“Alle origini degli arabi. Un viaggio nell’archeologia dell’Arabia Saudita” di Romolo Loreto

Prof. Romolo Loreto, Lei è autore del libro Alle origini degli arabi. Un viaggio nell’archeologia dell’Arabia Saudita, pubblicato da Mondadori: quali ricchezze archeologiche nasconde l’Arabia Saudita?
Alle origini degli arabi. Un viaggio nell'archeologia dell'Arabia Saudita Romolo LoretoNel panorama delle culture che rientrano nella definizione di Vicino Oriente antico, l’Arabia Saudita rappresenta, ad oggi, la regione più scarsamente indagata. Per tale ragione, fino agli inizi del 2000, si è erroneamente pensato che questa fosse un’area che in passato fu solo marginalmente occupata da nomadi, rare oasi tra distese desertiche e vie carovaniere.
La realtà è ben diversa. Da circa quindici anni, decine di missioni archeologiche ed epigrafiche hanno moltiplicato le scoperte di nuovi siti archeologici ascrivibili ad un arco temporale vastissimo, dalle epoche paleolitiche della preistoria ai regni carovanieri del Nordarabia del I millenio a.C., sino all’avvento dell’Islam.
Per comprendere la ricchezza del patrimonio storico e archeologico dell’Arabia antica è necessario comprendere un punto di fondamentale importanza. Il paleo clima dell’Arabia era radicalmente diverse da quello attuale. Si parla, a buon diritto, di Arabia Verde. Gli studi geomorfologici hanno dimostrato che l’attuale conformazione in gran parte desertica dell’Arabia è un fenomeno recente, dovuto a un processo di costante inaridimento innescatosi circa 6000 anni orsono. Prima di allora, l’Arabia era solcata da una miriade di corsi d’acqua più o meno grandi, nonché costellata da laghi che fornirono abbondante sostentamento a una fauna e a una flora che attirarono l’uomo sin dal Paleolitico, a partire da un milione e mezzo di anni addietro e con alternanze più o meno lunghe di fasi aride e umide.
Pertanto, l’Arabia si presenta come una delle più ricche aree archeologiche del Vicino Oriente antico per quanto riguarda le culture preistoriche, dal ruolo di ponte di passaggio dei primi ominidi, come l’Homo Erectus, dall’Africa verso l’Asia, alle capillari comunità nomadi e semi nomadi dell’era neolitica, che hanno lasciato decine di migliaia di siti archeologici sparsi lungo paleo laghi e paleo corsi d’acqua. Si tratta di comunità di cacciatori raccoglitori che, grazie all’abbondante fauna e flora, poterono sopravvivere facilmente senza la necessità di praticare un’agricoltura sistematica e sedentarizzarsi in città e villaggi. Infatti, se le prime comunità di villaggio del Vicino Oriente antico risalgono all’ottavo millennio a.C., in Arabia compaiono almeno due millenni dopo.
Se ci affacciamo nel I millennio a.C., ovvero nell’epoca storica dei regni carovanieri dell’Arabia settentrionale, tra cui i Lihyaniti e i Nabatei, e delle grandi oasi che gestirono il commercio carovaniero, dobbiamo, ancora una volta, riferirci all’ambiente geografico e alla sua particolare conformazione, che determinò specifiche modalità di insediamento.
Con la desertificazione, causata dall’indebolirsi dei monsoni provenienti da sud, i regimi di piovosità collassarono e le risorse idriche di superficie vennero meno. Tuttavia, millenni di abbondanza dettero vita, in determinate aree vallive, a falde freatiche particolarmente ricche d’acqua, dove nacquero le oasi.
Emergono, quindi, poche ma ricche e feconde oasi urbane, Qurayyat, Tayma‘, Dumat al Jandal, Dedan, Yathrib (l’antica Medina), Makoraba (l’antica Mekka), Hegra, Thaj, Qaryat al-Faw, ecc., che furono il fulcro di regni votati al commercio delle spezie prodotte più a sud, nell’Arabia Felix.

