
Su questo tema storiografico non si era praticamente lavorato finora e quando ho incominciato a farlo, ormai dieci anni fa, ho incontrato un certo scetticismo da parte di qualche collega. Effettivamente, abituati come siamo a muoverci all’interno di schemi consolidati (che hanno comunque permesso, lo voglio chiarire, di raggiungere enormi risultati scientifici) troviamo difficile o rischioso cambiare il nostro modo di ragionare e di porci domande diverse su un argomento così battuto come quello della riforma della Chiesa nell’XI-XII secolo.
È complicato riconoscere l’esistenza di uno spazio tirrenico di pertinenza pontificia, non tanto a livello di area geografica sulla quale la sede apostolica estendeva o rivendicava la propria autorità, ma proprio a livello di sistema integrato, composto cioè da parti più o meno organicamente interconnesse fra loro. Questo perché è ancora forte il dibattito sull’effettivo potere “politico” esercitato dalla Chiesa di Roma su un mondo medievale frammentato in tanti potentati locali imperniati sulla fedeltà personale. In questo complesso mosaico di interessi particolari anche l’Impero e le sorgenti monarchie, come quella francese, avevano difficoltà a esercitare la loro autorità.
Proprio per questi motivi è stato difficile riconoscere alla sede apostolica non solo un interesse, ma anche una vera e propria politica marittima in quello spazio che stava proprio di fronte alla città di Roma. Più facile, piuttosto, vedere nel pontefice una figura eminentemente religiosa, che cercava, magari in modo vago e poco convinto, di esercitare un ruolo politico su grandi spazi territoriali.
Roma medievale e il “suo” mare appare in effetti (ma “appare” solamente) un tema eccentrico, ho così cercato di riportare alla luce nella storia medievale un tema che sarebbe ovvio per quella antica.
Dove si estendeva tale spazio e quale funzione rivestiva?
L’indagine ha interessato, da un lato, la sponda insulare tirrenica, con le due isole di Sardegna e Corsica, legate alla sede apostolica da un rapporto complesso sul piano giuridico, istituzionale ed ecclesiastico; dall’altro la sponda continentale settentrionale, imperniata sulla città di Pisa, che sebbene strettamente legata alla sede apostolica, mirava a controllare dal punto di vista ecclesiastico e politico quello che considerava un suo spazio di azione nel Tirreno.
Un Tirreno medioevale che, come sta evidenziando la più recente storiografia, era un qualcosa di estremamente complesso, ancora diverso rispetto al panorama politico che si sarebbe affermato verso il terzo – quarto decennio del XII secolo, dopo il passaggio cruciale segnato dall’incoronazione di Ruggero re di Sicilia nel 1130 e in seguito alla risoluzione dello scisma all’interno della Chiesa fra i papi contrapposti, Anacleto II e Innocenzo II (1130-1138).
Quali vicende segnarono il processo di creazione e la successiva gestione da parte della sede apostolica di tale spazio?
Vicende lunghe, intricate, complesse. Il rischio è stato spesso quello di perdere il filo conduttore in un percorso che non vide uno sviluppo coerente e univoco, anzi.
Più che parlare delle vicende maggiormente significative succedutesi lungo lo spazio tirrenico, pongo l’attenzione su quanto è stato necessario analizzare la politica dei pontefici riformatori riguardo a un’area geopolitica in confronto con altre. Per farlo ho esaminato la visione di ogni singolo pontefice e il suo modo di approcciare le grandi questioni internazionali, ponendo in rilievo, ad esempio, l’esperienza politica di un Ildebrando di Soana o di un Rainero di San Clemente prima di diventare Gregorio VII o Pasquale II ed esaminare il loro modo di procedere con le grandi istituzioni del tempo (Impero, Cluny, Montecassino, ecc.). In questo modo è stato possibile spiegare e dipanare, almeno parzialmente, la complessità del tema “spazio tirrenico” e fornire risposte accettabili o interpretazioni plausibili su di esso.
