatore del libro già in questo mondo o nell’aldilà ed erano elencati una serie di personaggi in compagnia dei quali il condannato sarebbe stato costretto a trascorrere il resto della sua vita (tra questi, in particolare, Giuda il traditore).

La somiglianza di molti anatemi fra loro rafforza il convincimento che essi siano formule rituali, ampiamente diffuse e utilizzate già in età alto medievale, ripetute di codice in codice; nella maggioranza dei casi raccolti sino ad oggi la lingua utilizzata è il latino, talvolta con influenze delle lingue romanze locali, ma non mancano anatemi in inglese e in francese medievale.

Quello che essi ci mostrano, oggi, è la diffusa presenza del timore o di una vera e propria ossessione di perdere libri appena finiti di copiare con tanta fatica o commissionati e acquistati e sono quindi testimonianza della piena consapevolezza dell’uomo medievale del valore e, al tempo stesso, della fragilità dei manufatti librari.

Il timore di vedere sottratto oppure danneggiato in maniera irreversibile il proprio oggetto di studio, di lavoro, di diletto, portava l’amanuense o il possessore a minacciare l’aspirante ladro, usurpatore di manufatti costati fatica e denaro, frutto, in molti casi, di un’attività tanto materiale quanto spirituale.

È vero, infatti, che l’impegno fisico e mentale necessario per completare la stesura di un manoscritto è descritto sin dall’Alto Medioevo, quando iniziano a diffondersi quei giochi metaforici nei quali si descrive l’attività di scrittura come occupazione che coinvolge tutta la persona, corpo e mente. A Beda il Venerabile era, per esempio, attribuita l’affermazione, sintesi efficace della simbiosi tra fatica mentale e fatica corporea, divenuta poi celebre per tutto il Medioevo e in vario modo declinata: «tres digiti scribunt, totum corpus laborat». […] E lodi agli amanuensi vengono anche dal teologo francese Jean Gerson (1363-1429) nel suo De laude scriptorum.

Ma anche quando ormai il libro è soprattutto testo stampato, l’abate Tritemio (1462-1516) in un opuscolo recante lo stesso titolo di quello appena citato di Gerson, De laude scriptorum, continua a celebrare il valore della scrittura a mano contrapponendola alla stampa e soffermandosi sul valore della durabilità di un testo vergato su pergamena rispetto a uno scritto o stampato su carta. Tritemio è, d’altro canto, convinto che la nuova tecnica di produzione dei libri non permetterà di riprodurre tutto quello che nei secoli è stato sapientemente riprodotto negli scriptoria dei monasteri; sostiene quindi che è responsabilità dei monaci continuare a copiare e tramandare, in forma manoscritta, tutti i testi che, anche per motivi economici, non sarebbe stato possibile stampare. I monaci, a suo parere, sarebbero stati capaci di produrre copie di qualità di gran lunga superiore ai testi stampati e di includervi anche elementi ornamentali di pregio. […]

Torniamo alle maledizioni, dunque, quale sistema privilegiato, e adottato sin dai tempi antichi, per proteggere i libri. Nelle pagine che seguono leggeremo numerosi esempi tratti da manoscritti medievali e ci renderemo meglio conto del significato di questi anatemi.

La raccolta vera e propria di anatemi, presente nelle ultime pagine, è preceduta da alcuni capitoli snelli e molto divulgativi dedicati alle modalità di copiatura, alle suppliche ai lettori per la cura dei manufatti, al valore economico dei libri, temi con i quali si cerca di fornire al lettore di oggi la chiave per comprendere un oggetto complesso come il manoscritto e il significato delle azioni ideate dall’uomo medievale per tentare di proteggerlo dalle azioni scellerate dei suoi simili.»

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