Quali popoli hanno abitato la Penisola arabica dalla preistoria all’avvento dell’Islam?
Le fonti storiche permettono di essere molto dettagliati per il periodo compreso tra il I millennio a.C. e l’avvento dell’Islam, meno si può dire dell’epoca preistorica, poiché sono praticamente assenti i rinvenimenti osteologici. Tuttavia, sulla base dei confronti delle tecnologie litiche e dei moderni studi di archeogenetica sul DNA mitocondriale, si è potuto accertare il passaggio dall’Africa verso l’Asia, attraverso la Penisola, dell’Homo Erectus, durante il Paleolitico inferiore, circa un milione e mezzo di anni fa, e dell’Homo Sapiens, nel Paleolitico superiore, intorno ai sessantacinque mila anni fa. Per il periodo successivo, il Neolitico, possiamo ricostruire l’esistenza di comunità di nomadi cacciatori raccoglitori, verosimilmente in contatto con genti provenienti dal Levante, se si presta fede ai rinvenimenti di punte di freccia di tradizione Siro-palestinese in siti arabici.
All’alba dell’Età del Bronzo, tra il V e il III millennio a.C., prende vita un dimorfismo culturale che caratterizzerà l’Arabia fino ad oggi, ovvero la compresenza di genti sedentarie, che si muovono attorno alle nascenti oasi, e genti nomadiche, che continuano a seguire un regime di vita mobile e le cui tracce sono giunte fino a noi in forma di sepolture a torrette localizzate lungo le vie carovaniere.
Con l’epoca storica disponiamo di diverse fonti scritte che permettono di definire, almeno in parte, il popolamento dell’Arabia: i libri dell’Antico testamento, gli annali dei sovrani assiri, le fonti neobabilonesi, gli autori greco-romani, le fonti arabiche dal regno di Himyar e, non ultimi, gli autori arabi medievali.
I testi biblici riferiscono delle dodici tribù arabe del deserto che fanno capo ai dodici figli di Ismaele (Genesi 25: 13-16), alcune delle quali sono citate nelle fonti assire di IX-VII sec. a.C.: Duma, Qedar, Nebayot, Massa’ e Teima, alle quali si aggiunge la tribù di Tamud. Gli annali assiri, inoltre, citano gli ‘arab, un raggruppamento di popoli semi nomadi ai quali questo termine si riferisce secondo un’accezione di tipo etnico più che a un’entità politica. Ed è questa, in assoluto, la prima menzione del termine “Arabi” nella storia. Gli annali riportano i nomi di re (šar in accadico) e regine (šarrat). La formazione tribale più citata è Qedar e si parla sovente di un re di Qedar affiancato a una regina degli ‘arab, la cui capitale è Adummatu, l’oasi di Dumat al Jandal.

Con la caduta dell’impero assiro nel 612 a.C., e l’avvento della Babilonia caldea, il centro di potere del Nordarabia si sposta da Adummatu a Tayma‘, dove per circa dieci anni risiederà il sovrano neobabilonese Nabonedo (555-539 a.C.).
Quando nel 539 a.C. Ciro II conquista Babilonia, in Nordarabia emerge una nuova entità, il regno di Lihyan, con capitale Dedan. Inizia ora una fase particolarmente ricca per le genti dell’Arabia settentrionale, e anche per quelle meridionali, grazie al commercio carovaniero.
Il IV sec. a.C. rappresenta l’apogeo del commercio carovaniero, con due regni nordarabici in stretto contatto con il mondo mediterraneo ellenistico e poi romano: il regno di Gerrha e il regno nabateo. Gerrha, la cui possibile identificazione è l’odierna Taj, in Arabia orientale, dovette rappresentare il fulcro di un regno che, tra il IV e il I sec. a.C., sotto l’impulso delle conquiste di Alessandro Magno fece da tramite tra il Sudarabia e la Mesopotamia per il trasporto delle spezie. Sul versante nordorientale della Penisola, dal IV sec. a.C. emerge il regno nabateo, con capitale l’oasi di Petra. La presenza dei Nabatei in Arabia si registra a partire dal II sec. a.C., in due oasi che assumono un ruolo di primo piano nella regione, Hegra e Dumata, l’antica Adummatu.
La ricchezza del regno Nabateo (si pensi che le tasse sulle carovane che trasportavano le spezie corrispondeva al 25% del valore dei prodotti) spinse l’imperatore romano Traiano, tra il 105 e il 106 d.C., a creare la Provincia Arabia.
Alla metà del IV secolo d.C. il controllo romano in Arabia cessa, e le genti locali cominciano a riferirsi a se stesse come agli Arabi, e non solo con il nome della tribù di appartenenza. Emerge, quindi, una identità araba che troverà compimento all’alba della predicazione del profeta Muhammad.

