“Algoritmi, monaci e mercanti. Il calcolo nella vita quotidiana del Medioevo” di Giorgio Ausiello

Prof. Giorgio Ausiello, Lei è autore del libro Algoritmi, monaci e mercanti. Il calcolo nella vita quotidiana del Medioevo, edito da Codice: che rapporto esisteva tra esigenze applicative e risoluzione matematica di problemi, in un periodo così importante della storia umana come il Medioevo?
Algoritmi, monaci e mercanti. Il calcolo nella vita quotidiana del Medioevo, Giorgio AusielloMi permetta prima di tutto di spiegare come sono giunto all’idea di scrivere un libro che ha per sottotitolo: Il calcolo nella vita quotidiana del Medioevo. Circa dieci anni fa, insieme ad alcuni altri colleghi di varie Università decidemmo di scrivere un libro dedicato alla ormai diffusa presenza degli algoritmi nella vita quotidiana odierna. Il libro fu edito da Springer con il titolo: The Power of Algorithms. Ciò che volevamo far comprendere al lettore era che, anche se non ne siamo consapevoli (il primo titolo adottato per quel libro nella versione italiana fu: L’informatica nascosta) da quando l’informatica si è diffusa trasversalmente nella società, gli algoritmi hanno assunto un ruolo dominante in una gran parte delle attività umane o perché noi stessi ci rivolgiamo a loro (quando ad esempio cerchiamo informazioni su Internet, o utilizziamo un navigatore o consultiamo messaggi e posta elettronica) o perché essi sono ‘embedded’ nei dispositivi che utilizziamo (il telefono cellulare, la tessera per i pagamenti elettronici, il televisore, l’auto ecc.). Ebbene, anche se oggi la presenza di computer e microchip ha reso questo ruolo degli algoritmi così invasivo, dobbiamo renderci conto che le esigenze computazionali, la necessità di eseguire calcoli e di gestire dati quantitativi hanno sempre accompagnato, seppure in modo più larvato, la vita dell’uomo, almeno da quando circa diecimila anni fa sono comparse le prime comunità urbane e si sono manifestate le prime esigenze di tipo commerciale ed organizzativo. Come lei giustamente osserva, il Medioevo fu un periodo di estrema importanza nello sviluppo della storia umana. I cosiddetti ‘secoli bui’ che hanno fatto seguito alla caduta dell’Impero Romano, (e che possiamo circoscrivere al periodo dal V all’ VIII secolo) sono stati ben presto seguiti da un impetuoso rinascimento della vita urbana e dei traffici commerciali a largo raggio. Le Crociate anziché dividere il mondo cristiano e quello islamico realizzarono un’osmosi tra le due culture e incentivarono i flussi mercantili nel Mediterraneo. Fu in quel momento che il calcolo matematico cominciò ad assumere un ruolo fondamentale ed estremamente interessante soprattutto a supporto delle attività commerciali. Si pensi soltanto alle necessità di calcolo richieste per consentire il pagamento di artigiani, lo scambio di prodotti, la creazione di società e la relativa suddivisione di perdite e profitti, la concessione di prestiti e la relativa determinazione di interessi positivi e negativi, la definizione di leghe metalliche con uno specifico tasso d’argento ecc. L’associazione tra attività commerciali e esigenze computazionali fu così stretta in quei secoli che in un importante testo matematico del 1478 (la cosiddetta Aritmetica di Treviso) si legge: ‘L’arte della mercatanzia chiamata volgarmente arte dell’abaco’, mostrando quindi come in quell’epoca fossero intrinsecamente associati l’attività mercantile e il calcolo matematico.

