
di Sotirios Fotios Drokalos
Edizioni Saecula
L’argomento teorico centrale del libro è che il principio base del pensiero strategico moderno, mutuato dal generale e teorico prussiano Carl von Clausewitz, «secondo il quale il modo di agire che può garantire la vittoria in guerra sarebbe la concentrazione degli sforzi e dell’attenzione sull’annientamento delle forze armate nemiche, non è valido nel caso di una grande capacità di rigenerazione delle forze da parte del nemico o di un grande territorio nel quale esso possa muoversi e ritirarsi. Un colosso non può venire militarmente sconfitto tramite un semplice tentativo di eliminazione delle sue forze armate, ma c’è invece bisogno di un coordinamento di diversi fattori che compromettano la sua capacità di rigenerare le forze», come «la creazione di problemi alla sua economia, lo sfruttamento e lo stimolo di scontri sociali, etnici, culturali, economici e di ogni altro tipo al suo interno, l’avvicinamento e la collaborazione con delle fazioni politiche, economiche, ideologiche, etniche, culturali disposte a collaborare poiché avversarie dell’establishment del Paese.»
Tale considerazione assume particolare valore «nella nostra era nucleare, informatica e digitale», in cui tutto ciò «può avvenire senza la presenza fisica di armate nel territorio nemico», anzi, ancora «prima del ricorso allo strumento militare» affinché «possa davvero essere efficace.»
Tale principio è valido in ogni caso in cui «l’analogia di potenza effettiva e latente tra gli avversari sia tale da rendere impossibile l’eliminazione immediata delle forze armate oppositrici e l’occupazione del territorio prima della creazione di forze nuove da parte del nemico, ma ha valore assoluto per quanto riguarda le tre grandi potenze del sistema globale attuale, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, più l’Unione Europea nel caso in cui essa agisca come attore unico. Nessuna di queste potenze, dotate tutte di grande popolazione, grande estensione territoriale, industria pesante e tecnologia militare avanzata, può essere sottomessa militarmente per via di un semplice attacco militare che miri all’eliminazione delle sue forze armate.»
A sostegno di questa conclusione, l’Autore propone lo studio e l’analisi «di due eventi fondamentali della storia moderna, la campagna di Napoleone in Russia e il conflitto russo-tedesco nel corso della seconda guerra mondiale, in comparazione con un evento fondamentale della storia antica, e cioè la campagna di Alessandro Magno in Asia. Il confronto fra i fallimenti della Grande Armée e della Wehrmacht contro l’impero russo e il trionfo dell’esercito alessandrino contro l’impero persiano dimostra che in casi nei quali il nemico dispone di grande territorio e popolazione, abbondanza di risorse economiche, materie prime, e infine della capacità tecnica di rigenerazione delle forze, un colpo militare rapido, per quanto grandioso e devastante, non può comportare il crollo dell’avversario, e al contrario comporta l’esaurimento del potenziale dell’attaccante.»
L’esempio di Alessandro Magno dimostra la necessità «tanto di grandi vittorie schiaccianti nel campo di battaglia, quanto di occupazione attenta di territori, uso di risorse efficiente e contemporanea privazione delle medesime risorse per lo Stato invaso» oltre che «atti volti ad avere una influenza politica e culturale sulle popolazioni conquistate, affinché esse partecipino agli sforzi dell’invasore, o almeno non li ostacolino attivamente. Su questo punto la comparazione dell’atteggiamento e delle azioni della spedizione di Alessandro Magno in Asia minore, Egitto, e perfino a Babilonia e nella stessa Persia, con quelle dei nazisti nel Baltico e in Ucraina, ma anche con l’indecisione di Napoleone per quanto riguardava la Polonia, è caratteristica e cruciale. Alessandro invase l’India avendo nelle linee della cavalleria degli eteri dei nobili persiani, fra cui gli stessi figli del re Dario, più migliaia di soldati asiatici in quelle degli altri corpi. È legittimo pensare che se avesse vissuto abbastanza a lungo, probabilmente un giorno avrebbe invaso la Cina accompagnato da nobili e soldati indiani. Lui agì non come un oppressore dell’Asia che volesse schiavizzarne i popoli, come si pose Hitler verso l’Europa orientale e l’URSS, e neanche come un egemone indifferente che perseguiva dei semplici obiettivi strategici, come Napoleone in Russia, ma come un re venuto dall’Occidente greco per trasmettere nuovi valori e modi di pensare e di vivere, rispettando sempre profondamente le tradizioni dei popoli che incontrava».
Come afferma l’Autore, «la differenza cruciale si trova nello scopo politico perseguito in ognuno dei due casi. Per Napoleone lo scopo politico era la sottomissione dello zar e della Russia al proprio impero continentale e alla politica antagonista verso la Gran Bretagna. Egli non voleva né devastare lo Stato russo, né occuparne il territorio. Inoltre non mirava neanche all’abbattimento del regime politico e all’imposizione di uno nuovo fantoccio. Al contrario desiderava la sopravvivenza dello zar e anche dell’impero russo, a condizione dell’accettazione da parte loro del suo primato e della sua supremazia e in modo da essere certo della loro partecipazione alla sua lotta contro la talassocrazia britannica. La potenza più temuta da Napoleone, ma in gran parte anche dagli stessi Russi, era infatti in quell’epoca la Gran Bretagna», resa «invulnerabile grazie alle masse acquatiche che la circondavano e alla sua forza marittima, nonchè al suo controllo del commercio mondiale, per cui rappresentava la massima potenza industriale del mondo e il suo impero coloniale stava crescendo, con la prospettiva di potenziarsi ancora molto di più.»
