
Per un inquadramento generale dei fenomeni giuridici in età tardoantica, bisogna considerare soprattutto che l’unità dell’Impero, faticosamente ricostruita da Costantino, dopo il fallito esperimento della tetrarchia dioclezianea, era minata da profonde ragioni di divisione, che portavano alla separazione della pars Orientis dalla pars Occidentis.
Infatti, alla morte di Costantino, nel 337, l’Impero fu nuovamente diviso tra i figli, Costantino II, al quale toccò l’Occidente, e Costanzo, che già governava in Oriente, mentre al più giovane Costante fu assegnato, con poteri più limitati, l’Illirico.
Nel 353, dopo la scomparsa di Costantino e di Costante, nonché dell’usurpatore Magnenzio, l’unità fu nuovamente ristabilita per circa un decennio. Ma nel 364 Valentiniano reintrodusse la divisione, associandosi il fratello Valente e procedendo ad una nuova spartizione dell’Impero. Ormai, a parte una breve parentesi alla fine del 394, sotto Teodosio, la divisione divenne permanente e si consolida alla morte di quest’ultimo, nel 395.
Mentre nella parte orientale si manteneva una più salda struttura statale, nella parte occidentale, anche prima della definitiva caduta dell’Impero, verificatasi nel 476, si compiva già nel corso del IV secolo, un processo di dissoluzione dell’unità statale, con la formazione di veri e propri stati indipendenti (regna), determinata sia dallo stanziamento dei vari territori di popolazioni barbare, sia dalle forze centrifughe che già operavano, anche indipendentemente, all’interno delle popolazioni romanizzate.
Conseguentemente si determina fra i due mondi, occidentale ed orientale, una sempre più accentuata differenziazione relativa alla struttura dello Stato, che in Oriente rimane unitario e si rafforza nell’assolutismo imperiale e nel centralismo amministrativo, mentre in Occidente si fraziona, prima solo di fatto e poi anche in diritto; all’unità etnica e culturale, che pure, in Occidente, viene minata dalla formazione dei regni barbarici e dalla sovrapposizione delle popolazioni germaniche alle popolazioni romane o romanizzate; alla vita economica, che in Occidente, assai più che in Oriente, è caratterizzata dal regresso verso forme di economia naturale (non monetaria) della società europea del medioevo.
Questo complesso di fenomeni non resta senza effetti sull’ordinamento giuridico. La divisione dell’Impero porta come conseguenza ad una diversità di legislazione. È vero che le costituzioni continuano, in ambedue le parti dell’Impero, a recare nella inscriptio i nomi di tutti gli Augusti regnanti; ma, in effetti, ognuno degli imperatori ha i propri uffici e la propria cancelleria, dai quali le costituzioni emanano e, di regola, specialmente dopo il 395, la loro applicazione è limitata alla parte dell’Impero nella quale e per la quale sono emanate.
Qual è il contesto giuridico dell’età tardoantica?
Innanzitutto, come effetto dell’assolutismo imperiale e dell’accentramento burocratico, anche l’ordinamento giuridico trova una formale unità nel segno del potere legislativo imperiale. Le molteplici forme creative del diritto romano nei secoli precedenti, dalla giurisprudenza al pretore, dalla normazione senatoria ed imperiale, si esauriscono e si riducono alla sola attività normativa dell’Imperatore. Non si tratta di un fenomeno improvviso, ma il risultato di un lungo processo di esaurimento delle forze vive creatrici dell’ordinamento romano.
L’opera creativa del pretore era già cessata, infatti, nel II sec. d.C., quando si procedette, sotto Adriano, alla compilazione dell’Editto perpetuo.
La giurisprudenza ha ancora una notevole fioritura all’epoca dei Severi e qualche attività svolge fino al IV secolo, al quale, appartengono giuristi come Arcadio Carisio ed Ermogeniano. Ma già i grandi giuristi dell’epoca dei Severi, come Paolo ed Ulpiano, svolgono un’attività prevalentemente sistematrice del vasto materiale elaborato nei secoli precedenti e di Ermogeniano si sa solo che fu autore di un compendio, intitolato libri iuris epitomarum. Più tardi non resta che un’oscura opera di scuola, che si riduce alla compilazione di poveri riassunti o di raccolte destinate all’insegnamento ed ai bisogni della pratica.
Anche la funzione normativa del senato si è esaurita di pari passo con la sua influenza politica. Dalla fine del II sec. non si ha più traccia di senatoconsulti normativi. Gli imperatori usano ancora indirizzare al senato le loro costituzioni: una funzione ormai meramente formale e protocollare.
Perciò l’unico mezzo di creazione del diritto rimangono, in questa fase, le costituzioni imperiali, che assumono per lo più la forma e la portata di leges generales, di provvedimenti, cioè, indirizzati o ad populum, ad universos provinciales, o anche alla popolazione di una parte determinata dell’Impero o ad senatum, o anche ad uno degli alti funzionari, specialmente ai prefetti del pretorio, e destinati ad essere applicati ed osservati da tutti.
Come funziona il sistema giudiziario romano nella tarda antichità?
