
Il Suo libro offre un’originale “traduzione” dell’Inferno che qui rivive fedelmente in prosa e con le parole dell’italiano corrente: quali tra i temi e i personaggi danteschi ritiene di maggiore contemporaneità?
L’Inferno è pieno di storie che colpiscono, che commuovono, che sconvolgono. C’è l’amore e il tradimento, l’orrore e l’avventura, la bassezza e l’eroismo, la superbia e l’idiozia, il tragico e il ridicolo. Ognuna di queste storie è un romanzo a sé, è un film. Ma tutte insieme stanno dentro un romanzo che le contiene tutte: il viaggio di Dante. Un viaggio che ha un antefatto: il suo amore giovanile per Beatrice. E questa è la cosa più stupefacente: che nel semplice incontro fra due adolescenti nella Firenze del Duecento, nello sbocciare di una tenerezza e di uno stupore fra un ragazzo e una ragazza, sia racchiuso il mistero della salvezza universale… Per scoprire come bisogna andare dietro a Dante e rifare con lui il suo viaggio.
Cosa rende immortale il poema dantesco?
Il fatto che racchiuda tutte le storie e tutti i libri dentro una cattedrale di luce, di musica e di poesia. È il Libro che svela il segreto di ogni libro e di ogni altro viaggio, di ogni vita: dal più turpe dei peccatori al più sublime dei santi.
Lei sostiene che il viaggio di Dante non è semplicemente grandiosa immaginazione, ma testimonianza ed esperienza di un vero e proprio cammino di conversione: come si manifesta e come parla a noi il suo percorso di salvazione?
Ci esorta a rifare con lui quel viaggio: l’esperienza cristiana. E ci mostra che essa è paragonabile al primo amore giovanile. Un’esperienza di affezione e di conoscenza. Una vita nuova dentro la comunità cristiana che fa scoprire la vita e il mondo.
Cos’è davvero la Divina Commedia?
Nell’esergo io ho voluto richiamare una citazione di Guy Débord, il situazionista, che riscrive l’incipit della Commedia: “Nel mezzo del cammin della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta”. È tratta dal suo libro In girum imus nocte et consumimur igni (Mondadori, 1998). Il titolo latino riproduce l’esametro imperfetto attribuito a Paolo Silenziario, poeta bizantino del VI secolo d.C: «In girum imus nocte, ecce, et consumimur igni» (“Andiamo in giro di notte, e veniamo consumate dal fuoco”), che è un palindromo, cioè si legge egualmente a rovescio. Pare si riferisca alle falene, ma potremmo applicarlo – perché no – anche alle “lucciole”, le ragazze di strada che si prostituiscono accanto ai falò e si consumano nel fuoco delle passioni. Ma quella frase è applicabile pure ai santi. Anch’essi nella notte del mondo ardono di passione per Dio e per la salvezza dei fratelli. Questo “ardere” è la vita dell’uomo. Per una “passione inutile”, come diceva Sartre oppure per la passione suprema, quella della salvezza, la passione del Salvatore. L’Amore assoluto, il Sommo Piacere (così Dante definisce Dio). C’è chi definirebbe “gioventù bruciata” la prima, quella che arde di passioni mondane. Ma anche – al contrario – tante vite di santi per il mondo stanno dentro la categoria “gioventù bruciata”: giovani che hanno donato tutti se stessi per l’ideale, fino al martirio. Il fuoco delle passioni terrene non mantiene la promessa di felicità, ci dice Dante e infatti l’inferno brucia di una passione inutile, brucia annientando. Però anche il Paradiso arde d’amore, è tutto un fuoco di passione che arde divinizzando i beati, rendendoli Dio. È una danza, una festa di luci, di musiche e di colori attorno a “l’Amor che move il sole e l’altre stelle”. Un verso, questo, che fa pensare che perfino le costellazioni e l’universo corrano incontro a questo Amore, che siano desideranti di Lui. L’Amor perduto è Lui. L’Inferno è il luogo dove questo Amore, questa suprema Felicità, è stata perduta. Per sempre.