Il commercio carovaniero era alla base dell’economia arabica.
Il commercio carovaniero, in realtà, fu solo una, per quanto lucrosa, delle ragioni per le quali le oasi prosperarono. All’origine di tutto vi fu il sistema agricolo che ogni oasi riuscì a impiantare, basato su articolati sistemi di canalizzazioni, dighe e scavo di pozzi e canali sotterranei. Poste a una distanza grosso modo regolare l’una dalle altre, le oasi divennero delle tappe forzate in un percorso che attraversava tutta la Penisola da sud verso nord. Il commercio carovaniero divenne, quindi, una parte consistente nell’economia arabica, così come un elemento imprescindibile di internazionalizzazione, poiché assieme alle merci viaggiarono anche uomini e idee.
Erodoto di Alicarnasso riferisce che l’ultima delle terre abitate, l’Arabia meridionale, profuma di divina dolcezza e vi si trovano l’incenso, la mirra, il cinnamomo, la cassia, la cannella e il ladano. In epoca ellenistica Eratòstene di Cirene è forse il primo autore a parlare di Arabia Eudaimôn (o Arabia Felix per gli autori romani) esaltando la fertilità e la ricchezza di quelle terre. All’epoca di Ottaviano Augusto la richiesta di aromi dovette salire a tal punto che l’imperatore romano incaricò il prefetto d’Egitto Elio Gallo di prendere possesso delle aree produttive e delle rotte attraverso le quali erano condotti i traffici delle spezie. Sebbene la campagna si concluse rovinosamente con una fuga precipitosa, Elio Gallo fornì una serie di notizie di prima mano sulle regioni nabatee e sudarabiche rielaborate poi da Strabone di Amasia e da Plinio il Vecchio, tra le fonti più utili, assieme a Claudio Tolomeo e alle fonti epigrafiche e archeologiche sudarabiche, per ricostruire il sistema di traffici carovanieri che caratterizzò tutta l’area occidentale della Penisola nel I millennio a.C.
Quello che sappiamo oggi è che le aree di produzione di spezie e aromi, incenso e mirra in particolare, erano localizzate nello Hadramawt (Yemen orientale) e nel Dofar (Oman occidentale) ed erano gestite da un potere religioso. I prodotti erano raccolti e fatti convergere a Shabwa, la capitale dello Hadramawt. Da qui venivano poi smerciati assieme a tanti altri beni (alabastro, tessuti, legname, ecc.) sia nelle grandi città dei regni carovanieri, dove gli scambi commerciali ruotavano attorno a importanti mercati urbani regolamentati da editti reali, sia lungo le tappe di sosta che scandivano il percorso delle carovane in Arabia, attraverso il regno nabateo e il regno di Gerrha o nelle oasi di Tayma‘, Dedan e Dumat al Jandal. Infine, le carovane raggiungevano un vero e proprio circuito internazionale che coinvolgeva l’Egitto, il Levante, l’Assiria, Babilonia e il Mediterraneo. Questo sistema restò in uso per quasi tutto il I millennio a.C., quanto meno dall’VIII sec. a.C., quando le fonti nominano le prime carovane di Saba e Tayma‘, al volgere dell’era cristiana, quando viene compreso il sistema dei venti monsonici e il trasporto delle merci avviene per via marittima, dietro il particolare impulso dei romani, che miravano ai prodotti e beni di lusso dal Mar Mediterraneo all’India.

Quali influenze ebbero i romani sui popoli arabici?
La presenza romana in Arabia non fu tanto duratura quanto in altre regioni dell’impero, il che determinò un processo di romanizzazione non omogeneo e molto limitato. Quando Traiano creò la Provincia Arabia (105-106 d.C.), che in gran parte coincideva con il regno dei Nabatei (l’Arabia Petraea delle fonti classiche), scelse come capitale Bosra, mentre Petra divenne una metropoli. Queste e altre città, come l’odierna Amman, videro un processo di monumentalizzazione caratteristico, con la costruzione di teatri e templi, per dirne alcuni, e l’adozione, almeno a livello ufficiale, del Latino, testimoniata da un gran numero di epigrafi.
Le aree arabiche vere e proprie, che i romani chiamavano Arabia Deserta (a nord) e Arabia Felix (a sud), furono investite molto più marginalmente dalla cultura romana, le cui epigrafi non vanno oltre il 360 d.C. circa. Nel Nordarabia, solo Hegra e Dumata videro la costruzione di opere monumentali da parte dei romani, e sempre relative a scopi militari, cioè forti per il controllo della via carovaniera e del Limes Arabicus, dove risiedevano gli stationarii, preposti al controllo delle carovane, o truppe cammellate che contribuissero, come forza mobile, al controllo dei confini. Qualcosa di simile fu impiantato anche nelle isole Farasan, nel Mar Rosso, al confine tra l’Arabia Saudita e lo Yemen, dove verosimilmente stazionava una flotta preposta al controllo della rotta marittima. Dunque, Roma non ebbe modo di controllare in maniera capillare un territorio tanto vasto, se non nelle sue propaggini settentrionali, verso l’attuale Giordania, ma la sua cultura e le sue mode riuscirono comunque a raggiungere regioni tanto estreme.
In Arabia vi sono esempi di statuaria in pietra e in bronzo che risentono degli influssi artistici del mondo mediterraneo, così come vi è traccia del culto di Dioniso. Ma è soprattutto da un punto di vista economico che la presenza romana ebbe ripercussioni in Arabia, poiché spostò le rotte commerciali da terra via mare, dando nuova linfa a un sistema in decadenza incentivando gli scambi con l’India e facendo dei porti arabici sul Mar Rosso e Mare arabico una tappa intermedia verso l’Oceano Indiano.

