
“Quanto è all’antica, è rimasto proprio indietro! Non si dà mai una mossa per stare al passo con i tempi”;
oppure:
“Non c’è niente da fare, continua a vestirsi come usava trent’anni fa e i soldi non le mancano…”;
“È mai possibile che legga e rilegga sempre gli stessi libri?”;
“Mi ha mandato una lettera spedendola per posta, ma ti rendi conto!”;
“Vive in un mondo tutto suo, che non c’è più, è un inguaribile sognatore romantico e quindi inaffidabile”.
La seconda modalità della quale ci si avvale nell’attribuire tale espressione è da ritenersi invece decisamente elogiativa e “gentile”, corretta e talvolta persino affettuosa. Non tanto perché tollerante verso la libertà di pensare, vestire, arredare la propria casa, educare anche, come meglio si creda e cioè all’antica, come “usava una volta”. Poiché in tal caso l’immagine di antico, qualora venga apprezzata, ci consente di intuire la presenza esplicitata una sorta di empatia, risonanza e consenso nei confronti di quanti non si risentirebbero affatto d’essere definite “persone dai modi antichi”. Questi ora gli esempi.
“Finalmente ho conosciuto una persona come ce ne erano una volta: garbato, sempre cordiale, piacevole da ascoltare, premuroso…Non intercala quel che dice mai con qualche scurrilità”;
“Non pensavo proprio ci potessero essere ancora giovani come lui: usa raramente il cellulare, e si guarda bene dal telefonare a tavola e tanto meno al ristorante;
“Mi scrive ancora poesie d’amore, ma ti pare possibile?”
“Sono andata a casa sua: è piena di cose bellissime e curiose, trovate girovagando tra i mercatini dell’antiquariato: vecchie foto, ritratti, soprammobili che nessuno usa più…si sta davvero bene in quella atmosfera demodé, è proprio un signore d’altri tempi”.
Anzi, talvolta – in questa seconda versione del significato – gli aperti apprezzamenti di cui sopra non sembrerebbero limitarsi soltanto agli aspetti esteriori. Il mostrarsi all’antica, anche per idee, stili di vita, consuetudini, corrisponderebbe a una scelta ben consapevole di carattere culturale e valoriale. Dove l’essere all’antica prende forma non in quanto bizzarria estetizzante o eccentricità individuale, bensì come una volontaria scelta non modaiola, semmai come adesione ad un movimento d’opinione. Non possiamo poi dimenticare che l’epiteto è stato coniato non soltanto per le persone vintage, che parrebbero indifferenti alle pressioni di un mercato di varia natura, per consuetudine attento e sollecito nell’enfatizzare consumi e desideri più aderenti ai tempi. Spesso capita però che si sia all’antica giocoforza non per un habitus mentale, ma per necessità inevitabili. Qualora l’incalzare del presente ci obblighi a non poter inseguire le offerte allettanti e costose della pubblicità. L’essere all’antica “per forza”, quando tale stato si coniughi con le povertà e le privazioni che impediscono di scegliere condizioni di vita meno soggette all’indigenza, è quindi da ritenersi una terza possibilità – coatta questa volta – che sicuramente non va ignorata. Anche se sarebbe sbagliato ritenere che soltanto i ceti privilegiati possano nutrire qualche rimpianto per modi di vivere ormai lontani. Inoltre tale espressione non è da attribuirsi esclusivamente alle donne e agli uomini che per ragioni diverse sembrerebbero esserne i portatori. Vengono infatti comunemente definiti all’antica anche luoghi, case, quartieri, borghi, ambienti, ristrutturazioni abitative, giardini, attività gastronomiche e artigianali, tipi d’ospitalità, consuetudini sociali e tradizioni nei cui confronti si pronunciano negativamente nondimeno coloro che riprovano apertamente tutto ciò che abbia a che vedere con il passato. In contrasto con quanti amano l’antico, per sensibilità e educazione estetica, per passioni verso la storia e l’arte, la letteratura, le filosofie antiche, ecc. O, semplicemente, perché i modi di vivere “desueti”, altrimenti detti antiquati (parola per altro che ci segnala già un’inflessione dispregiativa) sono ritenuti minacciare l’avanzata di un’idea di “progresso” concepito come annientamento di tutto quanto rinvii alle memorie: umane, ambientali, intellettuali. Contro tale concezione il riconoscersi all’antica significa essere portatori di sensibilità e comportamenti virtuosi in controtendenza. I quali ritroviamo in coloro che rivendichino, e non solo per sé, più attenzioni a vantaggio della comunità verso ogni traccia del passato che abbia fecondato il presente. Mi riferisco a quanti si mostrino sensibili, anche politicamente, nei confronti delle manifestazioni del pensiero etico, artistico, storico da perpetuare e proteggere, anzi sempre più da diffondere. In tal modo esigendo ben più attenzioni – soprattutto nel nostro Paese – che evochino un posto di primo piano per la difesa dell’antico nell’oggi. Essere all’antica, concordare e riconoscerci entusiasticamente nella seconda posizione, lungi dall’essere un modus vivendi che si declina in base a differenze di censo, livelli di istruzione, gusti e inclinazioni, assume un valore simbolico di grande importanza a livello dei costumi odierni.