Che rilevanza avevano, nel mondo antico, gli algoritmi?
Come dicevo precedentemente, fin dall’antichità più remota l’uomo ha sentito la necessità di contare e di calcolare. Le prime testimonianze di questa esigenza si manifestano ancora nelle popolazioni dedite all’allevamento del bestiame e sono costitute dal semplice conteggio di animali e greggi (a volte registrati in modo primitivo con il numero di intacchi su ossa di animali) ma in realtà fu da quando gli uomini passarono ad una vita sedentaria, basata sull’agricoltura e da quando sono nate le prime città con le relative esigenze di organizzazione sociale e di approvvigionamento, che la necessità di eseguire calcoli e gestire dati è divenuta via via sempre più vitale. È noto che già Erodoto indicava negli antichi Egizi gli ‘inventori’ della geometria poiché dopo ogni piena del Nilo era necessario rimisurare le dimensioni dei terreni adiacenti per ristabilirne la proprietà e le imposizioni fiscali. Naturalmente si trattava solo di una delle molteplici applicazioni della matematica e del calcolo che erano già presenti nel terzo e secondo millennio avanti Cristo. In molti altri campi il calcolo aveva già un ruolo importante. I ricchissimi repertori di tavolette babilonesi con contenuto matematico riguardano prestiti in denaro, calcolo di eredità, costruzione di fossati e mura, realizzazione di canali, lavorazione di metalli, pagamento di artigiani con diverse modalità e da ultimo, non certo per minore importanza, l’astronomia. Erodoto stesso diceva: ‘L’orologio solare, lo gnomone e le dodici parti del giorno i greci li conobbero dai babilonesi’ sottolineando così il primato babilonese nel campo del calcolo astronomico.

Che ruolo ha avuto la matematica araba, e in particolare l’opera di al-Khwarizmi, nei confronti dell’Occidente europeo?
Chi fa un viaggio in Uzbekistan non può non imbattersi in varie occasioni nella figura di al-Khwarizmi (o, come lì è chiamato, al-Khoresmi). Al-Khwarizmi è giustamente considerato in quel paese, dove si dice sia nato nella città di Khiva, una gloria nazionale. La Facoltà di Matematica e Fisica dell’Università di Urgench è a lui dedicata ed una bellissima statua nel cortile d’ingresso accoglie a braccia aperte gli studenti nel mondo degli algoritmi che da lui hanno preso il nome. lo stato centro-asiatico gli ha anche dedicato un francobollo nel 1980 in occasione dei 1200 anni dalla data (ipotizzata) della sua nascita. Il ruolo di al-Khwarizmi è decisamente importante perché i suoi contributi scientifici sono alla base dello sviluppo di vari campi del calcolo matematico. Prima di tutto, nel campo dell’aritmetica, l’opera di al-Khwarizmi e dei suoi successori arabi ha contribuito in modo fondamentale alla diffusione nel mondo islamico e nell’Occidente cristiano del sistema di numerazione posizionale decimale che era stato già adottato in India nei secoli precedenti. Come è noto questo sistema numerico, che non a caso chiamiamo indo-arabo, consente di rappresentare un qualunque numero con l’uso di nove cifre e dello zero. Questo fatto, per noi ora abituale, ha avuto un ruolo cruciale per consentire la realizzazione di algoritmi efficienti per le operazioni aritmetiche (somma, sottrazione, moltiplicazione, divisione) che risultavano invece laboriosi con i sistemi addittivi (come quello greco e romano) e con gli strumenti manuali come l’abaco. In secondo luogo al-Khwarizmi ha proceduto ad una prima sistematizzazione delle equazioni di primo e secondo grado (che noi oggi chiamiamo algebriche proprio in virtù della terminologia da lui introdotta). Dal IX al XII secolo la matematica araba (o più in generale la matematica coltivata nel mondo islamico, che andava dalla Spagna all’Asia Centrale) ha attraversato un periodo di grande splendore. Molti matematici arabi erano al tempo stesso geografi ed astronomi. Pochi sanno ad esempio che il ben noto poeta persiano Omar Khayyam era anche matematico e astronomo. Sono stati questi contributi che una volta pervenuti nell’Occidente cristiano hanno risvegliato l’interesse per la matematica che, nei secoli precedenti, come dicono gli storici della matematica, era ‘caduta in oblio’.

