“Alla ricerca della città di Omero. Viaggi ed esplorazioni a Troia dal XVI al XIX secolo” di Marina Guarente

Dott.ssa Marina Guarente, Lei è autrice del libro Alla ricerca della città di Omero. Viaggi ed esplorazioni a Troia dal XVI al XIX secolo edito da Aracne: quale rilevanza assunse nei secoli la questione dell’identificazione del sito dove sorgeva la città di Priamo?
Alla ricerca della città di Omero. Viaggi ed esplorazioni a Troia dal XVI al XIX secolo, Marina GuarenteIl mito di Omero e della guerra di Troia ha suscitato e suscita tuttora un innegabile fascino nell’immaginario comune. Fin dai tempi antichi ci si è interrogati sulla figura dell’autore, sulla genesi delle sue opere e sul contesto in cui gli eventi descritti si svolsero. Se per i Greci questi interrogativi furono posti in maniera poco sistematica, poiché non vennero quasi mai negate l’esistenza del poeta e la veridicità di quanto raccontato nelle sue opere, ciò non è altrettanto vero per l’epoca moderna, che vide infatti la nascita della celebre questione omerica. È necessario, tuttavia, che alla questione letteraria vengano accostate questione cronologica e questione topografica: almeno a partire dal Cinquecento, infatti, trovare una collocazione reale alla guerra di Troia divenne funzionale alla dimostrazione dell’autenticità degli eventi narrati e, di conseguenza, dell’esistenza dello stesso poeta. Parallelamente, il recupero di un passato mitologico passava anche attraverso l’esplorazione geografica, la quale si configurava come mezzo di acquisizione diretta di notizie, registrate poi in forma scritta attraverso resoconti di viaggio, diari, trattati odeporici, etc. Inoltre, il paesaggio, il dettaglio geografico, il singolo ritrovamento divennero veicolo per una riattualizzazione di tradizioni antiche, espressione di una cultura che richiedeva di essere recuperata come antecedente illustre del presente. Grazie alla commistione tra critica letteraria e approfondimento topografico, le parole di Omero vengono riportate a una centralità negata da tempo, corroborate finalmente dai reperti, dai monumenta e dalle ambientazioni, che conferiscono loro evidenza sensibile.

Quali ipotesi di localizzazione della città vennero sviluppate in epoca pre-schliemanniana?
Una mole impressionante di studiosi e non sentì l’esigenza, fin dall’antichità, di esprimere la propria opinione sulla collocazione della città di Troia. Autori come Lesche di Mitilene, Ellanico di Lesbo, Erodoto, Strabone tentarono di ricostruire un’immagine fededegna dei luoghi omerici e offrirono diverse ipotesi di localizzazione: Alessandria di Troade, Ilium Novum, Pagus Iliensis sono solo alcune delle realtà identificate di volta in volta con la città omerica. Pur non essendo stata posta una soluzione definitiva, bisogna tener conto dell’esistenza per gli antichi di un assunto innegabile: il poeta dell’Iliade e gli avvenimenti da lui narrati così come lo scenario in cui essi si erano svolti, cioè la città di Troia, avevano una consistenza storica. Poco importavano le disparità di identificazione: ciò che davvero contava erano le conseguenze derivate dall’episodio, fautrici della creazione dell’idea stessa di appartenenza a una Grecità collettiva e condivisa.

Almeno a partire dal XV secolo, invece, grazie all’attività pioneristica di personaggi quali Cristoforo Buondelmonti e Ciriaco de’ Pizzicolli, l’esplorazione archeologica diventa fonte di conoscenza e supporto alla lettura delle fonti. Anche in questo caso, però, non vi è concordanza di identificazione di Ilio con le evidenze materiali della Troade, almeno fino all’epocale scoperta di Heinrich Schliemann, il quale certamente conobbe il pregresso dibattito secolare.