Ho poi approfondito nello specifico in che modo ogni singolo pontefice affrontò il nodo tirrenico, tema che si comprende realmente solo se visto globalmente da un punto di osservazione centrale (la sede apostolica) piuttosto che localmente, partendo da una posizione periferica (Pisa, Sardegna, Corsica, Normanni).
Toccare gli equilibri dei diversi territori dello spazio tirrenico (lo spazio di Genova, quello di Pisa, quello dei giudici sardi, quello dei vescovi corsi, quello dei vescovi di Porto) veniva a creare ulteriori problemi, a loro volta altrettanto difficili da risolvere. Ogni pontefice tentò di individuare un modo di gestire questo spazio secondo la sua visione politica e secondo l’assetto che aveva ereditato, ma il quadro geo politico era davvero complicatissimo e per circa settant’anni nessuno riuscì a trovare la soluzione più efficace per una gestione di un’area così particolare.
La complessità delle vicende susseguitesi conferma che non dobbiamo studiare la politica del tempo, non solo quella pontificia, pensandola come la storia di un coerente progetto che partendo da un punto A (ad esempio le prime concessioni gregoriane per la Corsica al vescovo di Pisa) conduce automaticamente a un punto B (il “trionfo” pisano del XII secolo, con l’assegnazione di tre diocesi corse, di due sarde e la primazìa ecclesiastica sulla Sardegna), ma come un percorso lungo, complesso, talvolta discontinuo, che presenta conferme d’indirizzo ma anche ripensamenti, rotture, riprese.
Si tratta di non guardare agli avvenimenti del passato con gli occhi dell’uomo di oggi, bensì sforzandosi di riconoscere le motivazioni delle azioni dei protagonisti del passato nel momento in cui le vissero e le posero in atto. È un po’ il problema dello “schiacciamento temporale”, col quale deve spesso fare i conti lo storico che studia avvenimenti di un passato lontano conoscendo come questi si conclusero. Ad esempio, sappiamo oggi che la Quinta Crociata (1219-1220) si rivelò un insuccesso per i cristiani, ma nel 1219 questa non era assolutamente la percezione dei contemporanei, perché la conquista della città di Damietta, in Egitto, fu un episodio pari per eco alla presa di Parigi da parte di Hitler nel 1940, quando nessuno poteva pensare a quanto sarebbe accaduto di lì a pochi anni con la riscossa degli Alleati.
Come si vede, si tratta di un percorso per nulla scontato che rende l’analisi storica sicuramente difficile, ma anche ricca di stimoli, di spunti di riflessione e di quesiti ogni volta diversi ai quali rispondere.
Quale complesso rapporto giuridico, istituzionale ed ecclesiastico legava alla sede apostolica le isole di Sardegna e Corsica?
È stato uno dei punti di svolta dell’indagine. Da sempre siamo abituati a ragionare in termini di “Sardegna pisana” o “Corsica pisana”, quasi che queste isole fossero delle proprietà private della città toscana. Ma Pisa all’epoca non era ancora un libero comune, bensì un centro incardinato nella compagine imperiale, la cui chiesa era una semplice diocesi che non possedeva alcun diritto di intervenire politicamente in organismi territoriali conformati e legittimati dalle Auctoritates del tempo: l’Impero e, soprattutto, la sede apostolica.
Chiarire bene i termini della questione ha aiutato a sgomberare il campo da molti equivoci istituzionali e da luoghi comuni storiografici ormai indifendibili, aprendo la strada al concetto di Auctoritas legittimante e, di conseguenza, al ruolo centrale giocato dalla sede apostolica durante il pieno Medioevo.
La Corsica, la Sardegna, l’Arcipelago toscano, la stessa Pisa furono delle aree con proprie peculiarità ecclesiastiche, politiche, insediative e sociali. La sede apostolica sovrintendeva e indirizzava alcuni momenti importanti della vita di queste aree. In particolare le isole erano una sorta di “cortile di casa” del papa. Il pontefice di Roma estendeva la sua autorità in queste terre oltremarine, attraverso una varietà di decisioni canoniche, di inviti a conformarsi al modello romano, di reti di controllo e rapporti col potere civile in cui inserirsi non solo a livello ecclesiale, ma anche politico.
