
La tumultuosa crescita che per oltre due decenni ha caratterizzato il colosso di Seattle, «una crescita aggregata costante vicina al 30% (che vuol dire quasi raddoppiare il fatturato ogni tre anni)» è oggi, alla luce dell’emergenza sanitaria in cui viviamo, destinata a un altrettanto inesorabile incremento. Finché non verrà scoperto un vaccino in grado di proteggerci dal Covid-19, le misure di “distanziamento sociale” saranno le uniche in grado di rallentare l’espansione del contagio. In questo mondo, nel quale le consegne a domicilio saranno il canale tendenzialmente prevalente, preferito da consumatori che malvolentieri si avventurano fuori casa, Amazon avrà un ruolo sempre più, inevitabilmente, centrale.
Già oggi, «un libro ogni quattro in Italia» è acquistato su Amazon. «Sono per la grande maggioranza “coda lunga”, cioè titoli che nelle librerie non si trovano più, perché non hanno rotazione o domanda sufficiente. […] i clienti di Amazon sono sparsi in tutta Italia, ordinano cioè molto da quei piccoli centri non serviti dalle librerie: paesini dell’Appenino marchigiano o toscano, piccoli centri del Sud Italia o delle isole». Oltre a ciò, «i clienti che scaricano libri su Kindle in formato elettronico, studi statistici di Amazon alla mano, acquistano 5 volte più libri (elettronici e cartacei) rispetto a quando non avevano Kindle».
Come ammette l’autore, «vista da fuori, Amazon è un’azienda avvolta dal mistero.» E misteriosi appaiono anche chi lavora per Amazon: gli amazonians, «parlano tutti nello stesso modo, ripetono spesso automaticamente le stesse formule, hanno sempre un obiettivo dichiarato sin dall’inizio dell’incontro, e fanno di tutto per conseguirlo. […] “If you’re a good amazonian, you become an Amabot” è una delle tante battute interne (un buon dipendente di Amazon è tutt’uno con i sistemi: amabot, da amazon + robot)».
«Vista da più lontano, Amazon sembra il tipico esempio, l’ennesimo, del miracolo americano, della capacità di innovare, di rompere gli schemi, di andare oltre e inventare il futuro, di immaginare e poi realizzare cose a cui mai nessuno aveva pensato prima, pensare in grande, pensare ciò che per gli altri è impensabile. Ma è in realtà il frutto anzitutto di un’immensa disciplina e capacità di semplificare, pianificare, anticipare. Metodo, tenacia, rigore, disciplina, capacità di non mollare mai (relentless, “inarrestabile”, è il primo nome immaginato da Bezos per Amazon; provate a scrivere relentless.com nel vostro browser e guardate dove andrete ancora oggi a finire)».
«Amazon è l’erede, o la figlia, di Walmart, la più grande azienda del mondo, creata da Sam Walton alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso», un’azienda «che ha fatto di una struttura dei costi più bassa di quella dei concorrenti» l’arma del successo: Amazon ne ha imitato lo spirito, i principi, il modello di business. Eppure, «sorprendentemente per un’organizzazione che ha raggiunto quelle dimensioni, Amazon è la creazione di un solo uomo. Perché, anche se è un’azienda fatta di team, di centinaia di squadre, a partire dal S-team (il Senior team, cioè i riporti diretti di Bezos), fino a quelli che lavorano nell’ultimo (in ordine temporale) centro logistico, o nell’ultimo customer service aperto, è un’azienda imbevuta della cultura del suo fondatore: è come plasmata, forgiata, scolpita dal pensiero, dalla volontà, dai principi, dal metodo e dallo spirito creativo di Bezos. […] I membri del S-team si comportano come Bezos, e a loro volta formano allo stesso modo i loro riporti diretti, e così via, a cascata. Costituiscono il pivot, il perno sul quale ruota tutta l’organizzazione. Difficile che chi non si conforma possa resistere a lungo dentro Amazon, figurarsi fare carriera. E, siccome up or out, “su o fuori”, non è una metafora, ma una regola di gestione messa sistematicamente in pratica a ogni livello, si può dire che questa cultura ha generato meccanismi che la rinforzano, radicandola nel tempo sempre più in ogni punto dell’organizzazione, in ogni ufficio dei cinque continenti in cui Amazon è presente.»
Angioni rileva poi anche una responsabilità da parte dei media, «amplificatori assai poco critici dei comunicati stampa che arrivano da Seattle. Vedremo davvero consegne effettuate da droni? Arriverà il giorno in cui avvisteremo in cielo pacchi volanti? Ne dubito, eppure per mesi giornali e tv di mezzo mondo non hanno parlato d’altro. Amazon è molto scaltra nel fare colpo sull’immaginario dei giornalisti e dei consumatori con le proprie visioni del futuro».
