Alessandro Cattelan debutta nell’editoria con Accēnto

ACCĒNTO è la nuova casa editrice fondata da Alessandro Cattelan. Abbiamo intervistato il direttore editoriale, lo scrittore Matteo B. Bianchi

Matteo, parafrasando Marguerite Yourcenar, fondare case editrici è come «ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado vedo venire», in ogni caso una scelta coraggiosa.
Assolutamente sì! Una scelta coraggiosa ma che stiamo facendo con molta attenzione. Siamo una micro casa editrice, stiamo facendo tirature molto mirate cercando di contenere i costi il più possibile. Vogliamo fare le cose per bene ma soprattutto stiamo pubblicando libri che ci piacciono davvero tanto, in cui crediamo molto. Siamo partiti quando avevamo il materiale giusto per farlo e quindi siamo abbastanza tranquilli.

Come è nato il progetto Accēnto?
È nato dall’amicizia tra me e Alessandro Cattelan. Io e Ale ci conosciamo da molti anni. Io sono stato autore, uno degli autori del suo programma E poi c’è Cattelan fin dall’inizio del periodo in cui è stato su Sky e al di là del rapporto professionale, ci univa anche una grande passione per i libri: Alessandro è un grandissimo lettore, oltre al fatto che ne ha scritti anche di libri, per cui spesso capitava di confrontarci, “Hai letto questo” oppure “devi assolutamente leggere quest’altro” e così via. È un conduttore colto, se posso usare questo termine, che credimi, lavorando in televisione, ti posso dire che non è frequente… Ci tengo molto a dirlo, nel senso che per me è importante che si capisca che questa casa editrice nasce da un desiderio, da una passione reale. Non vorrei che venisse percepito come il progetto di un personaggio famoso che così, per sfizio, invece di aprire una galleria d’arte, apre una casa editrice. In realtà, ripeto, è nata da una passione vera. Ale aveva una rubrica molto seguita di libri, parla di libri anche nelle sue trasmissioni radio e così via. A un certo punto mi ha contattato dicendo: “A me è venuta questa idea di aprire una casa editrice, tu cosa ne penseresti?”. E io gli ho detto che mi sembrava un’idea fantastica e se voleva farlo veramente io mi sarei impegnato da subito perché questa cosa avvenisse, e in effetti poi è avvenuta. È nata proprio così, mi ha chiamato dicendo “ho avuto quest’idea, sei la prima persona che chiamo”, gli ho risposto “non chiamarne nessun’altra!”