Un mondo che doveva inchinarsi ai piedi dell’Apostolo, san Pietro, cioè la Chiesa romana e il suo vescovo, il pontefice romano, che del principe degli apostoli era il vicario sulla terra. In tutto questo, però, restava cruciale il ruolo dei poteri locali, che dialogavano e interagivano con Roma, attivando una continua contrattazione delle strategie utili da una parte alla sede apostolica per estendere i suoi programmi e la sua autorità e, dall’altra parte, a garantire e consolidare il controllo politico da parte dei dinasti isolani, anche nella prospettiva di garantirsi una protezione da ingerenze esterne, che nel corso del XII secolo si fecero sempre più forti.
Quale ruolo mantenne la città di Pisa all’interno dello spazio tirrenico?
Si tratta di un altro tema complesso, sicuramente dibattuto, ma sempre negli stessi termini e secondo parametri e categorie di pensiero ormai consolidatesi. Mi è sembrato dunque necessario sfatare o comunque stemperare un vero e proprio mito storiografico, quello della Pisa trionfante nel Tirreno e sulle sue isole quasi per un atto dovuto, un diritto acquisito. La storia dei decenni a cavallo fra XI e XII secolo è la storia di una continua rincorsa di Pisa all’ottenimento di concessioni che la ponessero in una condizione di vantaggio nei confronti dei suoi rivali, primi fra tutti i Genovesi, all’interno dello spazio tirrenico. Questa rincorsa non ebbe mai i caratteri di un progetto che si sarebbe sicuramente realizzato perché “la storia voleva così”.
Un esempio significativo è la richiesta della concessione dei privilegi di consacrazione dei vescovi di Corsica e della metropolìa alla chiesa pisana, richiesta mai accolta da Pasquale II nei quasi vent’anni del suo pontificato (1099-1118), ma che fu una questione controversa anche prima e dopo il pontificato di Pasquale. Si trattava di un passaggio fondamentale per Pisa, per poter sperare di esercitare un’influenza sulle isole tirreniche in piena legittimità, in quanto la sua Chiesa e la sua civitas avrebbero agito su formale conferimento del potere da parte del vicario di Cristo.
Ci si è chiesti a lungo come mai Pasquale non concedette quei privilegi. L’errore commesso generalmente dalla storiografia sull’argomento è nella posizione in cui ci si pone riguardo al rapporto fra Pisa e la sede apostolica. Questa posizione storiografica è stata sempre per così dire filo pisana, per cui la città aveva pieno diritto di pretendere le concessioni pontificie e il pontefice avrebbe dovuto rilasciarle. Per questo i suoi cittadini potrebbero aver ragionato in questo modo:
“Perché Pasquale II non ci dà la metropolìa? A noi Pisani, che abbiamo difeso la Cristianità dall’Islam, che siamo andati a combattere i pagani perfino nelle Baleari! Ce la deve dare!”.
Bisogna invece mettersi dalla parte del pontefice, unico depositario dell’Auctoritas nello spazio tirrenico. Sempre teatralizzando un po’ i termini della questione, si potrebbe immaginare un ragionamento di questo tipo:
“Questi Pisani sono noiosi, pericolosi; si sono montati la testa e pensano di sfilarmi le isole di mano, figuriamoci se gli do la metropolìa. Intanto però mi torna utile fargli balenare che gliela posso dare e li uso come e quando voglio. Gli benedico anche l’impresa delle Baleari. Bravi, andate a morire lì, che nel Tirreno insulare ci mando i miei uomini, i Camaldolesi, i Vallombrosani ed anche i Cassinesi che stanno lì e che devono fare quello che dico io”.