Angioni ripercorre le tappe principali della formidabile crescita di Amazon: «Il 1999 è un anno cruciale nella storia di Amazon, e delicato, perché di fatto inizia a prendere forma quell’everything store che oggi conosciamo: cioè un sito generalista, che non vende più solo libri, musica e film, ma anche elettronica di consumo e giocattoli (le prime categorie aggiunte fuori dal settore dei media tradizionali).» Nel 2000 viene introdotto il Marketplace, la piattaforma aperta a venditori terzi. «Viene aperto il primo ufficio fuori Seattle, un centro di sviluppo a Palo Alto, per lavorare su un motore di ricerca detto A9, 9 come le lettere della parola algorithm. Progetto abbandonato poi, dopo che nel 2004 nella Silicon Valley aveva aperto il segreto Lab126, dove 1 sta per A e 26 per Z, il laboratorio in cui viene progettato il lettore di libri Kindle, grazie al quale nelle intenzioni di Bezos sarebbe stato possibile leggere tutti i libri mai pubblicati, appunto dalla A alla Z. Sono anche gli anni in cui vedono la luce EC2 e più tardi S3, Elastic Compute Cloud e Simple Storage Service, i due primi servizi che definiscono la nascita di AWS, l’azienda di servizi cloud che farà la fortuna di Amazon (l’azione quadruplicherà tra 2015 e 2018 anche a seguito della prima pubblicazione dei numeri di AWS, che ne rendono pubblici crescita e marginalità ben più alti del resto di Amazon – Amazon da retailer diventa società del comparto tecnologico)». Oggi Amazon capitalizza mille miliardi di dollari e «gestisce circa 180 FC (fulfillment centers, enormi depositi pieni di merci di ogni tipo) in una quindicina di paesi.»
Ecco così emergere dalle pagine di Angioni l’Amazon nascosta, «la sua cultura, cioè i valori, i principi, i processi, che sono stati completamente assorbiti e vengono vissuti, messi in pratica ogni giorno da chi per Amazon lavora. Una vera e propria ideologia totalizzante. Questa cultura di Amazon, che si esprime e prende forma nella parola scritta, è quasi letteraria: le Shareholders Letters di Bezos, i narratives sulla cui lettura inizia ogni riunione importante, i comunicati stampa e le FAQ, che sono necessari per presentare le nuove iniziative, le tante e-mail interne che ogni giorno si scrivono e si ricevono (probabilmente in un rapporto di 20 a 1 rispetto alle telefonate). Le migliaia di comunicati stampa sulle novità che vengono presentate e offerte ai clienti a getto quasi continuo. Le Amazon Stories, i blog (“Day One”), le recensioni dei clienti, le chat interne attraverso Communicator, i miliardi di e-mail mandate (di solito di notte) ai clienti con raccomandazioni d’acquisto. Per finire con i Leadership Principles, in bella vista sui muri dei tanti uffici sparsi nel mondo, e all’ingresso dei centri di distribuzione. [Una] cultura, che è prima di tutto tipicamente americana e manageriale […] Solo così, vedendo Amazon come una cultura a sé stante, una cultura nuova e forte o, come impropriamente si sente spesso dire, un “ecosistema”» è possibile spiegarsi «un fenomeno non solo economico ma anche sociale così colossale e resistente, così organico e graduale, un’azienda che, passando da zero a 280 miliardi di dollari di ricavi e 800.000 dipendenti-azionisti, riesce a crescere in maniera vertiginosa in appena venticinque anni. Non era mai successo».
Secondo il fondatore Jeff Bezos, il segreto di Amazon è «essere sempre stati ossessionati dal cliente (insieme ad altri due elementi, il focus sul lungo termine e l’innovazione).» Un’attenzione spasmodica che si traduce in un un servizio impeccabile, pressoché perfetto, cura e attenzione al cliente che arriva sino al vertice: «È l’e- mail [email protected] che quasi tutti i clienti conoscono. C’è un team che legge tutte le e-mail in arrivo a quell’indirizzo, ne passa le più significative a Bezos, che le utilizza internamente (spesso inoltrandole con un solo punto interrogativo), a volte risponde al cliente che gli ha scritto.»
Il futuro di Amazon? «Per continuare a crescere a ritmi del 30% all’anno, Amazon deve per forza attaccare le due più grosse categorie del consumo al dettaglio, alimentare e abbigliamento, che sono anche le due categorie più difficili, le meno adatte al modello del retailer online, basato sulla coda lunga e sul riordino automatico di articoli evergreen, la cui domanda è prevedibile estrapolando da serie storiche, permettendo così agli algoritmi di gestire agilmente scorte e riordini in tempo reale. Solo che nella moda ci sono fornitori che non vogliono lavorare con un discounter, temendo per i loro brand. Ci sono le collezioni, con una domanda incerta, influenzata appunto dalle mode, gli ordini si fanno sei mesi in anticipo, tutti d’un colpo (sono in pratica scommesse sugli articoli che si prevede saranno più richiesti nella stagione futura e gli algoritmi non ne sono capaci), mentre nell’alimentare c’è la catena del fresco, una supply chain diversa da quella di tutte le altre categorie, ci sono date di scadenza o una vita sullo scaffale di pochi giorni. Ci sono migliaia di articoli che hanno un prezzo medio basso, ma pesano molto. In poche parole, spedire sei bottiglie di acqua per 5 dollari o un telefono Apple da 1200 dollari non presenta solo una differenza vistosa nel prezzo, ma anche nel peso e nell’ingombro. Cambia tutto.»