
«Ecco a cosa servono gli etimi: a non restare sopraffatti, senza parole di fronte all’immensità del sentire.» E difatti «l’aggettivo greco ἔτυμος (étymos) significa «vero», «reale», «genuino»: da qui deriva la parola etimologia, coniata per definire la pratica di conoscere il mondo attraverso l’origine delle parole che usiamo.»
E così l’inaspettato significato che si cela dietro a parole anche di uso comune ne rivela la ricchezza semantica. Esemplificativo del metodo è l’analisi dell’origine del verbo odiare: esso deriva «da una radice indoeuropea non precisata. Alcuni, tra cui il filologo tedesco Ernst Robert Curtius, fanno risalire il lemma a *vad-/*uad-, con il significato di «stringere», «premere», e che si ritrova nel sanscrito a-va-dhît, «respingere», «allontanare».
Anche in antico persiano si diceva qualcosa come vad, «battere», e vad-hay, «ribattere», che parrebbe trovare riscontri nel greco antico ὠθέω (othéo), «spingo», «allontano, «scaccio». Fino al verbo che da questo lemma deriva, ὠθίζω (othízo), «premo», «urto», «maltratto» […] In sintesi, questa prima ipotesi etimologica dell’odio non fa che rimandare alla repulsione, al rifiuto, alla ripugnanza dell’altro.
La seconda ipotesi, meno plausibile eppure «non inverosimile» secondo il Pianigiani […] collegherebbe, sulla base della radice iniziale od-/ed-, l’atto di odiare a quello di «rodere», «corrodere». […] Sempre dalla stessa radice, il latino diceva edo, esattamente come il greco ἔδω (édo), per indicare il gesto di «mangiare», «divorare»: l’odio spinge a provare un’avversione così forte che «rode dentro» – da qui deriva un desueto aggettivo italiano, «edace», per indicare i corrosivi dispiaceri del corpo e dell’anima.
Il Nocentini, invece, non ha dubbi: la nostra parola «odiare» deriverebbe dal verbo greco ὀδύσσομαι (odýssomai) oppure ὀδύσσασθαι (odýssasthai), che valeva «adirarsi», «arrabbiarsi».
Ci torna in mente «Ὀδυσσεύς (Odysseús), il protagonista dell’Odissea, in greco Ὀδύσσεια, (Odýsseia), quell’Ulisse che, dopo aver ferito Polifemo, fu per sempre maledetto dal padre del gigante, il dio del mare che per anni e anni gli ostacolò il ritorno a Itaca con venti e correnti avverse. Da qui nasce una delle tante etimologie possibili, suggerite da Omero, del nome Ὀδυσσεύς: «colui che è odiato da Poseidone».
Odisseo, noncurante di chi fosse figlio il gigante con un occhio solo, giunse a maledire, a sragionare.
Come narra Omero ai versi 502-505 del canto IX dell’Odissea, Ulisse si rivelò, perdendo il controllo del suo celeberrimo stratagemma, quello di giocare con la somiglianza tra il suo nome e il pronome nessuno, in greco οὖτίς (outís)».
O la meravigliosa storia nascosta dietro l’origine del verbo leggere: «In greco antico, il verbo λέγω (légo), che rimanda direttamente al latino legere, significava sia «raccogliere», sia «scegliere» – come in biblioteca, sulle punte dei piedi e la mano tesa verso lo scaffale –, sia «raccontare», «dire» – e per questa ragione, al presente, è spesso alternato al più complesso verbo φημί (phemí), che indica esclusivamente l’atto del parlare.
La parola per dire il piacere della lettura da una radice indoeuropea *lag- è presto diventata panromanza e non solo (con l’aggiunta di qualche curiosità etimologica).
Se dunque i francesi […] dicono lire, gli spagnoli leer, i portoghesi lêr, i tedeschi lesen, meraviglioso è il lituano lèsti, che originariamente significava «raccogliere con il becco».
Proprio come fanno i lettori in una libreria – vero e proprio negozio di caramelle per chi ama le storie –, che con gli occhi planano giù, la vista acuta di un’aquila nel percorrere gli scaffali per portarsi via il libro che, fra mille e mille, hanno scelto.»