“Alle fonti del teatro. Documenti per la storia dello spettacolo in Occidente” a cura di Francesco Cotticelli e Luigi Allegri

Prof. Francesco Cotticelli, Lei ha curato con Luigi Allegri l’edizione del libro Alle fonti del teatro. Documenti per la storia dello spettacolo in Occidente, pubblicato da Carocci: in che modo il teatro ha segnato la storia dell’Occidente?
Alle fonti del teatro. Documenti per la storia dello spettacolo in Occidente, Francesco Cotticelli, Luigi AllegriL’ha segnata, l’ha accompagnata, dando all’Occidente alcuni dei più grandi capolavori e alcune delle più importanti occasioni di riflessione sulla storia, sull’uomo, sull’arte. D’altronde, non è possibile immaginare il mondo senza il teatro, una società senza il teatro: un bisogno, una necessità legata all’esigenza del racconto, a scambiarsi idee, a trovare un senso e una ragione a quel che accade dentro e fuori di noi. Insostituibile. E conoscerlo più a fondo è un’altra necessità dei nostri tempi, e dei nostri percorsi formativi.

Nella sua storia millenaria, quali sono state le fasi principali dell’evoluzione di quest’arte?
Gli snodi decisivi sono stati tanti: alcuni forse possono essere oggetto di riflessione per lo spettatore contemporaneo più di altri. Mi viene da pensare al lento passaggio del teatro dalla sfera liturgica che contraddistingue la tragedia antica all’attività ludico-culturale del mondo tardo-antico, con la scena del Novecento che, nelle sue punte più avanzate, ha provato quasi un cammino a ritroso, per recuperare la “necessità” del teatro. Oppure alla nascita del professionismo teatrale e al lungo pregiudizio contro gli attori, una dimensione incomprensibile in un’epoca di divismo diffuso come la nostra. E ancora l’esplosione degli spazi e dei generi che caratterizza tutta la ricerca dalle Avanguardie e oltre, Tanti motivi per riflettere, ancora oggi.

Dopo i fasti greci e romani, il teatro, nel Medioevo, in un certo senso, si inabissa: che rapporto esisteva tra cultura cristiana e teatro?
Un rapporto difficile, per vari motivi. Per il Cristianesimo delle origini il teatro è un’eredità pagana, una finzione non necessaria, un’inutile de-formazione del Creato, una tentazione costante. E diventa oggetto di una damnatio memoriae senza precedenti: si estirpa persino il ricordo, l’idea che sia esistito. Un fenomeno che dovrebbe far riflettere, sempre: dimenticare una storia come progetto culturale. D’altra parte, passano i secoli e la cultura cristiana non può non accorgersi del potenziale straordinario che la scena possiede nel trasmettere messaggi, coinvolgere il pubblico. E prova a rimetterla in moto, secondo dinamiche molto articolate, complesse, distinguendo sempre fra il medium e i suoi artefici. E inventando in fondo qualcosa di molto diverso da quello che era stato nei secoli dell’antichità. Così, il teatro rinasce, ma il discredito verso i “professionisti” del teatro non viene meno. Quest’attrito è uno dei fenomeni più fascinosi e sconvolgenti nella storia di quest’arte, ed è anche all’origine di quelle strategie di difesa e di attacco che da sempre il mondo degli attori e dei teatranti ha messo in campo per sopravvivere, per garantirsi spazi. In fondo, per resistere nel tempo.

Quale importanza riveste, per la storia del teatro, la Commedia dell’Arte?
Qui credo sia necessaria una precisazione. La Commedia dell’Arte è una formula che a partire dalla metà del Settecento ha descritto un modo di fare teatro che stava declinando. Di per sé indica solo il teatro fatto da attori di professione, secondo il significato che la parola arte aveva nell’italiano antico. La tendenza comune però resta quella di identificarla con il metodo dell’improvvisazione praticato dai “comici” in età moderna, l’uso di ricomporre il tessuto verbale dello spettacolo combinando pezzi chiusi come monologhi, dialoghi, tirate, concetti, che appartenevano al bagaglio di ciascun ruolo, il vecchio, l’innamorato, il capitano, la servetta, lo zanni, seguendo le istruzioni di un “soggetto”, un’ossatura di trama.  Oggigiorno il termine improvvisazione viene usato senza la consapevolezza della disciplina – e della cultura – che essa comportava, e senza pensare alla “complicità” del pubblico, che apprezzava i meccanismi del recitare all’impronto e valutava i virtuosismi degli interpreti, spesso, soprattutto nella fase pionieristica del fenomeno, capaci di scriversi in autonomia i loro brani.

