“Alle radici della cavalleria medievale” di Franco Cardini

Alle radici della cavalleria medievale, Franco CardiniAlle radici della cavalleria medievale
di Franco Cardini
il Mulino

«La civiltà occidentale deve molto alla cavalleria. Per convincersene, è sufficiente osservare quanto essa ancora influenzi i pensieri e i comportamenti degli uomini sin dalla più tenera età. Nei loro giochi, i nostri figli si proiettano quasi naturalmente in un universo irto di castelli e popolato di cavalieri, gli autori di successo ne traggono ispirazione, numerose opere letterarie o cinematografiche, fino ai giorni nostri, hanno fatto ricorso a questo tema e riprendono la sua atmosfera, il suo linguaggio e alcuni dei suoi valori.

Un accesso un po’ più approfondito consente di scoprire facilmente che la nostra cultura europea – quanto, per lo meno, ne resta – è essa stessa impregnata dei valori sorti dall’ideale cavalleresco che appare con tanta nettezza nelle opere storiche e letterarie dal XII secolo, e che ha così fortemente contribuito a forgiare la cultura e la mentalità occidentali. È a questa cavalleria, per esempio, che si deve il primo tentativo di limitare gli eccessi della guerra, di regolamentare l’uso delle armi e di reprimere gli istinti più selvaggi attraverso la creazione di un’etica, propria ai guerrieri, incentrata su virtù come l’onore, la fedeltà ai principi e alla parola data, e, almeno in una certa misura, il rispetto dell’avversario che si combatte, persino quando è sconfitto e prigioniero. Questi valori sono evidentemente contrari all’istinto naturale della specie definita «umana» e perciò non bisogna meravigliarsi se vediamo che le «leggi della guerra» che si è tentato di imporre ai costumi sono state così spesso tradite nello stesso Occidente, là dov’erano nate. Sarebbe assurdo non voler riconoscere questo parziale fallimento; ma sarebbe più assurdo ancora negare questo tentativo, e non vedere fino a che punto altre civiltà, siano lontane o vicine, non hanno neppure creduto di doverlo intraprendere. Il massacro sistematico dei nemici sconfitti in battaglia, la riduzione in schiavitù delle loro donne e dei loro figli non sono stati considerati dovunque – e molto ci manca! – contrari ai costumi ammissibili all’interno di civiltà che oggi va di moda esaltare proprio mentre, simmetricamente, si critica la civiltà europea, sia pure colpevole di abominevoli violazioni dei suoi stessi valori. Per lo meno, queste sono condannate come tali dalla morale pubblica, il che certo non basta, ma in qualche modo è confortante. Un ideale elevato, si sa, non è mai veramente raggiunto da quanti lo riconoscono come tale; ma lo è ancor meno da coloro che l’ignorano, lo rifiutano o lo disprezzano.

È ancora alla cavalleria che si deve una nuova percezione della donna, esprimentesi, in particolare, nell’apparizione del cosiddetto «amor cortese», sotto l’influenza combinata – e talora contraddittoria – della Chiesa e dei poeti profani delle corti cavalleresche. In questo nuovo ideale, e in certa misura anche nella realtà che questa ideologia contribuisce a trasformare, la donna non è più considerata soltanto come un ventre destinato alla procreazione per assicurare la discendenza familiare e trasmettere l’eredità, o come un semplice oggetto di piacere che l’uomo, il «maschio», prende a suo piacimento e viola al bisogno senza vergogna, ma come una persona a tutti gli effetti che va conquistata grazie ai propri meriti, attraverso l’interesse che si è capaci di suscitare per guadagnare i favori della Dama, obbedendo a certe regole di comportamento che sono all’origine dei valori più nobili della nostra civiltà occidentale. Certo, anche in quel caso si può discutere dell’ampiezza di questa rivoluzione dei costumi il cui lontano compimento non si è ancora pienamente realizzato nella nostra epoca, che pure è contrassegnata da un’effettiva promozione della donna. Bisogna almeno rimarcare che tale promozione, risultato di una marcia lenta e caotica verso la parità dei sessi, fino a questa «liberazione» della donna da cui la nostra civiltà trae motivo di onore, è nata proprio in Occidente all’epoca della cavalleria, e che essa non si è in alcun modo manifestata nelle altre civiltà a noi più vicine. Lo «scontro di civiltà» di cui oggi noi cominciamo a sentire i drammatici e dolorosi effetti riposa in parte sulle incomprensioni e le incompatibilità risultanti dal fatto che quei valori etici ai quali noi teniamo […] sono tanto profondamente ancorati nella nostra mentalità collettiva da farci credere che essi costituiscano dei «valori universali». Dei valori di cui «i diritti dell’uomo» costituiscono l’espressione, delle aspirazioni morali che noi crediamo comuni a tutte le civiltà, a tutte le culture, a tutti gli esseri. Ma non è affatto vero, e questa illusione provoca dei malintesi funesti, delle incomunicabilità che rafforzano i comportamenti autistici degli uni e degli altri, genera e perpetua l’odio. La nostra epoca, ne siamo pienamente consapevoli, si situa alla fine di un’era e dovrà, per sopravvivere, far emergere una nuova forma di civiltà che sappia oltrepassare queste incomprensioni, fondere o superare i valori diversi e contraddittori delle civiltà oggi in conflitto. Non è sicuro che essa ci riesca. Tuttavia sarà necessario, e la storia ci mostra la via.

Sotto questo aspetto la storia medievale è esemplare, e principalmente quella della cavalleria. Perché la cavalleria, che tanto ha contribuito a formare la nostra civiltà occidentale, è essa stessa nata proprio da una simile fusione, sorta da un precedente «scontro di civiltà». Ed è in questo che l’opera magistrale di Franco Cardini acquista oggi tutto il suo valore. Dalla prima pubblicazione del suo libro Alle radici della cavalleria medievale, numerosi studi si sono proposti di descrivere la cavalleria, di riconoscerne i diversi aspetti, le componenti, l’evoluzione e le influenze, i suoi rapporti con la nobiltà, il suo ruolo nella società, e si può dire persino che pochi temi sono stati tanto profondamente sondati e messi a frutto dai medievisti di valore, in Europa e altrove. Ma nessuno ha descritto con tanta pertinenza le lontane origini di questa cultura cavalleresca, che io ho creduto di poter chiamare la «preistoria della cavalleria». Nessuno ha sottolineato con tanta forza dimostrativa e altrettanta magistrale erudizione i diversi «scontri di civiltà» che hanno portato alla formazione di questa ideologia attraverso la fusione (o la lega) delle culture greco-romana e «germaniche», nomadi e sedentarie, cristiane e pagane, ecclesiastiche e profane. Questa lenta fusione di culture, per osmosi e reciproci prestiti, ha condotto alla formazione della civiltà medievale e, nel caso specifico, della cavalleria. Essa è sorta per gran parte dalla cristianizzazione più o meno profonda dei costumi degli invasori «barbari», ma anche, al contrario, dall’«imbarbarimento» (o, se si preferisce, dalla «germanizzazione») dell’antica società greco-romana. Le diverse attitudini degli uni e degli altri, sovente opposte, riguardo alla guerra, al modo di condurla, al valore accordato ai combattenti, hanno portato a un profondo conflitto ideologico che non ha potuto essere superato se non attraverso degli adattamenti e forse anche dei compromessi.»

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