
Nel corso del Duecento però la prospettiva della Terrasanta si faceva sempre più lontana e fu Bonifacio VIII a reindirizzare l’aspirazione della crociata contro i suoi oppositori, i Colonna, concedendo una speciale indulgenza nel 1297. Gli obiettivi “crociati”, nel XIII secolo, si erano moltiplicati, ora contro gli Albigesi, ora contro i Mori, ora contro i Prussiani e i Russi, ora contro gli Svevi e gli Aragonesi.
Se Gerusalemme non era più la mèta del pellegrinaggio principale della cristianità medievale, questo ruolo veniva assunto da Roma che, per taluni aspetti, tornava ad essere Caput mundi: Roma infatti manteneva quasi intatto il prestigio di essere stata l’ombelico del mondo (antico, ma non solo) la padrona di tutte le città. Accanto a questo, Roma preservava le reliquie dei più importanti martiri, tra cui spiccavano quelle di san Pietro, il vicario di Cristo.
Di tutto ciò Bonifacio era ben consapevole e partendo da questi presupposti innovò, mutandolo, il concetto stesso di Giubileo veterotestamentario, dandogli una cadenza secolare anzichè cinquantennale (è allora che nasce il concetto di secolo!), legando l’evento all’anno della nascita di Cristo, rendendolo al contempo un evento unico, tale da rafforzare la propria potestas papae.
Quali vicende subì la prima versione della bolla di indizione da Lei ripubblicata?
Considerato l’enorme afflusso di pellegrini per le festività post natalizie, la Circoncisione e l’Epifania, a Roma iniziò a circolare una voce secondo la quale in occasione del Centesimo, il papa avrebbe concesso una piena remissione dei peccati. Bonifacio approfittò di questa coincidenza e nel giro di un mese o poco più, dopo aver fatto svolgere delle indagini ai cardinali, fece stendere una Bolla, la Antiquorum habet, la prima bolla giubilare della storia della Chiesa. Il cardinale Stefaneschi racconta in una sua operetta, Il libro del centesimo anno o giubileo, come nacque la bolla, specificando che il papa richiese che venisse scritta in forma epistolare e che, solo in un secondo momento, venne “ritoccata più volte e in tal modo reso più elegante il testo di essa”, modificata nella forma definitiva che venne deposta sull’altare della Basilica Vaticana il 22 febbraio del 1300, in occasione della solenne festa della cattedra di san Pietro.
Ciò che viene presentato nella seconda parte di questo libro è proprio l’edizione di quella previa forma epistolare, la copia preparatoria della Bolla definitiva, la “brutta copia”, peraltro in volgare, della Antiquorum habet. Il documento, una pergamena datata 7 febbraio 1300, conservata all’Archivio di Stato di Firenze e che, pur essendo di piccole dimensioni (mm. 340×165), racconta una grande storia, quella della gestazione del primo Giubileo.
Come si articolò quel primo Giubileo?
La bolla chiariva i termini per lucrare l’indulgenza: il pellegrino era tenuto a visitare le basiliche di san Pietro e di san Paolo fuori le mura, aver fatto un sincero pentimento e aver ricevuto il sacramento della confessione. Benchè l’indulgenza fosse stata indetta il 22 febbraio, essa aveva valore retroattivo e cominciava dal Natale del 1299 sino a quello dell’anno successivo. Nella bolla si precisa che se poi qualche pellegrino avesse visitato più e più volte (e con maggior devozione) le basiliche suddette, avrebbe meritato una indulgenza maggiore e più efficace! Esulava dal novero delle basiliche da visitare quella del Laterano.
I tempi di visita delle basiliche erano diversificati per i Romani e per i forestieri: per i residenti, infatti, erano prescritti almeno trenta giorni di visite, continui o interrotti, mentre per gli stranieri, almeno quindici.
Giunsero pellegrini da tutta Europa, percorrendo le grandi strade del Medioevo che, in un modo o l’altro, ancora menavano tutte a Roma. Il cronista fiorentino, Giovanni Villani -che partecipò all’evento- segnala che “al continuo in tutto l’anno durante, avea in Roma, oltre al popolo romano, duecento mila pellegrini, sanza quelli che erano per li cammini andando e tornando”. Vi giunsero “femmine come omini di lontani e diversi paesi” i quali furono accolti nella Città Eterna da osti e locandieri i quali, come spesso accade, si approfittavano della congiuntura.
“Lo pegio che facevano quilli mali romani, quando albergavano la sera, dico, li ostulani, che semostravan angeli, et poi erano cani”: così Buccio di Ranallo ricorda il servizio degli albergatori proprietari di locande dai nomi classici: osteria dell’Angelo, della Campana, del Leone, delle Chiavi, in omaggio alla vicina basilica petrina, e ancora del Sole, del Cervo e del Biscione.
Dante partecipò agli eventi giubilari a Roma?
Benchè non ci siano fonti documentarie certe e ufficiali di una partecipazione di Dante Alighieri al pellegrinaggio del 1300, nessuno ne dubita. È il poeta stesso che attesta la propria presenza con una serie di osservazioni, peraltro attente, disseminate nella Commedia. Tali ricordi potrebbero essere legati ad una sua ambasciata svoltasi nel 1301 e anche essere il risultato di racconti fatti a lui da altri pellegrini suoi concittadini. Dante però mostra di conoscere bene l’Urbe e la visione de visu dei pellegrini sul Ponte Sant’Angelo, bipartito per favorire il doppio senso di marcia dei romei, così da evitare incidenti talvolta mortali.
“Come i Roman per l’essercito molto/ l’anno del Giubileo, su per lo ponte/ hanno a passar la gente modo tolto/ che d’un lato tutti hanno la fronte/ verso il Castello e vanno a Santo Pietro/ dall’altra sponda vanno verso il monte”. Non sarebbe neppure improbabile che il poeta abbia visitato le tombe dei Martiri proprio nel corso della Settimana Santa, e comunque prima del maggio del 1300, quando si recò a San Gimignano come ambasciatore.
Saranno proprio quelli i giorni in cui il poeta, anni dopo, immaginerà di perdersi “per una selva oscura”, visitando i regni dell’Oltretomba, per giungere, il giorno della Resurrezione di Cristo, in vista del Sommo Bene.