Quali pregiudizi si accompagnano all’antico?
Già ne ho accennato: ma un altro pregiudizio tra i più fallaci è il ritenere che l’antico sia materia che debba riguardare la visita a musei, alle rovine archeologiche, alle pinacoteche o qualche passeggiata negli antichi borghi medioevali. Intendo l’antico come un’esperienza e un’attrazione che matura piuttosto dentro di noi, le cui origini – come racconto autobiograficamente nel libro – affondano nel nostro passato e nel desiderio di salvarlo scrivendone.. L’antico dunque non soltanto come passato, ma come presente, che si rigenera nel presente per salvarlo e custodirlo almeno dentro di noi. I versi celebri del Pascoli de L aquilone di scolastica memoria: C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole:/, anzi d’antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole…? Parole che lessero l’ “antico” come un dimensione permanente della condizione umana, che non sappiamo riportare in vita, e dei diritti alla umanizzazione dei nostri giorni. L’antico, nuovamente simbolico, ci ripropone idealità, bellezza, convivialità, atmosfere comunitarie, solidarietà, sobrietà, condotte morali che in un passato remoto – storicamente indeterminato – vennero vissute, forse soltanto sognate e quindi, sicuramente narrate, raffigurate, coltivate e che sarebbe un vero danno per il presente abbandonare alle derive del tempo se non addirittura nascondere e raschiare via come un reputato inutile affresco d’epoca.
Torno ora a ribadire che chi venga ritenuto all’antica non sarebbe quindi giocoforza l’emblema, per altro, di idee superate, conservatrici, tradizionaliste. Nella convinzione che il rapporto con il passato (proprio o collettivo) sia essenziale e necessario per un “buon uso del tempo e del mondo”, come sostiene spesso il grande filosofo Salvatore Natoli, sia per il presente che per una visione del tempo a venire. E l’antico ci insegna poi molto, quando ci sembra sopravanzi il futuro sulla necessità di praticare quelle visionarietà attualmente in grande crisi e trascuratezza. Da qui perciò l’emergere del pregiudizio, appunto già segnalato, secondo il quale il termine “antico” rinvii sempre a qualcosa di superato, a ciò che debba essere quindi dimenticato, escluso, in certi casi anche distrutto e per sempre cancellato dalla coscienza. Perché disutile, privo di fascino e senso della concretezza. Talvolta persino un vero ingombro mentale e comportamentale, che condurrebbe a ripiegarsi sentimentalmente su di sé: nell’abbandono al rimpianto, alla nostalgia, al senso irrevocabile e decadente della perdita di tempi migliori e della giovinezza.
In che modo amare il passato «è sempre un antidoto potente al male di vivere»?
“L’amore per il passato” è reputato un altro tratto distintivo e fecondo da coloro che si riconoscano nei comportamenti all’antica. Il quale lungi dall’evocare immobilità, rimorsi, rimuginii impotenti sa dimostrarsi un autentico valore generativo, una fonte di felicità emotive modeste o grandi, per nulla passivizzante come è ritenuto solitamente. In contrasto aperto e convinto con quanti ritengano la cura delle memorie personali e autobiografiche un freno, ancora una volta, alla prefigurazione del domani. Perché questa “pessima abitudine” secondo molti (una caratteristica positiva ovviamente di chi non tema di essere definito all’antica) ostacolerebbe i cosiddetti diritti e orientamenti di quanti – e sono la maggioranza – reputano il rievocare il passato (personale o storico), il ricordare, il voltarsi ogni tanto indietro per un bilancio del cammino trascorso, una seccante perdita di tempo e soprattutto di denaro. Un ingombro, evidentemente, per chi viva all’insegna della pseudofilosofia spicciola e popolare del carpe diem, che plaude soltanto al vivere attimo dopo attimo, freneticamente alla giornata, cancellando ogni traccia di memoria. Di conseguenza condannandosi alla negazione di sé, della propria storia, preferendo la rimozione delle proprie radici. Come scrivo ancora: ”Spesso non ci rendiamo conto di quanto un buon rapporto con il proprio passato e con quello che abbiamo condiviso rappresenti un bene durevole e di inestimabile valore…Il passato è sempre presente, è già sulla strada che dobbiamo ancora percorrere”. Il passato invece, per lo meno in questo modo di intenderlo, è indice di un saper pensare all’antica; quando cioè “ la fedeltà ad esso “ ci aiuta a conoscerci, a scegliere, a prefigurare il domani: per tale motivo l’attenzione mai dismessa per la propria autobiografia in divenire diventa una sorta di cura di se stessi; ci aiuta ad affrontare con più coraggio, consapevoli della nostra storia, le difficoltà che l’esistenza dissemina lungo un cammino che per altro non è mai del tutto solitario. L’antico si rivela un antidoto, che se assunto come un farmaco anche a nostra insaputa fa di noi donne e uomini (giovani, adulti e anziani), più consapevoli e colti. Può guidarci verso una sempre maggiore conoscenza di noi stessi, verso il coraggio di esistere e di resistere nelle circostanze avverse e verso quella filosofia di vita- questa volta esito di pensosità e riflessività profonde – che ci rende gelosi di tutto quanto l’esistenza ci ha donato come occasioni per migliorarci. “L’antico “ – se sappiamo introiettarlo come un bene prezioso – non ci abbandona difatti mai. A differenza del presente e del futuro, ci consente di vivere il primo con maggiore accortezza e il secondo con buona lungimiranza.