Che diffusione avevano algoritmi ed enigmi nei monasteri e nelle corti medievali?
Tutti sappiamo che, nell’Europa Occidentale, per diversi secoli durante quello che viene chiamato Alto Medioevo, a causa dei tumultuosi avvenimenti che hanno accompagnato l’affermazione delle diverse popolazioni che hanno via via preso il sopravvento dopo la caduta dell’Impero Romano, la cultura e le conoscenze scientifiche sono state preservate soprattutto grazie al ruolo svolto dalle istituzioni ecclesiastiche e dai monasteri. È chiaro tuttavia che si trattò prevalentemente di conservazione e non di innovazione delle conoscenze e peraltro di una conservazione parziale. Molte opere matematiche, ad esempio, vennero dimenticate e riscoperte solo secoli dopo, grazie alle versioni realizzate da traduttori arabi. Per questi motivi il pensiero matematico e anche le tecniche di calcolo si isterilirono. Tra i pochi ambiti in cui le abilità computazionali continuarono a essere esercitate uno fu particolarmente importante: il calcolo astronomico e la sua relazione con la misurazione del tempo. Nell’VIII secolo il computus era, per antonomasia, il calcolo della data della Pasqua. Gli algoritmi per il calcolo di tale data erano piuttosto complessi e richiedevano (allora come peraltro ora) che si tenesse conto di diversi fattori legati alle fasi lunari e alla misurazione del tempo. Nell’opera di uno dei più noti autori britannici dell’epoca, il Venerabile Beda, storico, letterato e scienziato, è ad esempio contenuto l’elenco delle date della Pasqua dal 532 al 1063. Un altro aspetto del calcolo matematico che fu sempre presente anche in quella fase fu quello legato alla matematica ricreativa. Conferma di questa presenza la forniscono i diversi esempi di quadrati magici inventati in quel periodo o l’utilizzazione di labirinti nella decorazione di chiese e giardini (celebre quello del pavimento della cattedrale di Chartres) il cui attraversamento da un lato costituiva un divertimento, dall’altro era una metafora del processo di espiazione per il raggiungimento della salvezza. Una delle opere medievali più note dedicate alla matematica ricreativa è il libretto intitolato Problemi per aguzzare l’ingegno dei giovani che il letterato religioso Alcuino di York, consigliere di Carlomagno, dedicò al suo signore con un esplicito riferimento al desiderio di ‘allietarlo con le sottigliezze della matematica’.

Quali vicende segnarono la penetrazione dei numeri indo-arabi in Occidente?
Come abbiamo accennato, il sistema di numerazione posizionale decimale di origine indiana fu introdotto nei paesi arabi nell’VIII secolo e dall’inizio del IX secolo, con l’opera di al-Khwarizmi e dei suoi successori, venne diffuso nell’intero mondo islamico. A tale proposito dobbiamo ricordare che il mondo islamico includeva, nel IX secolo, gran parte della Spagna dove uno stato latente di tensione e di aggressività tra cristiani e musulmani conviveva con la presenza di intensi traffici commerciali e scambi culturali tra le due comunità, scambi che venivano ulteriormente arricchiti grazie ad una attiva comunità ebraica che si giovava di contatti in tutto l’ambito del Mediterraneo. È indubbio quindi che in Spagna si fosse a conoscenza dell’utilizzo da parte degli arabi di metodi di calcolo basati sulle cosiddette ‘nove figure’ (nove cifre) e sullo zero. Ciò nonostante trascorsero quasi due secoli prima che affiorassero in documenti occidentali le prime notizie ad esse relative. Sede privilegiata di questa osmosi sono, ancora una volta, i monasteri. Due eventi segnano l’inizio dell’avventura delle cifre indo-arabe nel mondo occidentale. Il primo è il soggiorno di studio di Gerberto d’Aurillac (futuro Papa Silvestro II, nonché astronomo e matematico) negli anni 967-970 presso la cattedrale di Vich, vicino a Barcellona. Da questa esperienza Gerberto trasse l’idea di migliorare il funzionamento dell’abaco come strumento di calcolo sostituendo ai sassolini, utilizzati per contare, dei gettoni contrassegnati con le cifre arabe 1-9. Il secondo evento, più o meno negli stessi anni, è costituito da una nota che nel 976 il monaco Vigila del Monastero di Albelda, nella valle dell’Ebro, apportò alla sua versione delle Origines di Isidoro di Siviglia presentando le nove cifre ‘indiane’. Il cammino per giungere all’adozione del sistema numerico indo-arabo e dei relativi algoritmi fu però estremamente lungo. Si può dire che solo a partire dal XIII secolo l’uso di questo sistema si diffuse veramente nella società ma ancora fino al XV secolo esso era accompagnato dalla diffidenza perché si temeva che si potesse prestare a truffe più facilmente che il sistema basato sui numeri romani.