Il progressivo consolidarsi della struttura burocratica dell’Impero, dove pure si profila un sempre più spiccato accentrarsi del potere giurisdizionale nella persona dell’imperatore, già teorizzato in epoca severiana in base al principio di un trasferimento del potere dal popolo al principe di omne suum imperium et potestatem e dove l’imperatore esercita le funzioni di supremo titolare del potere giurisdizionale, il ruolo dei funzionari imperiali che esercitavano le funzioni giudicanti in luogo del sovrano assume una diversa e, per certi aspetti, più pregnante rilevanza: se, infatti, nel Principato, e anche prima, già nella Repubblica, la configurazione e l’attribuzione di una competenza giurisdizionale agli organi sottoposti al potere imperiale poteva individuarsi nell’istituto della iurisdictio mandata, con cui i magistrati o promagistrati giusdicenti trasferivano ai loro legati una porzione della potestas iudicandi, nella realtà processuale tarda, il carattere episodico del conferimento di una iurisdictio mandata e il legame quasi personale fra mandante e mandatario venivano a scolorirsi, per assumere la configurazione di un legame funzionale tra il sovrano, titolare del potere, e il funzionario a cui venivano attribuite funzioni giurisdizionali, quale connotato permanente della carica, nella prospettiva della moderna concezione pubblicistica della rappresentanza organica.
Quale evoluzione subisce il processo civile nell’esperienza romana della tarda antichità?
Anche in relazione alle regole del processo civile romano, la storia dell’ordinamento giuridico tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, è influenzata dalla caratteristica fondamentale di questo periodo, che si traduce nell’accentuazione del principio secondo cui la sola fonte del diritto consisteva nella legge imperiale, cioè nella volontà del principe.
Un principio destinato a consolidarsi definitivamente in età dioclezianea, poiché l’imperatore dalmata, ancora più dei suoi predecessori, accentrò su di sé, oltre che la funzione legislativa, anche i compiti giurisdizionali.
Diocleziano, infatti, per molti aspetti «restauratore della romanità» si prefiggeva il compito di riunificare l’ordinamento giuridico, anche contrastando le forze centrifughe degli usi locali che erano sopravvissuti specialmente della pars Orientis dell’Impero. Emerge, infatti, dalla copiosissima produzione normativa, un indirizzo nettamente conservativo che si traduce, seppure nella forma del rescritto imperiale, nel materiale raccolto specialmente nel Codice di Giustiniano e che sottolinea un indirizzo legislativo decisamente orientato alla formale applicazione del diritto romano, specialmente nelle province dell’Impero, attraverso una spinta unitaria ed uniformante che, proprio per il tramite della tipologia di intervento normativo prescelto consentiva, per un verso, un contatto diretto tra l’imperatore e i suoi sudditi; per altro verso, e per quanto qui specialmente rileva, una funzione che un autorevole studioso ha definitivo di «uniformazione e controllo dell’operato degli organi giurisdizionali».
Quale attenzione riceve il tema della difesa delle frontiere dell’impero nella legislazione tardoantica?
Nella seconda metà del IV sec. d.C., la pressione nemica su tutti i confini dell’Impero romano era divenuta sempre più grave e minacciosa, tanto da costringere i titolari del potere ad una serie di controffensive, che li vedrà costantemente impegnati per tutta la durata del periodo di governo: ad Occidente, soprattutto nella difesa della frontiera del Reno contro gli Alamanni e del Danubio contro i Sarmati e i Quadi; ad Oriente, nella campagna contro i Goti e nella ricorrente minaccia della Persia.
La contingenza bellica era destinata a condizionare, sotto vari e reciprocamente interdipendenti profili, l’attività normativa imperiale, non soltanto in relazione all’oggetto e al contenuto degli interventi legislativi che, con frequenza non casuale, erano dedicati all’efficienza dell’esercito e all’organizzazione militare, ma anche, persino con maggiore rilievo, in riferimento alla regolamentazione dei rapporti fra i titolari del potere, con riferimento al problema dell’unitarietà o della divisione dell’Impero, in un periodo nel quale il fenomeno della ripartizione territoriale delle competenze, seppure con caratteristiche nient’affatto uniformi, si era già ripetutamente verificato.
Come veniva disciplinato il patrimonio immobiliare imperiale nella legislazione del tardo diritto romano?
Il tema della gestione del patrimonio immobiliare imperiale occupa un posto centrale nel panorama normativo tardoimperiale. La res privata principis costituiva un settore strategico dell’amministrazione centrale, la cui funzione consisteva nella gestione dei beni appartenenti allo Stato e nella riscossione e nell’impiego delle relative rendite, in un momento storico nel quale il problema finanziario della esazione dei tributi costituiva una delle maggiori preoccupazioni degli imperatori.
Particolarmente articolate e complesse sono le vicende relative alla disciplina dei fundi rei publicae, la ricostruzione del cui regime incontra numerosi ostacoli a causa della scarsità e della frammentarietà delle fonti a nostra disposizione, che mostrano un differente trattamento del patrimonio immobiliare da parte dei sovrani succedutisi alla porpora imperiale.