«Il Novecento è il nostro antico più prossimo»: come si esprime il sentimento verso l’antico nel patrimonio storico di oggetti sottratti alla distruzione?
Pare un paradosso, ma non abbiamo bisogno di riandare ai tempi più remoti per cercare le tracce dell’antico, infatti l’antico di cui ho scritto è soprattutto uno “ stato d’animo”, che avvertiamo dentro di noi: quasi fosse un istinto, molto simile – ha scritto l’americano studioso di letteratura memorialistica e filosofo della narrazione Jonathan Gottschall [1] – al nostro narrare e narrarci: a parole, con la scrittura, in ogni altra modalità anche tecnologica. Un istinto che consiste, ecco una bellissima metafora, nel “vestire i concetti di una trama”, trasformandoli in storie: quando vogliamo farci intendere dagli altri e quando vogliamo dare una struttura interiore a quanto pensiamo. Sì, una tensione importante, questa: che va anche coltivata e non abbandonata a se stessa. È sufficiente occuparsi di un passato storico a noi ancora prossimo come il Novecento, con tutte le sue problematicità, grandezze e tragedie, per identificare tutto l’antico che c’è dentro ognuno di noi anche se siamo nati nel ventunesimo secolo, ma sentiamo la mancanza di fonti originarie, radici, figure magistrali. Scrivo ancora a tal proposito:
”L’antico non coincide con il concetto di antichità. Si riconosce e lo percepiamo in noi perché non è databile. È una parola solitaria, apolide e fiera di esserlo…non ci interessa collocarla in un tempo definito e descrivibile…è un contato mentale che perdura nella vita interiore”.
Quale interpretazione dell’antico si trova in poeti e filosofi?
Credo si debba distinguere tra coloro che interpretano l’antico in relazione alla categoria di antichità che esige il riferimento ad epoche storiche lontanissime (per fatti, opere d’arte e dell’ingegno umano, linguaggi e lingue) e sono tali i filosofi del tempo cronologico e storico (Agostino, Vico, Rousseau, Kant, Hegel, Bergson, Husserl, ecc.) e coloro che, filosofi e poeti, ritengono l’antico un’espressione teoretica che va sottratta, perché sfuggente e inafferrabile, alle scansioni del tempo. Qualora vengano concepite soltanto come durate, periodizzazioni, “prove storicamente validate” che non sanno stabilire un confronto con i motivi non storici, ma universali della condizione umana. Sono soprattutto le voci dei poeti, ai quali dobbiamo accostare i pittori e i musicisti, i rappresentanti più diversi dell’arte non solo classicisti che dobbiamo di più ascoltare. Le loro sensibilità sono sempre ispirate a scoprire le parole, le immagini, i suoni che riescano a dar voce a esperienze e a suggestioni che ci offrono la sensazione di una temporalità immobile, sospesa, non misurabile: antica. Poiché l’antico come categoria filosofica abita la lontananza, ma non ce ne offre mai datazioni precise, né scandite da calendari e orologi. Ancora nelle mie pagine cito un poeta canadese, Mark Strand, le cui parole sensibili al pensiero filosofico (ricordo soltanto l’opera grandiosa di Gaston Bachelard: cfr. La poetica della revèrie) ci spiegano che cosa accada in certe, particolarissime, circostanze della nostra vita. Queste le sue suggestioni:
“Il passare del tempo sta anche per quel passaggio segreto che porta fuori dal tempo nell’immobilità di ciò cui non è stato ancora dato un nome perché possa esistere, il passaggio che porta al luogo dove nascono le poesie”.[2]
È questo l’extra – tempo della poesia, della letteratura, della percezione estatica, meravigliata, incantata dell’esistenza. Ebbene è questa la “via poetica” che ci consente di far una esperienza destoricizzata dell’antico: grazie alle emozioni che essa suscita in noi in alcune straordinarie situazioni emozionali, nelle quali ci sembra di vivere come se il tempo si fosse fermato. È così che ci è offerta la possibilità di sperimentare che cosa sia l’antico. Una entità sensoriale, ma anche concettuale, oltre il tempo, oltre la storia. Quando anche la filosofia ha intrapreso questa strada, i suoi teoremi hanno saputo illuminare la ricerca di noi stessi, che non potrà non includere, per il suo valore anche mitico, allora la sensazione di appartenere all’antico se ne accogliamo gli enigmi. A qualcosa di eterno, se si preferisce, oltre i confini della durata. Colse bene questo aspetto un altro filosofo, Karl Jaspers citato nel mio libro -, quando ci ricorda che “la poesia abbraccia tutte le forme della vita umana poiché la prima filosofia nacque in forma poetica”; interrogando che cosa mai fosse ciò che chiamiamo tempo: attimo, ora, giorno…Quando ci sembra di essere trascinati altrove, come nei sogni in fondo, dove il pensiero razionale deve farsi da parte e cedere il passo al mistero, tanto all’infinito quanto alla finitezza..