Ovviamente, l’importanza del fenomeno è grandissima. L’espressione “commedia all’italiana” non è nata con il cinema della metà del Novecento, ma nel cuore dell’età moderna, per indicare proprio questo metodo tipico della nostra penisola quando si diffuse in tutta Europa. E, se si parla di commedia dell’arte, si parla del rilievo che l’attore ha nel costruire l’intero spettacolo, la capacità di realizzare e di realizzarsi drammaturgicamente – un asse portante nella storia del teatro, soprattutto del teatro italiano.

Quale rivoluzione ha inaugurato il teatro del Novecento?
Parlando del Novecento e dell’Ubu re di Alfred Jarry, Franco Perrelli ha scritto nel volume che il secolo si inaugura con la crisi dell’unica e più logica delle unità aristoteliche, l’unità d’azione. È un esempio folgorante di una più generale attitudine a mettere in discussione istituzioni che da secolo avevano sorretto l’attività teatrale: si pensi anche alla riconsiderazione dello spazio, che attacca le strutture canoniche e vede nell’evento scenico la capacità di teatralizzare qualunque ambiente, o a un percorso della ricerca della regia in cerca di affermazione che ridimensiona la parola nell’ottica di una armonizzazione e rifunzionalizzazione di tutti i codici. Ma ancora, per dirla con Donatella Orecchia, si contestano «il principio di verisimiglianza e di illusione; la subordinazione di un codice linguistico a un altro (in particolare a quello letterario); la definizione di uno spazio e di un’azione unitari, di un tempo continuo; la recitazione intesa come rappresentazione di qualcosa o di qualcuno (personaggio). In particolare, poi, è proprio il rapporto fra arte e vita a venire ridiscusso: la loro distinzione minata o problematizzata, mentre la priorità della ricerca si sposta dall’oggetto alla relazione (e alla qualità delle relazioni: fra gli attori, con gli spettatori, con lo spazio, con la società)».

Dalle avanguardie al teatro dell’assurdo alla scrittura scenica è tutto un ripensamento continuo, uno svuotare convenzioni, un impegno spasmodico ad adeguare la scena alle sfide del mondo contemporaneo e al racconto di un’umanità sempre più smarrita. Quest’ansia di rivoluzione è sorretta da un’idea di fondo: la specificità e l’autonomia estetica del teatro nel sistema delle arti. Sotto un altro profilo, il principio di base per la nascita delle discipline dello spettacolo.

Quali, tra i numerosissimi documenti contenuti nel volume, ritiene i più significativi?
Il volume è un’antologia di fonti: quel che si legge è il frutto di una selezione accurata, che tende a indicare i documenti più significativi all’interno delle epoche e dei fenomeni teatrali considerati. Certo, è impossibile resistere alla fascinazione della Poetica di Aristotele, alle scene serliane, ai brani di Shakespeare e di Molière che illuminano un mondo, presente e futuro, o alle riflessioni teoriche dei primi registi con la loro passione e la loro cerebralità. Ma vorrei sottolineare un punto: saper cogliere il potenziale informativo di ogni tipologia di documento e la necessità che lo studioso ha di rintracciare idee e riflessioni sul teatro in un trattato come in una lettera privata, in un testo drammatico come in un ritratto, un articolo di giornale, un’intervista, una pittura vascolare, una memoria autobiografica. La storia del teatro si costruisce combinando grandi monumenti e piccoli tasselli, che bisogna saper scovare ancor prima di leggere, analizzandoli, confrontandoli, verificandoli. Di qui l’invito, nella Prefazione, ad andare oltre, e a muoversi anche oggi, nella costellazione dello spettacolo, a vedere come l’arte e gli artisti si raccontano, e quali tracce lasciano di sé.

Francesco Cotticelli è professore associato di Discipline dello spettacolo all’Università di Napoli Federico II. Si è occupato prevalentemente di storia del teatro sei-settecentesco, con particolare riferimento alla diffusione del teatro professionistico in Europa, ai meccanismi di gestione e amministrazione, ai canovacci e alla librettistica metastasiana. Ha curato l’edizione bilingue (italiano-inglese) di importanti fonti per la studio della Commedia dell’Arte.

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