“Alessandro Manzoni “avvocato”. La causa contro Le Monnier e le origini del diritto d’autore in Italia” di Laura Moscati

Prof.ssa Laura Moscati, Lei è autrice del libro Alessandro Manzoni “avvocato”. La causa contro Le Monnier e le origini del diritto d’autore in Italia pubblicato dal Mulino che indaga un fatto poco noto della vita del grande romanziere: quali sono i dettagli della vicenda?
Alessandro Manzoni "avvocato" La causa contro Le Monnier e le origini del diritto d'autore in Italia Laura MoscatiL’editore fiorentino Felice Le Monnier ripubblica in Toscana nel 1845 i Promessi Sposi senza il consenso dell’autore. Manzoni, sulla base della vigente Convenzione austro-sarda del 1840, fa causa a Le Monnier che si difende sostenendo che la ristampa era tratta dall’edizione di Passigli del 1832, prima che la Convenzione fosse promulgata, e che il testo normativo consentiva la libera ristampa delle opere pubblicate anteriormente al 1840. Si avvia, così, una causa più che ventennale, che vedrà Manzoni vincitore in tutti e tre i gradi di giudizio. Scaturiscono per l’occasione importanti pareri a difesa delle parti, che coinvolgono illustri giuristi e lo stesso Manzoni, attento per tutta la vita agli aspetti storici e positivi del diritto. Per una chiara comprensione dello svolgersi delle vicende e per approfondirne i singoli aspetti, ho deciso di riportare nella sezione Testi tutto il materiale edito e inedito ritrovato inerente alla causa, pubblicato per la prima volta o trascritto da due miei allievi e ripartito secondo la progressione della stessa, con una divisione tra gli atti del processo Manzoni-Le Monnier, la corrispondenza epistolare intercorsa tra i protagonisti della controversia, e infine le memorie difensive relative alla lite. Appare particolarmente significativa l’edizione quasi integrale degli atti processuali conservati all’Archivio di Stato di Firenze, di cui finora erano state pubblicate solo le sentenze, nonché la pubblicazione delle lettere inedite dell’avvocato Panattoni a Manzoni e della corrispondenza inedita fra lo stesso Panattoni e il tipografo-editore Redaelli, conservate nel Fondo Manzoniano della Biblioteca Nazionale Braidense.

Manzoni assunse per l’occasione i panni dell’avvocato di sé stesso.
È noto il giudizio di Manzoni sull’Azzeccagarbugli, tipica figura di un’avvocatura mediocre, spesso ricordata e considerata come emblematica. Bisogna tener presente che non si tratta del parere del noto letterato sull’avvocatura in genere né tantomeno su quella a lui coeva, quanto piuttosto della caricatura dell’avvocato del tardo diritto comune, epoca dello svolgimento dei fatti narrati, che incarna la crisi del diritto, nel momento in cui il particolarismo giuridico aveva avuto tra i suoi maggiori effetti quello dello sviluppo a dismisura delle fonti giuridiche che impedivano agli avvocati e ai giudici di svolgere con cognizione di causa la professione. Invece, la considerazione che Manzoni ha dell’avvocatura è completamente diversa, come si evince facilmente dalla documentazione che abbiamo esaminato. Ammirazione e rispetto sono i sentimenti che egli nutre per i suoi avvocati e per quelli della controparte: Manzoni, infatti, ha occasione di avere rapporti con la più significativa avvocatura del periodo, una classe di tecnici completamente rinnovata rispetto a quella dell’ancien régime, che concorre con il suo impegno civile e professionale alla formazione dell’Italia unita. Essa appartiene alla migliore cultura giuridica della Penisola, il cui contributo in Parlamento, nelle Università, nel Governo, nelle Accademie ha lasciato un segno importante, indispensabile per ricostruire l’evoluzione storica dell’avvocatura italiana ed europea dell’Ottocento. Infatti, gli avvocati che incontriamo nel corso della causa non sono solo esponenti della più significativa cultura giuridica toscana del periodo, ma anche di quella italiana dato che la causa, protraendosi nel tempo e acquisendo un valore nazionale, travalica il mondo granducale. È interessante sottolineare che, vista la sua preparazione giuridica, Manzoni decide di redigere personalmente la memoria difensiva per il giudizio di Cassazione, appunto come «avvocato» di sé stesso, con uno scritto di grande valore contenutistico.