Insomma, si sarà capito come la penso. Non si può attribuire a Pisa la capacità di fare accettare alla sede apostolica un vero e proprio atto dovuto nei suoi confronti, quasi imponendo al pontefice un lungo catalogo di benemerenze, accumulate dai Pisani in un secolo di lotte contro l’Islam e utilizzabili per ottenere l’agognata concessione dei privilegi sulla Corsica. Il pontefice non regolava certo l’agenda delle sue decisioni sulle esigenze dei suoi sottoposti: chi decideva, secondo l’opportunità, le contingenze politiche e il diritto canonico, era il pontefice e forzare più del dovuto la volontà dei personaggi protagonisti di quegli eventi rimane sempre pericoloso e fuorviante. Saranno altre le cause che porteranno, tra il 1126 e il 1138, all’assetto definitivo dello spazio tirrenico, attraverso una sua spartizione in aree di influenza fra Pisani e Genovesi.
In che modo questi temi confluiscono all’interno del dibattito storiografico sull’introduzione e la diffusione della riforma promossa dal papato fra XI e XII secolo?
Alla fine uno dei contributi che ritengo più interessanti è stato il passare dallo studio del caso particolare (lo spazio tirrenico centrale) al contesto generale, consentendo di formulare nuove ipotesi interpretative in merito alla politica della sede apostolica in senso più generale.
Ad esempio, il fatto che l’entourage ‘gregoriano’ fosse inizialmente costituito da un gruppo ristretto di persone, a mio parere aiuta a spiegare la grande importanza data tra XI e XII secolo alle isole tirreniche, altrimenti quasi ignorate, prima e dopo le lotte della riforma: gli interventi sulla giurisdizione ecclesiastica e, via via, sulle confinazioni territoriali nelle due isole potrebbero essere interpretati come un’occasione per applicare sul campo, da parte di questo ancora ristretto partito ‘gregoriano’, la forza della volontà pontificia in aree ritenute tradizionalmente fedeli alla sede apostolica e dunque più sensibili alle istanze provenienti dal papato riformatore.
Se guardiamo ai pontificati di Leone IX, Vittore II, Stefano IX, notiamo che questi pontefici, ancora in sostanziale accordo con l’Impero, operarono soprattutto sulla parte continentale dello spazio di protezione pontificio; al contrario, Gregorio VII e Urbano II e, prima di loro, in parte anche Alessandro II, allargarono l’attenzione della sede apostolica sul fronte meridionale e marittimo (Normanni, Sardegna, Corsica). In particolare lo fece Gregorio, nel momento del suo scontro con Enrico IV, re di Germania (non lo chiamerei “imperatore”, per la sua consacrazione effettuata da Clemente III, l’antipapa, o meglio, il papa contrapposto a Gregorio VII).
Probabilmente nella seconda metà dell’XI secolo si era resa necessaria la ridefinizione di quello spazio, ora molto più centrato sul fronte tirrenico, viste le difficoltà, anche politiche e militari, vissute dai pontefici riformatori sul continente.
Ecco, guardare alle cose, al panorama già conosciuto, da un punto di vista differente, credo che aiuti a proporre considerazioni nuove, che a loro volta stimolano ulteriori domande e aprono strade inedite all’eterno lavoro di ricerca e comprensione dello storico.
Corrado Zedda, Dottore di ricerca, è chercheur associé presso l’Università Pasquale Paoli di Corsica. Autore di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche e di monografie, tra cui: Cagliari. Un porto commerciale nel Mediterraneo del Quattrocento, Napoli 2001; L’ultima illusione mediterranea. Il comune di Pisa, il regno di Gallura e la Sardegna nell’età di Dante, Cagliari 2006; Lo spazio tirrenico e la Sede Apostolica nel Medioevo tra revisione storiografica e nuove prospettive di ricerca («Mélanges de l’Ecole Française de Rome», 127/1, 2015); Il codice di Santa Maria di Cluso. Una fonte preziosa su Cagliari e la Sardegna medioevale, Cagliari 2020. Curatore del volume 1215-2015. Ottocento anni della fondazione del Castello di Castro di Cagliari («RiMe. Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea», 15/2, 2015). Le sue attuali ricerche si concentrano sull’azione ecclesiale e politica della Sede Apostolica nella Penisola Italica e nello spazio tirrenico fra XI e XIII secolo.