Quali virtù e qualità ammantano la saggezza antica e allora che fare per adottare una maniera di esistere ispirata alle virtù antiche?
Già due secoli fa Giacomo Leopardi nelle Operette morali definiva i caratteri dell’essere persone “all’antica“ in quanto donne e uomini “ dabbene “ e cioè “ di cui potersi fidare”. Pronunciare la formula “all’antica” all’indirizzo di chi susciti in noi ammirazione (per saggezza, pacatezza, equilibrio, modestia, riservatezza, generosità, ecc.) per altro come ben sappiamo, non sempre esprime oggi qualità comunemente apprezzate. Soprattutto se, come abbiamo sostenuto, l’essere latori di azioni, immagini di sé, virtù e qualità ispirate al passato non rappresenta più un valore, bensì il suo contrario. Se aspiriamo nel corso della vita alla saggezza, ad un’arte di vivere che non nuoccia a noi, né agli altri, occorre mostrare l’andar fieri del nostro essere all’antica. Se desideriamo attuare una “maniera di esistere ispirata alle virtù antiche”, si tratterà, prima di tutto, di ristabilire – come già si è accennato – un buon rapporto con il proprio passato. Ciò è imprescindibile: per la semplice ragione che la prima virtù da difendere, proteggere, praticare è insita nella coltivazione della memoria, della nostra, di chi ci sta accanto per sempre, senza dimenticare questa volta la storia e le storie dalle quali proveniamo e quelle alle quali apparteniamo: come cittadini del pianeta Terra, contro ogni particolarismo, localismo, razzismo. Valori che già nell’antichità storica erano in gestazione, nell’aspirazione a valorizzare dell’antico le tracce allo stato nascente del suo futuro. Un discorso dedicato all’antico, a questo punto, non può quindi che confrontarsi con l’etica civile e con il pensiero morale. La saggezza all’antica, nel mondo odierno si configura come un arcipelago di qualità umane riconducibili a gesti esemplari, alle virtù che restano grandi e sublimi e alle piccole virtù della nostra quotidianità. Le prime non possono che essere ricondotte a ideali intramontabili quali il bene, la giustizia, la fratellanza, la difesa delle libertà e dei diritti, unitamente ai doveri che l’antico ci insegna. Alle quali impossibile è non aggiungere anche quelle del cristianesimo: da perseguire secondo i messaggi evangelici evocati dal passo celeberrimo dedicato alle Beatitudini: quali la misericordia, la carità, la compassione, la pace, la pietà…Oggi si è dunque all’antica quando ci si trovi a ribadire e a diffondere con l’esempio quotidiano tali comportamenti e idealità, che concretizzano il nostro essere autori di pratiche di saggezza. Quando tali valori si costruiscono come fine ultimo dell’esistenza e ci chiedono di mostrarne tutta la persistente attualità che è la nozione di antico ancora una volta ad ispirarci e incoraggiare.
Duccio Demetrio ha insegnato Filosofia dell’educazione all’Università di Milano-Bicocca. Ha inoltre fondato e dirige la Libera Università dell’Autobiografia e l’Accademia del Silenzio ad Anghiari. Tra le sue pubblicazioni: Filosofia del camminare (2005), La vita schiva (2007), Perché amiamo scrivere (2011), La religiosità della terra (2013), Ingratitudine (2016), Foliage (2018), Micropedagogia (2020) e All’antica (2021).
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[1] J. Gottschall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, tr.it. Bollati Boringhieri, Torino 2014.
[2] M. Strand, Tutte le poesie, tr.it. Mondadori, Milano, 2019.