«Per Hitler invece lo scopo era la liquidazione vera e propria dello stato sovietico. La guerra principale per lui era quella contro la Russia, perché con la vittoria contro di essa potevano essere perseguiti i fini ultimi del progetto politico nazista: là si trovava il Lebensraum, lo spazio vitale e le grandi popolazioni da sfruttare per il benessere della Germania e, nello stesso tempo, la distruzione dell’Unione Sovietica avrebbe significato anche la distruzione di quello che Hitler considerava il suo nemico ideologico peggiore, cioè il comunismo slavo.»
E allora, «una prima differenza fra il pensiero strategico di Alessandro e quello moderno, in particolare con le idee di Napoleone, Clausewitz e Jomini, la incontriamo nel fatto che lui non cercò uno scontro immediato con l’esercito imperiale, e ancora meno un’avanzata diretta subito verso Babilonia o altre metropoli dell’impero situate nell’entroterra, ma al contrario conquistò tutta la costa greca dell’Asia minore.»
Certo, «la scelta di Alessandro fu anche condizionata da dati oggettivi. Dario non era ad aspettarlo con l’armata imperiale subito dopo lo sbarco in Asia minore, ma invece aveva affidato inizialmente il compito del respingimento dell’invasione ai suoi satrapi locali e alle loro truppe. La marcia del giovane re lungo la costa ellenica era mirata al conseguimento di quello che rappresentava per definizione il primario obiettivo della campagna, la sua ragione ideologica: la liberazione degli Ellenici dal dominio persiano.»
Il «punto di differenziazione più radicale e netto tra il pensiero di Clausewitz e della teoria strategica moderna e quello di Alessandro Magno» è tuttavia espresso dal comportamento del re macedone «dopo la grande vittoria di Isso. Dal momento che il re Dario riuscì a sfuggire, Alessandro si disinteressò completamente di cosa lui facesse, evitò azioni di sfondamento nell’entroterra per inseguirlo e per dargli il colpo di grazia, ma invece avanzò verso la Fenicia seguendo fedelmente il suo piano, cioè la conquista dell’intera costa, prima dell’avanzamento in profondità. Questa mossa è completamente contraria a quanto avrebbero proposto Napoleone, i teorici e i capi militari moderni, i quali avrebbero insistito sulla necessità di continuare a pressare Dario e le sue truppe per non lasciarlo respirare, né ricompattarsi e riorganizzarsi, ma finirlo definitivamente.»
«Il punto è che dopo Isso, quando il nemico era un impero persiano ancora molto forte, con la maggioranza delle sue province intatte e fedeli al Grande re, con larghissimo accesso al mare e grandi nazioni mediterranee sotto il suo dominio, con tutte le sue capitali lontane dalla guerra, Alessandro non pensò che la chiave della vittoria fosse cercare di eliminare definitivamente le forze armate persiane, nonostante il momento sembrasse favorevole, ma invece rivolse la sua attenzione alla Fenicia e poi all’Egitto, cioè alle regioni che tenevano collegato il centro dell’impero persiano con il Mediterraneo […] ritenendo invece cruciale l’occupazione dei territori già menzionati. Essi sarebbero stati il trampolino di lancio per la conquista definitiva e potente dell’entroterra.»
«Tutto ciò a livello strategico non può che significare una cosa, ossia che Alessandro individuò come centro di gravità della potenza dell’impero persiano la sua estensione e particolarmente il suo accesso al mare, e solo secondariamente le sue forze armate.»
«Alessandro praticò la guerra lampo e i principi della teoria strategica moderna contro Tebe, i regni balcanici, quelli battriani e indiani, e in genere tutte le volte in cui dovette affrontare delle resistenze provenienti da altre nazioni e città asiatiche. Però riuscì a capire che una strategia del genere non sarebbe stata vincente contro l’immenso impero persiano. Contro qualcosa di così enorme come l’impero persiano, o la Russia, caratterizzati cioè da enorme popolazione e grandissime estensioni territoriali non sarebbe mai stato possibile vincere velocemente, ma la guerra sarebbe stata necessariamente lunga. Napoleone e Hitler non colsero questo cruciale punto. Pensarono che avrebbero battuto la Russia nello stesso modo in cui avevano conquistato tutti gli altri Paesi, ma un Paese come la Russia sarebbe potuto essere sconfitto solo con una strategia multidimensionale, con combinazione di mezzi politici, economici, culturali e militari, e con grande pazienza. Obiettivi così grandi avrebbero richiesto più riflessione che azione, più pensiero che voglia di risultati immediati. Questo è l’insegnamento di Alessandro Magno».