Le tue parole riecheggiano quelle di Roberto Calasso, che diceva che bisogna pubblicare i libri che ci piacciono. Quali sono i vostri autori? Come li selezionate?
Una cosa importante che va detta è che nel progetto iniziale di Alessandro c’era proprio quello di voler fare una casa editrice per aiutare i giovani e gli esordienti. Lo sottolineo perché mi sembra anche generoso, da parte sua, voler fare una cosa del genere. Addirittura, all’inizio l’idea era “pubblichiamo solo ragazzi giovani e giovanissimi”, ma ci siamo resi conto che non ha molto senso in quanto magari uno arriva alla fine del primo romanzo che magari ha già 40 anni o anche 60, non è che l’esordio è necessariamente legato alla giovinezza. Detto questo, noi però cerchiamo autori che abbiano uno spirito vicino al nostro, narrazioni un po’ imprevedibili, che siano originali, che abbiano veramente qualcosa da dire. I primi due titoli che pubblichiamo sono di una ragazza – siamo stati molto ecumenici, una di Milano e una di Roma, abbiamo, come dire bilanciato. La prima si chiama Raffaella Montana, una ragazza di 27 anni che ci ha mandato questo libro, Senza respiro, del tutto sorprendente perché sembra quasi di leggere due libri nello stesso volume. È una storia di malattia e di dolore, la storia di una ragazza che segue il decorso della malattia di una madre malata di cancro che alla fine muore e da quel momento inizia la seconda parte del libro ed è un processo personale, da parte di questa ragazza, che scopre il mondo del sadomasochismo. Sembrano due storie, quasi indipendenti l’una dall’altra. È sbalorditivo: mentre leggi una cosa poi te ne trovi tra le mani un’altra. Però, ovviamente, tutto molto legato e quello che a me ha sorpreso come lettore e che è un libro che parla moltissimo di sesso e non è un libro erotico. L’aspetto erotico è quasi assente dalla narrazione, è veramente un punto di vista molto interessante, una specie di elaborazione del lutto attraverso il sesso, una cosa, soprattutto per una ragazza così giovane, davvero sorprendente. L’altro libro che pubblichiamo è Tutto ciò che poteva rompersi, l’autore si chiama David Valentini, ha 35 anni, è uno che ha già pubblicato molti racconti nel mondo delle riviste indipendenti e questo per me è una garanzia di impegno e di qualità. Ha scritto un romanzo scomposto, cioè sono una serie di racconti nei quali i personaggi si rincorrono e ricompaiono in varie diverse circostanze. In pratica è una specie di ritratto, un ritratto generazionale di una generazione alle prese con la pandemia, nel quale compaiono sia ragazzi ventenni che i loro genitori che gli amici dei genitori. C’è una specie di cosmogonia di personaggi che ho trovato anche molto interessante come tecnica perché è molto parcellizzato e racconta una generazione attraverso storie e toni diversi. Ci ha colpito fin dall’inizio, non abbiamo dovuto fare quasi nulla nel suo libro. Questo dà un po’ l’idea di quello che pubblichiamo.

Parliamo un po’ dello scenario italiano: l’Italia è un Paese dove si legge poco, tra quelli dove si legge meno in Europa. In veste di neo editore, come ormai sei, secondo te è possibile fare qualcosa? Cosa bisognerebbe fare, la politica o comunque in generale, per favorire la lettura?
L’Italia da questo punto di vista è vergognosa, gli ultimi vent’anni di governo non hanno investito nulla nella cultura, nel senso più totale del termine. E queste sono le conseguenze che si pagano. In Francia, nelle scuole, viene insegnato il cinema, per fare solo un esempio. Poi ci meravigliamo che c’è la crisi del cinema ma, voglio dire, noi stiamo tirando su delle generazioni che non vengono in nessun modo incentivate nei confronti della lettura, nei confronti di un’abitudine come quella di andare al cinema e anche a concentrarsi su uno spettacolo per 2 ore. Un mondo in cui si è abituati a una concentrazione del tutto frammentaria come quella dei social. In Italia ci si lamenta di una situazione che si è creata abbastanza scientemente, secondo me. Lasciami anche dire che il fatto che abbiamo adesso un governo di destra temo non migliorerà particolarmente questa situazione. Per cui, da questo punto di vista, lavorare nella cultura significa fare una forma di resistenza. Fortunatamente i dati dicono che i ragazzi giovani leggono molto, hanno ripreso a leggere molto e questo è confortante. Forse anche in questo senso è importante trovare narrazioni che possano intercettare il loro gusto.

Un’ultima domanda: scopriremo dunque Alessandro nella veste inusuale di editore; la sua partecipazione sarà attiva? Quanto si coinvolgerà nella casa editrice?
La sua partecipazione è assolutamente attiva. Ovviamente noi facciamo la scrematura e arriviamo a lui con delle proposte molto mirate ma c’è una partecipazione attiva per quanto riguarda la scelta degli autori, delle copertine; facciamo anche delle grandi discussioni perché un punto di forza della nostra casa editrice è che ha delle copertine molto aggressive, molto d’impatto ed è una scelta che abbiamo fatto molto consapevolmente. E quindi fa l’editore vero, non lo sta facendo solo come immagine, c’è una partecipazione reale da parte sua, poi si fida della mia direzione nel senso che ha affidato a me questo ruolo, però lui è coinvolto in tanti passaggi.

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