Che importanza riveste, per la storia del calcolo, l’opera di Leonardo Pisano?
Nel percorso verso l’affermazione in Occidente del calcolo basato sulle cifre indo-arabe e, più in generale, nella storia della matematica computazionale, l’opera di Leonardo Pisano (Fibonacci, come oggi si preferisce chiamarlo) ha un ruolo fondamentale. Nella vita e nell’opera di Fibonacci ancora una volta è cruciale il contatto che egli ebbe con la matematica araba. Infatti Leonardo Pisano, adolescente, fu portato a Bugia, in Nord Africa, dal padre, mercante, che vi svolgeva attività doganali in favore dei pisani che lì avevano un importante fondaco. Ed è lì che Leonardo è venuto in contatto con l’eredità di al-Khwarizmi e degli altri matematici arabi ed ha appreso i principi dell’algebra e dell’aritmetica ‘secondo il metodo degli indiani’. Il Liber Abaci, scritto nel 1202 da Leonardo Pisano è una miniera di problemi di aritmetica e di matematica applicata (soprattutto, applicata all’attività mercantile) e in esso compaiono vari riferimenti alle opere arabe sia dal punto di vista terminologico (ad esempio Leonardo usa il termine arabo elchataym per indicare il metodo della doppia falsa posizione nella risoluzione di equazioni), sia dal punto di vista della categorizzazione dei problemi (la classificazione delle equazioni di secondo grado esposta da Leonardo corrisponde a quella che compare nell’opera di al-Khwarizmi). Per circa tre secoli la struttura e i contenuti dei libri d’abaco con cui venivano insegnate l’aritmetica e l’algebra nelle scuole ha mantenuto l’impronta data da Fibonacci nel suo testo. Addirittura se si legge il libro di Cristoforo Clavio Aritmetica prattica, stampato nel ‘700, quando ormai la matematica aveva preso strade molto più ambiziose, ancora si ritrova la struttura e il filo contenutistico del Liber Abaci.

Che relazione esisteva tra il mondo della matematica mercantile e il mondo umanistico?
Due secoli dopo la morte di Fibonacci la produzione di testi matematici seguiva ancora, come si è detto, il cammino tracciato dal matematico pisano. Anzi, sembra che la produzione di libri d’abaco nella seconda metà del ‘400 abbia avuto uno sviluppo ancora più intenso. Si dice che oltre la metà dei 220 libri d’abaco scritti tra la metà del ‘200 e la fine del’400 sia stato scritto nella seconda metà del XV secolo e, naturalmente, l’obiettivo principale di questa produzione rimaneva la formazione dei figli dei mercanti, destinati in quel secolo, ad ampliare i loro traffici su scala italiana ed europea. Un interessante libro intitolato Capitalism and Arithmetic. The New Math of the 15th Century, dedicato ad un importante opera stampata nel 1478, l’Aritmetica di Treviso, espone bene il legame esistente in quel periodo tra attività economiche e calcolo matematico. Tuttavia nel ‘400 il contesto culturale e sociale europeo era mutato in modo significativo. Banalizzando un po’ possiamo dire che in vari paesi, proprio in virtù della crescita economica che si stava realizzando, Re e Signori erano in competizione non solo nei mercati internazionali e sui campi di battaglia ma anche nella promozione delle arti. Riappropriandosi dei valori della cultura classica essi promuovevano l’attività di architetti, artisti e scultori molti dei quali dotati di competenze multiformi, che spaziavano dall’arte alla scienza. In questa temperie anche la matematica applicata fu piegata alle esigenze del mondo artistico. Da questo punto di vista due personalità di cui si tratta nel mio libro, Piero della Francesca e Luca Pacioli sono ampiamente esemplificative di questa evoluzione. Infatti a fianco alle loro opere impostate secondo tradizione e rivolte al mondo mercantile entrambi si dedicano, seppure in modo diverso, a tematiche di natura artistica, l’uno con la sua opera De prospectiva pingendi, l’altro con la sua opera De divina proportione, a cui sembra abbia collaborato anche Leonardo da Vinci. Vorrei concludere queste considerazioni osservando che i trattati di matematica medievali non ci parlano solo di aritmetica, di algebra, di algoritmi ma ci parlano in modo molto esplicito anche della società in cui sono stati prodotti e ciò costituisce un motivo in più per studiarne approfonditamente i contenuti.

Giorgio Ausiello è Professore emerito di Ingegneria informatica ne La Sapienza di Roma

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