
Il primo e più macroscopico effetto di tali premesse è che in Italia la destra finisce nel ghetto: maledetta nell’opinione pubblica, emarginata nel gioco politico, sottodimensionata nella rappresentanza politica. Caso unico nel mondo occidentale, essa non riuscirà a costituirsi per tutta la cosiddetta Prima Repubblica come polo competitivo della sinistra. Seconda conseguenza: il sistema politico si assesterà sulla base di tre poli, il Centro, unica area politica legittima (Dc e partiti laici, dopo il 1963 anche i socialisti), la Destra illegittima (perché sleale con le istituzioni repubblicane), la Sinistra legittima sul piano istituzionale, ma illegittima in base alla frattura dell’anticomunismo, esplosa con la guerra fredda e destinata a rimanere operativa fino alla caduta del muro di Berlino. Terza conseguenza: la solidarietà dei partiti antifascisti resta in una sorta di ininterrotta latenza, pronta a scattare quando le basi della democrazia sono in pericolo.. È anche la formula di governo che periodicamente riemerge, soprattutto nei momenti di grave crisi politica (come in presenza del terrorismo negli “anni di piombo”, del pericolo eversivo rappresentato dalla “strategia della tensione”, della stag-inflazione degli anni Settanta). Quarta conseguenza: si realizza una stabile asimmetria tra il quadro politico-istituzionale dominato dai partiti dell’arco costituzionale e dal pensiero del “politicamente corretto” da loro ispirato da una parte e l’opinione pubblica che non si riconosce o che è apertamente contraria all’indirizzo e all’equilibrio politico dominanti dall’altra. Si tratta di un “sommerso della Repubblica”, comunemente chiamato “maggioranza silenziosa”. Questa fa capolino in modo rumoroso ma effimero al tornante degli anni Settanta. Per il resto si comporta come un fiume carsico che non si vede ma che non per questo è politicamente ininfluente. Funge infatti stabilmente da contrappeso alla sinistra ed è corteggiata da tutti i partiti avversari dei socialisti e comunisti: dal Msi (con poco successo), dai liberali di Malagodi (con successo limitato) negli anni Cinquanta e Sessanta, dalla Dc (con grande successo) sempre.
La crisi delle ideologie, in progressiva accentuazione nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, erode le basi morali, prima ancora che politiche, della Prima Repubblica: la Repubblica fondata sul ruolo protagonista dei partiti, su un sistema politico tripolare dove solo il Centro è legittimato a governare, dove non è praticabile l’alternanza, dove è inamovibile il partito dominante (la Dc) e dove diventa prassi corrente la cooptazione del ceto politico: condizione per il dilagare inevitabilmente, prima o poi, della corruzione nella vita pubblica.
Il colpo di grazia all’ordine politico uscito dal secondo conflitto mondiale è inferto dalla caduta dell’Urss. Crolla l’argine che ha tenuto fuori gioco in Italia la sinistra e che ha fornito una sponda al centro, ossia alla Dc, permettendole di tenere strette nelle sue mani le leve del governo ininterrottamente per cinquant’anni. A meno di far franare l’equilibrio politico a sinistra, non restava che abbattere anche l’argine, peraltro già eroso, che aveva condannato nel ghetto la destra. Ha favorito il suo rientro nel gioco politico anche il collasso generale dei partiti di governo. Questi sono stati travolti dalla valanga di Tangentopoli che ha raso al suolo ogni presenza politica della Prima Repubblica e spinto l’opinione pubblica a reclamare di abbattere i caposaldi dell’odiata partitocrazia imperante : ossia il sistema elettorale proporzionale (abolito dopo il successo travolgente dei referendum del 1991 e del 1993) e il parlamentarismo assembleare (mai abolito de iure, ma superato di fatto, almeno fino ad oggi).
La Seconda Repubblica è rimasta, però, un’incompiuta, mai tradotta in un vero nuovo assetto costituzionale che desse un fondamento legittimo alla fragile sperimentazione del bipolarismo. Col progressivo, inarrestabile declino del sistema di partiti che nei primi decenni del dopoguerra sono stati i grandi protagonisti della Repubblica, capaci, grazie alla loro presa ideale e organizzativa, di sviluppare e sostenere la democrazia parlamentare di massa, quest’ultima – e, più in generale, la politica in quanto tale – era inevitabile che venisse “sempre più spogliata della sua componente popolare” e finisse per esser percepita “sempre più lontana dal demos“. Sta qui, insieme alla perdita di valore delle vecchie categorie di destra e sinistra e alle dinamiche destabilizzanti introdotte dalla globalizzazione, il precedente che ha scavato una fossa sotto i piedi delle forze politiche tradizionali e aperto la strada all’emergerne di nuove, decise a superare la stessa democrazia delegata, accusata di aver spogliato il popolo della sovranità a vantaggio dell’establishment.