Quali dettagli oscuri emergono dall’esame delle fonti?
L’intento del lavoro è stato quello di analizzare, sulla base del materiale conservato all’Archivio di Stato di Firenze e alla Biblioteca Nazionale Braidense, le ombre più che le luci della celebre causa, su cui si è scritto molto da parte di storici e letterati, mentre gli aspetti giuridici hanno interessato solo marginalmente coloro i quali si sono soffermati sul rinomato caso giudiziario. Infatti, l’analisi delle fonti di prima mano e in particolare degli atti processuali può eliminare alcuni luoghi comuni che talvolta accompagnano lo studio di un argomento di grande richiamo, anche per la notorietà dei personaggi coinvolti, consentendo di approfondire le singole tappe della lunga controversia per evidenziare, invece, il complesso svolgersi delle vicende. Ad esempio, dai documenti emerge che, accertato l’obbligo di risarcimento da parte di Le Monnier a seguito del giudizio in Cassazione, non inizia quella lunga trattativa per la liquidazione dei danni, alla quale comunemente si preferisce fare riferimento. In realtà Manzoni, avendo constatato che la sua opera continuava ad essere ampiamente riprodotta in tutti gli Stati italiani, si vede costretto ad intentare un’altra azione giudiziaria nel 1862, come risulta da ricerche più approfondite nell’Archivio di Stato di Firenze. Questa causa, volta ad ottenere la liquidazione del danno conseguente alla contraffazione, dura circa due anni e precede la nota transazione che concluderà in via stragiudiziale la lunga controversia.
Alla luce del materiale archivistico, è anche sembrato opportuno inquadrare la questione nel contesto nazionale ed europeo e porre in luce il contributo offerto alla successiva e più compiuta elaborazione della tutela dei diritti sulle opere dell’ingegno. Mi riferisco, in particolare, al richiamo internazionale della controversia, all’attenzione per alcuni aspetti della difesa dei diritti morali degli autori e all’approfondimento del rapporto con il diritto proprietario, attraverso un’analisi della natura stessa della proprietà immateriale, indagata nell’ambito di questa causa senza limitarsi al mero uso terminologico e alla facile applicazione dell’archetipo proprietario.

Qual era lo stato della legislazione sul diritto d’autore nell’Italia dell’epoca?
Nel 1845, anno di avvio della causa, vigeva in Italia la Convenzione austro-sarda del 1840, il primo trattato internazionale sulla tutela della proprietà letteraria, che sarà preso a modello da quelli bilaterali e trilaterali del secondo Ottocento e costituirà la base della Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche del 1886, ancora oggi in vigore. La Convenzione austro-sarda aveva stabilito i principi essenziali della materia, alcuni dei quali restarono inalterati fino a Berna, mentre altri furono oggetto di modifiche, riflessioni e approfondimenti specifici sia nei successivi trattati diplomatici sia nella prima legge italiana del 1865. Si tratta in particolare del principio dell’attribuzione della proprietà dell’opera all’autore, della sua integrità, dei tempi di attuazione della Convenzione, della modifica dei termini della durata e soprattutto della sua applicazione a tutte le opere non ancora cadute nel dominio pubblico. Se un’adeguata formulazione di tali principi si avrà solo con la Convenzione di Berna, il loro significato è già chiaro fin dalla Convenzione austro-sarda. Inoltre, la Convenzione, subito adottata in tutti gli Stati preunitari ad eccezione di quello di Napoli, costituisce, fino all’entrata in vigore della legge del 1865, il diritto uniforme in materia.

Perché parla di Manzoni «legislatore»?
Manzoni, subito dopo la conclusione della causa, continua a seguire le vicende della regolamentazione dei diritti degli autori in Italia e in particolare l’iter della prima legge unitaria, trasformandosi, così, da interprete in “legislatore”. Il celebre letterato ha l’opportunità di ispirare le modifiche al progetto redatto da Antonio Scialoja che pochi mesi dopo sarà trasformato nella legge del 1865. In essa vengono tenuti in conto i rilievi critici di Manzoni, soprattutto per quanto attiene all’attribuzione agli autori dei diritti per tutta la loro vita: “Una tal legge perturberebbe le relazioni internazionali in questa materia – scrive Manzoni – … giacché non sarebbe certamente facile l’applicazione a vari Stati d’una legge così diversa nel punto principale da tutte le altre, e che, del resto, riuscirebbe inaudita in Europa”. In realtà, Manzoni aveva accettato con qualche perplessità, per ragioni di salute e di diretto coinvolgimento, l’invito a presiedere la Commissione preposta alla preparazione del testo normativo, ma si era mostrato fortemente interessato alla sua realizzazione e aveva agito, attraverso le persone investite della sua preparazione, dando il suo contributo di esperto nella materia. E non si era sottratto dal riferire a Giuseppe Pisanelli con chiarezza il suo pensiero, considerando “inopportuna anzi contraria all’intento principale della legge medesima, la disposizione con cui alla privativa assoluta conferita all’autore per tutta la sua vita da tutte o certo da quasi tutte le altre legislazioni veniva sostituito un tempo fisso di quarant’anni” sul progetto di legge che avrebbe contribuito a modificare.

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