Quali furono i viaggi e le perlustrazioni sul sito della città più significativi, tra quelli susseguitisi nei secoli?
Personalità diverse quelle degli autori presi in esame, ognuna con i suoi meriti precipui: Pierre Belon fu il primo viaggiatore in età moderna a farsi forte della riscoperta di Omero come fonte topografica e della rivalutazione di un uso congiunto di filologia ed esplorazione su campo. Dopo di lui, Pietro Della Valle partì alla volta dell’Impero Ottomano con spirito dilettantistico, gusto antiquario per la curiosità, potente soggettività che si muove nel solco di uno spirito di tolleranza e profonda religiosità cristiana e un’attenzione costante per le fonti, prime tra tutte lo stesso Belon e Virgilio. Al ‘700 si ascrive una figura notevole nel panorama della storia degli studi, quella di Mary Wortley Montague, unica donna a compiere un viaggio in Troade: ella può essere considerata una pioniera nella conquista delle libertà femminili, agendo con acuto spirito di osservazione e perfetta padronanza delle fonti, Omero in primis. Vi fu anche chi, come John Montague IV conte di Sandwich, pur non avendo la possibilità di approdare sul suolo troiano, sentì comunque l’esigenza di dare il proprio contributo alle ricerche, descrivendo le rovine osservate con il binocolo dalla sua imbarcazione. Membro della Società dei Dilettanti e sostenitore della necessità di leggere l’Iliade nei luoghi descritti come testimonianza affidabile e veritiera, accostando alla storia della composizione del testo una visione geografica d’insieme, fu Robert Wood. Seguendo pedissequamente Omero, egli ricostruì tutti i particolari topografici ricavabili dal poema e dedusse l’esistenza di cambiamenti geomorfologici imponenti che avrebbero distrutto le tracce di Ilio e impedito una totale collimazione tra testo ed evidenza materiale. Interessante anche il rapporto tra Lazzaro Spallanzani e Jean-Baptiste Lechevalier, emblema della coesistenza e della compartecipazione di due prassi apparentemente antitetiche: da un lato Spallanzani rappresenta l’integrazione tra discipline naturalistico-geologiche e filologia, dall’altro Lechevalier l’erudizione classica dalla quale trascolorano elementi di novità. L’uno è emblema della modernità sorretta dalla trazione, l’altro di un approccio “vecchio” ma basilare. Richard Chandler visse in uno scenario in cui totale era la compartecipazione, la condivisione di interessi, oneri e onori ad opera di enti pubblici, circoli letterari ed associazioni che partecipavano in egual misura al recupero dell’antico.

Nonostante la diversità di metodologie e personalità, la chiave per approcciare gli autori qui analizzati è stata individuata nel loro rapporto con le fonti, in primis con Omero. Ciò che, di fatti, è emerso dal volume è che la storia di un’idea, (talvolta quasi un’ossessione), generata dal desiderio di trovare un sito tangibile nel quale potersi figurare gli eventi raccontati dall’autore, assume carattere totalizzante, investendo l’unità di pensiero degli studiosi di ogni epoca. Se da un lato, elementi essenziali della “questione topografica omerica” risultano la modernità di approccio e le nuove tecniche di indagine, dall’altro essi vanno di pari passo con la lettura delle fonti, con il riferirsi ad Omero come punto di partenza e di approdo di tutta la problematica. Come evidenziato da Federico Rausa, il mio Professore e il mio maestro, Omero si spiega con Omero.

Quali vicende segnarono l’impresa archeologica di Heinrich Schliemann?
Quella di Heinrich Schliemann è una figura che potrebbe essere stata inventata di sana pianta da uno scrittore dotato di spiccata potenza narrativa: uomo dall’intelligenza acuta, fattosi da sé nonostante le modeste origini, egli seppe capovolgere la sorte avversa, ricavare da ogni avvenimento forza e positività per non soccombere e portare a termine il progetto che si era prefissato dalla prima infanzia. Egli allontanò l’archeologia dall’interesse e l’ammirazione per il singolo oggetto d’arte, dimostrando che lo stato complessivo di una civiltà, con la sua relativa collocazione materiale e temporale, risultavano più importanti del reperto particolare, perché indicativi di una realtà meravigliosamente e totalmente umana. Partendo dall’incrollabile fede in Omero, attingendo a piene mani dal dibattito precedente, ha avuto il merito non solo di aver scoperto Troia ma di aver ridestato l’interesse per un mondo di dei ed eroi, per una realtà caratterizzata da eccezionalità e grettezza, da sentimenti benevoli e malevoli, che non è altro quella dell’esistenza comune in forma sublimata. L’entusiasmo coinvolgente di Schliemann è un entusiasmo “morale”, portavoce di valori condivisi, è l’idea del bello e del giusto che si concretizza e si palesa nell’epoca del mito. Egli fu un uomo omerico, interessato a comprovare l’esistenza dei suoi eroi, un poeta, per la visione romantica che ebbe del mondo, un “dilettante”, per l’ammirazione quasi semplicistica del reale, uno scienziato ed un archeologo, mai nel senso proprio dei termini, ma per l’incessante lavoro che ha spalancato dinanzi al vasto pubblico la potenza dell’immaginazione reale di Omero.

Marina Guarente è laureata in Filologia, Letterature e Civiltà del Mondo antico all’Università degli Studi di Napoli Federico II, dove collabora proficuamente con la cattedra di Archeologia Classica, in quanto Cultrice della Materia e Dottoranda in Scienze Storiche, Archeologiche e Storico-artistiche. Frequenta, inoltre, la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici presso le Università Suor Orsola Benincasa e Luigi Vanvitelli. Attualmente si dedica all’indagine della ricezione dell’antico nelle opere dell’archeologo e architetto napoletano Pirro Ligorio, partecipando all’edizione e allo studio dei suoi manoscritti.

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