
di Carlo M. Cipolla
Il Mulino
«Opera o, più propriamente, “divertissement” dello storico italiano Carlo Maria Cipolla (1922-2000), pubblicata nel 1988 a Bologna. L’edizione italiana raccoglie in realtà due saggi scritti originariamente in inglese nel 1973 e nel 1976 e usciti, come spiega l’Autore, “in edizione ristretta riservata per soli amici”. La loro circolazione quasi clandestina e il favore raccolto negli ambienti storiografici convinsero Cipolla a darli alle stampe anche per un pubblico non necessariamente specializzato. Si tratta, effettivamente, di una curiosa ed intelligente dimostrazione di come, con humor, si possano costruire (e spesso irridere) modelli teorici semplicisticamente basati sul nesso causa-effetto.
Nel caso del primo saggio, Cipolla ammicca con ironia tagliente alle conclusioni meccaniche ed esasperate di certa storiografia socio-economica: concatenando la crescente richiesta di pepe manifestatasi nell’Occidente medievale (“il pepe, si sa, è un potente afrodisiaco”), gli espedienti escogitati dagli europei per procurarselo (non ultime le Crociate), la benefica influenza che la spezia ebbe sulla crescita demografica, il conseguente incremento della domanda e della produzione di altre merci (ferro, lana e vino, appunto), l’Autore riesce a dimostrare con tanto di teorema matematico che “fu allora che il capitalismo medievale raggiunse il suo apice. Il pepe, il vino e la lana erano i principali ingredienti della prosperità generale, il pepe mantenendo naturalmente il ruolo di quello che Marx chiamava il motore della storia”.
Addirittura cartesiana è la dissertazione sulla stupidità umana: cinque le leggi fondamentali da tener presenti (la prima: “Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione”) per tentare di neutralizzare la vera e propria piaga sociale costituita dalla cospicua e indiscriminata massa di stupidi. La prerogativa essenziale dello stupido, palesa Cipolla con l’ausilio di assi e coordinate cartesiani, è di nuocere agli altri senza arrecare vantaggio a sé; il tutto con inevitabili conseguenze sulla vita politica (lo stupido vota e si annida anche tra i politici).
Se per il lettore gli esiti di questi due esercizi di stile di Cipolla (specie del secondo) sono esilaranti, non va taciuto che tra le righe si colgono i leitmotiv della sua intera opera, spesso in bilico tra levità, paradossi e severità d’indagine. Si pensi, per esempio, ai lavori di storia economica o a quelli sulle condizioni di vita dei ceti medio-bassi tra Medioevo ed età moderna (Salute pubblica e professione medica nel Rinascimento, Public Health and the Medical Profession in the Reinassance, 1976; Cristofano e la peste, 1976; Chi ruppe i rastelli a Monte Lupo?, 1977; I pidocchi e il Granduca, 1979).
Per definire la complessità della figura di Cipolla storico e intellettuale appare dunque del tutto appropriata l’affettuosa definizione coniata in suo ricordo dall’amico e collega di Berkeley David S. Landes: “Renaissance Man, Global Historian”.»