Quali sono i principali siti archeologici nella Penisola arabica?
La ricchezza del patrimonio archeologico dell’Arabia antica, a volerla sintetizzare quanto più possibile, si compone di due tipi di siti. Da un lato vi sono i siti preistorici, comunemente caratterizzati da spettacolari paesaggi desertici o montuosi, ripari in grotte, tombe a torretta o a tumulo e pareti velate dalla vernice del deserto dove sono graffite scene di caccia, divinità o figure umane danzanti, simboli rituali, duelli di uomini a cavallo o a dorso di dromedario, teorie di animali selvatici o domestici, ecc.; dall’altro, le oasi urbane. Da sud verso nord, seguendo il percorso della via carovaniera, si incontrano siti la cui storia plurimillenaria si intreccia con le vicende dei grandi imperi di Roma, Bisanzio, Aksum e della Persia e dei regni dell’Arabia meridionale, come Saba.
Risalendo dallo Yemen, il primo sito che si incontra è Najran, una imponente città fortificata in una ampia vallata agricola. Qui, dal VII sec. a.C. è attestato un regno locale e dal IV secolo a.C. è edificata la città, l’odierna al-Ukhdud (“il fossato”), il cui nome deriva dall’episodio del massacro della comunità di cristiani residenti da parte di un re giudaico himyarita nel V sec. d.C.. Risalendo, più verso est, si incontra Qaryat al-Faw, un’oasi ai margini occidentali di uno dei più grandi deserti al mondo, il Quarto Vuoto (Rub’ l-Khali). Nelle fonti sudarabiche Qaryat al-Faw è anche detta “la città del paradiso”, poiché rappresentava un’isola verdeggiante isolata nel deserto. Priva di mura, poiché protetta dal vuoto sabbioso, ha restituito una vasta area urbana tra cui spicca l’unico caravanserraglio di epoca pre-islamica che si conosca. Qui, i numerosi scavi archeologici hanno portato alla luce una cultura cosmopolita che ha risentito di molteplici influenze dai regni dell’Arabia del sud, ma anche dalle civiltà ellenistica e romana.

Proseguendo a nord, nell’Arabia centroccidentale, si incontrano Mecca e Medina, Fadak e Khaybar, con i siti costieri di al-Wajj e Yanbu. Le fonti ci parlano della ricchezza di queste oasi in epoca pre-islamica, quali importanti tappe nella via carovaniera e, nel caso di Mecca, luogo di culto pre-islamico, nonché dell’avvento dell’Islam.
Ancora più a nord, le grandi oasi di Tayma‘, Dedan e Hegra, tra le più vaste aree urbane della Penisola arabica in epoca pre-islamica, e Dumat al-Jandal, incuneata lungo i margini settentrionali del deserto del Nefud. Questi siti furono determinanti nello sviluppo storico dell’Arabia antica e conservano traccia della grandezza dei regni che qui sorsero. Tayma‘, in particolare, è il più antico esempio di sito urbano in Arabia, le cui mura di fortificazione furono edificate sin dalla fine del III millennio a.C. e i cui rapporti con il mondo esterno si allacciano all’Egitto faraonico del II millennio a.C.
Ma non è certo tutto, molti nuovi siti emergono dalle foschie del passato grazie alle fonti antiche, sappiamo da Plinio il Vecchio che Alessandro Magno fondò tre città in Arabia orientale, non lontano dall’antica Gerrah, probabilmente da identificare con l’odierna Thaj, una immensa città che solo oggi si sta cominciando a indagare. Ancora altri siti di epoca storica si conoscono grazie a semplici prospezioni di superficie e attendono di essere scavati. Si tratta, dunque, di un contesto storico e archeologico estremamente giovane, dove queste discipline solo da pochi anni hanno cominciato a delineare lo sviluppo di culture complesse che furono intimamente legate al mondo mediterraneo e vicino orientale antico.

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